Lettere, cene e retroscena. Il saggio che toglie i veli alla storia dell’Ulivo
L’opera dell’assessore alla Cultura di Padova Andrea Colasio tra passato e futuro. La presentazione nella Città del Santo
di Paolo Coltro
Non è un libro di archeologia, anche se parla dell’Ulivo. Ricordate? Ventitré anni fa apparve quel simbolo fatto di foglioline verdi che danzavano nello spazio, ispirate a La danse di Matisse, e che univano il colore della speranza ad un apostrofo rosso. Dentro e dietro quel disegnino c’era un’idea politica forte, e nuova nel panorama cosparso di macerie dell’ex Prima Repubblica. La genesi di quest’idea, la sua costruzione nella realtà politica del tempo, i suoi risultati e infine il suo declino sono raccontati in un libro che Andrea Colasio, vestito più da storico che da politologo qual è, presenta (martedì 18 dicembre) a Padova (Palazzo Moroni, sala degli Anziani, ore 17.30).
Un modello
«Il tempo dell’Ulivo», edito da il Mulino, è un testo di avventura politica, il linguaggio accademico cede felicemente il passo a quello del raccontatore di cose vere, allo scopritore di un archivio dimenticato che dà più materiale delle dichiarazioni ufficiali del teatrino della politica esibita, concordata, strutturata a fini elettorali e di potere. Un romanzo-saggio che affascina non solo per la messe di elementi inediti, ma per il disvelamento di tutte le componenti del gioco politico: e se qui si parla dell’esperienza Ulivo, è evidente che il canovaccio vale per sempre e per tutti. Come dire che leggendo queste pagine ci si addentra toccandoli con mano nei meccanismi che comunque esistono nel fare politica: dalla discussione ideale, a volte ideologica, mano a mano fino alla scelta delle candidature, passando per una miriade di atti ognuno dei quali fa parte del disegno finale. Il bello di queste pagine è che si tolgono veli, si denuda un progetto politico fino a vederne i pori della pelle, non ci si accontenta di descrivere il bel vestito con cui sfila in passerella. E proprio per questo il «modello» è applicabile anche all’oggi e a tutti, movimenti o partiti che siano. Insomma, si capisce com’è fatta la politica, e stiamo parlando di un esempio che non fu tra i peggiori.
Il Professore
Il personaggio chiave del libro è Romano Prodi, al centro dell’elaborazione politico-concettuale di quel momento storico. Si era reduci dalla prima – inaspettata – vittoria elettorale di Berlusconi e del suo Forza Italia. Ma si era soprattutto reduci da Tangentopoli, che aveva spazzato via assieme a qualche malandrino, la Dc. Prodi è sempre stato democristiano, ma il suo guizzo, ideale e programmatico, fu quello di non voler rifondare la Dc. Il progetto era un’aggregazione di centrosinistra diversa da un’alleanza strumentale. Prodi ci credeva sinceramente, in questo superamento del partito-madre dell’Italia del dopoguerra. Tempi cambiati, nuove generazioni, primi segnali di antipolitica: tutto questo imponeva una novità necessaria, non tattica, dal basso. Forse sbagliamo, ma sta proprio nei primi vagiti di costruzione dell’Ulivo il tentativo di essere movimento. Posto che il punto centrale doveva essere la leadership di Prodi, ovvero la sua candidatura a presidente del Consiglio, la via per arrivarci non è come da prassi l’accordo tra partiti, ma l’investitura del popolo. Sembra facile… Lo scarto ideologico e soprattutto pratico è notevole, perché i partiti continuavano ad esistere, magari malridotti, soprattutto più inclini a guardare al loro passato piuttosto che al loro futuro. Nascono, a sostegno di Prodi, i Comitati «L’Italia che vogliamo» ed è proprio la scoperta fatta da Colasio del loro archivio, in una cantina di Bologna, lo spunto più fresco di questo libro. Quattromila documenti che sono l’equivalente dell’esame del sangue di un organismo: il quale corpo poi però deve nutrirsi, camminare, muoversi nel mondo, nella fattispecie politico. Al nocciolo, è l’eterno problema del tradursi delle idee in realtà: quanti pezzi si perdono per strada, qual è il tasso di elasticità. E nell’«arte del possibile» quante scelte dipendono anche dagli altri: alleati, comprimari, nemici, osservatori, gruppi e persone?
Sulle tracce della Storia
La ricostruzione storica, ineccepibile, parte dall’idea di fondo di quel che avrebbe dovuto o potuto essere l’Ulivo: una coalizione o un partito? La scelta era densa di conseguenze per ognuno dei protagonisti, ovvero le aree politiche rappresentate dai partiti, in prima istanza e in prima fila il Pds, poi il Ppi, i socialisti, i vari cespugli di centro, e fino a Rifondazione comunista. Si vedrà, pagina dopo pagina, che la resistenza di ogni partito, piccolo o grande che fosse, fu strenua. E come non pensare che si trattava dell’eredità mai sconfessata della prima Repubblica, l’incapacità del taglio netto? Le foglioline dell’Ulivo erano appena spuntate, fresche e verdi, ma tutti guardavano alle loro radici. Impossibile qui ripercorrere tutto il cammino del libro, che dalla nascita dell’Ulivo arriva alla caduta del governo Prodi nel 1998.
I dietro le quinte
Rimangono, per la loro piacevolezza, gli aneddoti che Colasio semina a profusione, un «dietro le quinte» più eloquente di tanti discorsi. Per esempio quando Prodi, nella sua Bologna, pianta un ulivo, vero, in mezzo ad un bosco di querce, che allora era il simbolo del Pds. O quando nel pullman del suo viaggio nelle Cento Città viene approntata un bagno solo per lui, vietatissimo a tutti. Chi sapeva che l’inno dell’Ulivo, la «Canzone popolare» di Ivano Fossati, è stata un’idea di Gianni Cuperlo? E poi le cene, i vis à vis segreti, i pregi e le debolezze di un tourbillon di personaggi che «fanno politica», dai giovani disinteressati alla società civile ai parlamentari scafatissimi. Un bel teatro, di vent’anni fa, ma le cui repliche continuano fino ad oggi. E se l’Ulivo coalizione ambiva ad essere non sommatoria ma sintesi, e non ci riuscì, ecco il salto nell’attualità. Anche allora si diceva che era «un’ibrida alleanza tra diversi». Esattamente quel che ci offre la politica oggi. Con le ovvie differenze del tempo che passa e della storia che corre. Chiudendo la quarta di copertina, aleggia il vero interrogativo: epoche diverse modellano uomini diversi? Oppure no?
18 dicembre 2018 corriere veneto