Intelligenza delle lacrime e socialità del lutto

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Intelligenza delle lacrime e socialità del lutto

Messaggioda lidia.pege » mer apr 24, 2019 6:58 pm

Intelligenza delle lacrime e socialità del lutto
18 aprile 2019 Settimana
di: Lorenzo Prezzi

L’elaborazione del lutto è anche una questione sociale? Quanto può durare? Come si sviluppa nella diverse età della vita? Sono alcune domande che emergono da una inchiesta svolta in Francia e presentata da La Croix (12 aprile) in contemporanea con un’audizione nel senato francese, promosso da un cartello di associazioni professionali e di volontariato.

Sono stati gli attentati del fondamentalismo islamico nel 2015-2016 col loro shock emozionale collettivo a far salire in superficie il tema dell’elaborazione del lutto in forma pubblica e societaria. Esso era ampiamente presente della società francese, ma in forma privata.

Attorno a 600.000 morti all’anno, a 8.500 suicidi, ai 5 milioni di vedove e vedovi, al bambino orfano presente in tutte le classi scolastiche della Repubblica e alle 5-7 persone direttamente interessate ai singoli eventi traumatici, va crescendo la consapevolezza di collocare il fenomeno dentro le istituzioni e il quadro sociale. Come è successo nel recente passato per l’handicap.
Le età della vita

In un contesto sociale fortemente competitivo e performante non c’è molto spazio per il riconoscimento del lutto e delle sue esigenze. Ma le aziende hanno percepito che il semplice permesso in occasioni di esequie di familiari non sempre è sufficiente. La morte di un collega richiede un confronto fra i sopravvissuti e un aiuto psicologico. Per la scomparsa di un familiare l’assenza si prolunga per circa una settimana e, in alcuni casi, anche di più di un mese. Il dolore della perdita produce nei bambini e negli adolescenti un effetto negativo sulla concentrazione e attenzione scolastiche che interessa il 77%. Non minore l’impatto sulla salute.

Il 26% del campione riconosce di aver avuto debolezze psicologiche e oltre il 40% di sperimentare stanchezza fisica. Sembra arrivato il tempo che le istituzioni si prendano cura delle persone che attraversano lutti, oltre alla Carta di rispetto per la persona in lutto promossa dal segretario di stato per la famiglia e la solidarietà francese nel 2009. Si auspica un rapporto annuale sul tema.

Sui tempi necessari per superare il dolore della scomparsa di un proprio congiunto l’inchiesta sorprende con un 53% di francesi che ritengono il lutto sia senza fine. Rispetto alla consuetudine diffusa di sollecitare il superamento della prova, la coscienza profonda della gente sembra richiedere maggior pazienza e rispetto.

Per quasi l’80% non si può identificare il superamento del dolore con l’oblio. Per il 50% ci vogliono uno o due anni per considerare la perdita subita ormai alle proprie spalle. Ma per arrivare al 70% degli interessati sono necessari cinque anni. Molti (50%) si dicono irritati dalle sollecitazioni dell’ambiente a dimenticare e a sostituire i pensieri con hobby e divertimenti.
I riti

Durata e profondità del lutto sono proporzionate alla qualità e all’immediatezza dei rapporti. Un conto se il defunto è un parente o piuttosto un figlio, se il legame è pubblico oppure segreto, se il dolente è un bambino o un adulto. In merito il cartello associativo che ha ottenuto l’audizione al senato, Empreintes, ha affrontato queste diversità in un opuscolo: Il lutto, una storia di vita. Il bambino con meno di tre anni ha soprattutto bisogno di presenze rassicuranti e percepisce il defunto come un assente che può tornare.

Solo ad otto anni, con un pensiero capace di astrazione, la morte assume il carattere di irreversibilità. Fra i consigli che si sottolineano: – informare subito del decesso da parte di chi ha confidenza col bimbo; – utilizzare il termine proprio, cioè morte; – rispondere alle domande, ammettendo di non avere sempre risposte da fornire; – permettere al bambino di vedere il defunto accompagnato dai genitori o da un familiare; – chiedergli un disegno da mettere nella bara:- rassicurarlo senza imporgli responsabilità per altri fratelli; – lasciare esprime le sue emozioni. L’adolescente può conosce difficoltà nel sonno, perdita di appetito, chiusura su se stesso.

La perdita più grave è quella dei genitori che vedono morire un figlio. Il loro futuro sembra spegnersi e spesso mettono in questione il loro stesso essere genitori. Anche nel caso di morti pre-natali. La sofferenza dei nonni e dei vecchi ha frequentemente un tratto prezioso di disponibilità. La scomparsa dei genitori è particolarmente pesante per i figli unici. Uomini e donne hanno reazioni diverse. Il rischio per una coppia di separarsi alla morte del figlio non va sottostimato.

Il lutto è un processo di cicatrizzazione che richiede il suo tempo, non programmabile. Si passa da una relazione esterna e obiettiva ad un’altra, interiore e profonda. Così il trapassato vive nel sopravvissuto.

Le risorse per affrontarlo sono anzitutto in se stessi. Autorizzarsi a piangere, esprimere paura e collera, manifestare il senso di colpa: sono alcuni atteggiamenti che aiutano.

Il gruppo familiare e il contesto sono preziosi sia nelle esequie, sia successivamente negli anniversari, nelle feste e nei momenti in cui l’assente è naturalmente evocato.

Ci sono ritualità private preziose: visitare il cimitero, piantare un albero, scrivere un diario, mettere in vista una sua foto.

Di particolare rilevanza i riti pubblici, religiosi e laici. Nell’imperante secolarizzazione questi ultimi sono comunque da apprezzare perché hanno un valore simbolico e affettivo. Anche se non hanno la stessa qualità rituale, simbolica e performante del rito religioso. In particolare cristiano.
Il senso

Così si esprime p. Laurent Stalla-Bourdillon (La Croix, 12 aprile): « Il problema maggiore oggi è il considerevole deficit di senso rispetto alla morte. Non sappiamo più dare al morire un senso oltre quello biologico. Una difficoltà accresciuta dallo scarto fra il discorso condiviso della nostra società tecnologica che vuole convincerci che è possibile evitare la morte, rispetto ai dati di realtà davanti a cui siamo sempre più fragili e sbalorditi».

«La fede dona un senso e permette di integrare razionalmente l’evento, di poterlo nominare. Quello che non si può avere è il controllo emozionale relativamente all’attaccamento al defunto e alla rottura che la sua dipartita provoca … È quindi necessario distinguere quello che esige la ragione e quello che viene dal cuore. Meno la morte è riflessa, più il lutto è complicato».

Noi non solo abbiamo un corpo, siamo un corpo, anzi siamo più di un corpo, dentro una rete di relazioni e di appartenenze decisive per la nostra identità. «In proposito le religioni hanno un ruolo essenziale. Sono le ultime agenzie capaci di opporsi alla riduzione dell’umano alla biologia».
Lidia Pege
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