Mai credere agli untori. Gli affondi contro gli «umanitari»
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Finalmente, dunque, è tutto chiaro. Abbiamo i complici del traffico di esseri umani e del traffico di rifiuti pericolosi. Su due dei fronti più feroci e duri di questa stagione della vita dell’Italia e del mondo – nella quale predatori, affaristi, cinici e malviventi pretendono di spadroneggiare – abbiamo un bel gruppo di veri colpevoli. Smascherati al cospetto dell’opinione pubblica e, da ieri, con tanto di atti formali di una Procura italiana, di nuovo trascinati alla gogna. Si tratta non dei “soliti” schiavisti, mafiosi e imprenditori senza scrupoli, ma – udite udite – degli operatori umanitari delle famigerate Organizzazioni non governative, e in special modo dei sanitari di Msf che – nessuno può ignorarlo – in Europa come in Africa, in Asia come in America Latina si sono effettivamente dati la missione di stare in prima linea nelle periferie della Terra, dove da sempre i “rifiuti pericolosi” – cose e oggetti, ma anche persone – abbondano.
Neutrali per scelta, nemici di nessuno, eppure ostinatamente al fianco dei più deboli, i Medici senza frontiere non hanno sfidato solo le malattie, hanno sfidato la paura: sentimento, e più ancora risentimento, che oggi la fa da padrone. È un azzardo grave. Ma è anche il segno di una speranza grande. Che non è soltanto loro. Con l’Aquarius (nave non italiana, ora destinata al sequestro se dovesse rientrare, com’era previsto, nelle nostre acque) e con la Vos Prudence (nave italiana, e non colpita da alcun provvedimento) sono stati sinora, nel piccolo gruppo di “soccorritori” che cerca di restare in primissima linea anche in quel mare di sofferenza e morte, un mare verticale come un muro, che è diventato il Mediterraneo delle migrazioni forzate. Mani e occhi che non consentono alle coscienze di addormentarsi o di incattivirsi con le storiacce dell’«invasione». Questo è stato ed è il motivo dell’ulteriore sostegno e della confermata ammirazione. Questo, all’opposto, il motivo del sospetto e dell’astio militante. E anche di indagini avvolgenti, e martellanti.
Si fa fatica anche solo a pensare come “criminali” i medici senza frontiere e i loro fratelli e sorelle delle Ong? Ovvio. Ma ovvio anche che i lapidatori (mediatici) degli “umanitari” abbiano immediatamente rialzato voci e mani e abbiano ricominciato ad accumulare e tirare pietre. Secondo la Procura di Catania, infatti, adesso tutto è chiaro.
E i conti dovrebbero tornare non solo al capo di quell’Ufficio, ormai da molti mesi protagonista della battaglia contro il “male” che sarebbe stato portato in Sicilia e in Italia dalle Ong, non solo a tutti quei politici che prima di subito si sono sbracciati ad applaudirne la nuova azione accusatrice, ma per esempio anche a noi, semplici cronisti di “Avvenire”, che sull’atroce traffico di esseri umani e sulle redditizie e assassine connection per smaltire male i rifiuti pericolosi siamo impegnati senza riserve, dando vita a lunghissime (e spesso mal sopportate) campagne informative che non intendiamo smettere. Per quel che vale, però, a noi i conti non tornano. Non tornano affatto.
Rispettiamo il lavoro dei magistrati, ma non lo veneriamo. E non lo contestiamo o approviamo a singhiozzo e a prescindere. Guardiamo ai fatti. Anche stavolta è, e sarà, così. Tra i fatti ci sono, come si sa, anche quelli della politica. E ferisce e inquieta la leggerezza aspra e infelice di non pochi signori e signore del Parlamento che subito si sono impegnati a spacciare, loro sì, una sorta di teorema politico-giudiziario per cui i Medici senza frontiere non paghi del ruolo di «vice-scafisti» (che da mesi e mesi viene loro pervicacemente attribuito per il “reato” di aver salvato in sei anni circa ottantamila persone a rischio di morte tra le onde) avrebbero agito sulle coste italiane addirittura da “untori” del XXI secolo, cioè da deliberati spacciatori di malattie infettive. Lunare l’accusa a un’organizzazione che, solo per fare un esempio di questi giorni, ancora una volta si sta battendo per fermare l’ebola, lunari le argomentazioni.
E spiace di dover registrare che, in questo coro stonato, la prima e la più forte voce sia stata di nuovo quella di Matteo Salvini. «La pacchia è finita », è tornato ad accusare sui social network. Quale «pacchia» non è dato di sapere, ma l’importante – si sa – è far credere che ce ne sia una e che sia a spese degli italiani... Eppure nel delicatissimo ruolo di ministro dell’Interno che ha assunto, e che è tenuto a ricoprire con disciplina e onore, Salvini dovrebbe parlare e agire sempre come garante di tutti e avversario solo dei nemici della democrazia repubblicana. Non è mai troppo tardi (o troppo presto) per cominciare.
Marco Tarquinio – Avvenire - mercoledì 21 novembre 2018