L’odio per le donne: una su tre ha subito violenze

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L’odio per le donne: una su tre ha subito violenze

Messaggioda lidia.pege » gio ago 04, 2016 2:27 pm

antonio pitoni stampa 04/08/2016
L’odio per le donne: una su tre ha subito violenze
Tra i 16 e i 70 anni il 31 per cento è stata picchiata o abusata sessualmente: in Italia sono quasi sette milioni. Da gennaio 76 vittime. Spesso il responsabile è un familiare o un uomo con cui hanno avuto una relazione
Il movente passionale è all’origine del 40 per cento dei femminicidi

Uomini che odiano le donne. E che, sempre più spesso, diventano assassini. È successo già 76 volte nel corso del 2016. Un vero e proprio bollettino di guerra che ha insanguinato l’ultimo decennio: 1.740 femminicidi secondo l’Eures. Una macabra contabilità della morte inferta, in molti casi, da un familiare o da un uomo con cui la vittima ha avuto una relazione. Come tragico atto conclusivo di un’inarrestabile escalation di violenza. Spinta fino alle più estreme conseguenze.

I dati dell’Istat, aggiornati a giugno 2015, parlano chiaro: 6 milioni 788 mila, ossia il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni (quasi una su tre), hanno subito nel corso della propria vita una violenza fisica (il 20,2%) o sessuale (il 21%). Nel 5,4% dei casi veri e propri stupri (652 mila donne) o tentati stupri (746 mila), il 62,7% dei quali commesso da un partner attuale o precedente. Ma non è tutto. Il 10,6% delle donne ha subìto violenze sessuali prima dei 16 anni. Mentre aumentano, in modo preoccupante, i bambini costretti loro malgrado ad assistere ad episodi di violenza sulla propria madre (dal 60,3% del 2006 al 65,2% del 2014). Sono loro le «vittime secondarie» dei femminicidi, scatenati nel 40,9% dei casi da un movente passionale: negli ultimi 15 anni, stando ai dati Eures, sono 1.628 i figli rimasti orfani spesso per mano dei loro stessi padri.

I recenti casi mortali di Lucca e Caserta, riaccendono il dibattito politico. «Ancora due donne uccise in 24 ore. La strage continua. Contro il femminicidio oltre a leggi e fondi per centri antiviolenza, serve un’azione culturale», chiede su Twitter la presidente della Camera, Laura Boldrini. Pensiero che la terza carica dello Stato chiarisce meglio sul suo profilo Facebook. «Le leggi ci sono e i centri antiviolenza devono tornare ad avere al più presto i finanziamenti necessari - scrive -. Ma intanto, mentre la strage prosegue, è importante rilanciare l’appello alle donne, perché denuncino senza esitazioni, senza una malriposta pietà, i loro compagni o ex compagni violenti: cambiarli è impossibile, bisogna fermarli per tempo». Anche perché, se negli ultimi cinque anni, tornando ai dati dell’Istat, gli episodi di violenza denunciati da parte delle donne hanno fatto registrare un significativo aumento, l’11,8% dell’ultimo rilevamento resta comunque una soglia ancora limitata. «I femminicidi - conclude la Boldrini - non finiranno se non saranno anche gli uomini a rivoltarsi contro questa infamia».

Da Palazzo Madama, anche il presidente del Senato, Piero Grasso, affida il suo pensiero ad un post su Facebook. «Da uomo fatico a spiegarmi cosa possa spingere ad usare una tale brutalità, a covare così tanto odio nascondendosi dietro presunti sentimenti quali l’amore, il dolore per una storia che finisce, la disperazione. Niente di tutto questo: spero che non usino più, raccontando queste storie, termini ambigui e giustificatori come raptus, gelosia, disagio, rifiuto», premette la seconda carica dello Stato, prima di dare sfogo al suo impietoso giudizio: «Sono solo squallidi criminali e schifosi assassini». Episodi contro i quali «c’è un grande lavoro da fare», spiega ancora Grasso, «per sradicare i resti di una cultura maschilista e possessiva che ancora permea la nostra società». La soluzione? «Stare insieme è una sfida quotidiana - conclude il presidente del Senato -. Uomini e donne non si appartengono, si scelgono ogni giorno. Liberamente». Mentre la segretaria generale della Cisl Annamaria Furlan chiede «una grande mobilitazione culturale della società civile, a partire dalla scuola e nei posti di lavoro, insieme ad una azione di prevenzione delle istituzioni».
Lidia Pege
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