Gender gap, in Germania verso gli stipendi uguali per legge
Da uno studio del sito Ingenere emerge la crisi unita ai primi effetti del Jobs Act che ha distribuito più equamente gli svantaggi sul lavoro a uomini e donne. La parificazione c'è stata, ma al ribasso
di ROSARIA AMATO repubblica 8.10.16
ROMA - Passo importante in Germania verso la parità retributiva tra uomo e donna: le forze di governo hanno trovato l'accordo su una legge che prevede che le grandi aziende, con oltre 200 dipendenti, debbano rendere conto ai lavoratori dei livelli retributivi di genere. Dunque dovranno dare informazioni non sui singoli salari, protetti dalla normativa sulla privacy, ma sulla media, a parità di posizioni lavorative, degli uomini e delle donne. Le aziende con oltre 500 dipendenti dovranno inoltre presentare una relazione periodica sui livelli retributivi. Non è ancora l'obbiligo di pagare le stesse cifre, ma si tratta di una norma importante: con la nuova legge, che adesso dovrà essere presentata in Parlamento, 14 milioni di lavoratori avranno il diritto di ottenere questo tipo di informazioni e di renderle pubbliche.
La nuova legge contiene anche una serie di parametri per valutare la parità della retribuzione. In Germania c'è ancora una notevole distanza di genere, in media le donne guadagnano circa il 7 per cento in meno rispetto agli uomini. Le aziende inoltre per ogni offerta di lavoro dovranno indicare una retribuzione minima, che dunque permetterà loro di non modulare in modo eccessivo lo stipendio, a seconda dei candidati che si presentano.
E in Italia? La parità di genere per gli stipendi è ancora lontana. In compenso, osservano Tiziana Canal e Valentina Gualtieri in uno studio pubblicato sul sito delle economiste "Ingenere", dopo la crisi e a un anno di entrata in vigore a pieno titolo del Jobs Act c'è stato un avvicinamento tra i due sessi in materia di lavoro a termine e di part-time involontario, ma solo perché la situazione maschile è peggiorata, avvicinandosi a quella delle donne.
Soprattutto la crisi ha accentuato l'uso del part-time in funzione di conservazione del posto di lavoro e del numero dei dipendenti. All'insegna del principio "lavorare meno lavorare tutti" il part-time è in larga prevalenza involontario: se il tasso di lavoro a orario ridotto non voluto per le donne è arrivato nel 2015 al 60%, sorprendentemente gli uomini sono andati oltre, con l'81%. E per inquadrare meglio le dimensioni del fenomeno, bisogna ricordare che su 10 assunti con contratto a tempo indeterminato l'anno scorso, quattro erano lavoratori part-time.
Inoltre si sono praticamente azzerati i differenziali di genere per il lavoro a termine. E questo non è avvenuto perché più donne hanno ottenuto il contratto a tempo indeterminato ma, al contrario, perché più uomini sono stati assunti con un contratto temporaneo. "Tali tendenze - spiegano le autrici dello studio - sono verosimilmente ascrivibili agli effetti della crisi economica, che ha colpito maggiormente settori a prevalente vocazione maschile". E tuttavia, "se lo sguardo si focalizza all'ultimo biennio, si rileva comunque e per entrambi i sessi un aumento dell'utilizzo di forme di lavoro temporanee".