Dalle università parta la risposta alle stragi di cristiani

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Dalle università parta la risposta alle stragi di cristiani

Messaggioda lidia.pege » sab apr 11, 2015 1:51 pm

Dalle università parta la risposta alle stragi di cristiani nel mondo

Giusta e dovuta è la veglia decisa dal Politecnico torinese, insieme con il minuto di silenzio nell’Università, a ricordo della strage degli studenti in Nigeria. Amaro è il testo del blogger che ha ideato il progetto di «dare un volto alle vittime di Garissia»: «Le società occidentali onorano i loro morti, mentre le comunità africane nere sono lasciate a cercare attenzione nei media occidentali senza fare nulla per capire come fermare questi massacri arbitrari».

Significativamente tuttavia nel testo non si sottolinea il dettaglio importante che la vittime sono innanzitutto cristiane. Forse per discrezione - per non insinuare che questo dettaglio abbia dato una particolare carica emotiva all’emozione degli «occidentali» di fronte all’ultimo massacro in Africa. Ma non sarebbe giusto affermarlo. Ciò non toglie che proprio la feroce disumana discriminazione dei «cristiani» rispetto ai loro compagni di studio e amici, abbia fortemente impressionato l’opinione pubblica d’Occidente mettendola brutalmente di fronte alla loro impotenza.

Adesso l’attenzione e celebrazione mediatica del lutto rischia di diventare un alibi. Soddisfa il narcisismo spirituale da spettatori - quali ormai si diventa in un evento pubblico, sequestrato dalla comunicazione mediatica. In essa si stemperano persino le drammatiche e chiare parole del Pontefice.

Guardiamo la reazione della politica italiana. Le classi politiche, tutte prese a scannarsi internamente e a delegittimarsi reciprocamente, sono prigioniere di una visione sconsolatamente provinciale.

Il premier e il ministro degli Esteri fanno del loro meglio in discorsi pieni di buona volontà che raccomandano non solo gesti simbolici, ma azioni politiche senza escludere in caso estremo il ricorso alla forza. Ma si tratta di discorsi impotenti che lasciano il tempo che trovano, non riuscendo ad aggregare attorno ad iniziative concrete le nazioni che contano. Queste intanto hanno altre priorità: l’accordo nucleare con l’Iran, il congelamento del conflitto russo-ucraino, la messa in mora della questione libica (sino a che non succederà qualcosa che metterà in pericolo le raffinerie di petrolio). In questa ottica l’attacco ai civili a Tunisi delle scorse settimane e il massacro degli studenti a Garissia sono percepite come episodi collaterali rispetto all’avanzata dell’Isis, che mira direttamente ai centri del potere in Medio Oriente. Nessuno ritiene invece che questi episodi siano il cuore dell’iniziativa jihadista.

Se le cose stanno così, noi che ricordiamo le ragazze e i ragazzi uccisi nel campus e le altre ragazze sparite, che cosa facciamo? Dobbiamo limitarci a celebrare il lutto, in attesa che la politica trovi una soluzione?

Non si potrebbero invece tentare o rilanciare iniziative che partono dall’autonomia e dalla forza della «cultura» come tale, senza aspettare la politica? Non si tratta ovviamente di separare ingenuamente la cultura dalla politica, soprattutto nel contesto cui ci riferiamo. Ma dobbiamo privilegiare il mondo degli studenti e delle università dell’area mediterranea, africana e mediorientale creando contatti e incontri più intensi e sistematici: l’annuncio di 25 borse di studio in 9 atenei italiani per gli studenti di Garissa è un primo passo. Non a caso l’attacco del fanatismo assassino tenderà a colpire sempre più i luoghi di studio oltre che di culto - i luoghi cioè dove si pensa e si prega. Lì dobbiamo idealmente essere con loro. Dobbiamo insistentemente chiarire tutti gli equivoci circa la separatezza o la incomunicabilità tra l’Occidente e quello che Occidente non è. Non c’è da una parte l’Occidente e dall’altro ciò che vi si contrappone. Tanto meno è la religione cristiana (di qualunque confessione) che fa la differenza essenziale, diventando motivazione per l’assassinio.

sono sicuro che da qualche parte si fanno già questi tentativi, che sono molto di più del «dialogo» tra studiosi ed esperti, laici e uomini di fede. Si tratta di allargarne ulteriormente le dimensioni in modo più sistematico, emotivamente e simbolicamente più incisivo.

So che qualche lettore considera tutto questo inadeguato e patetico. Ma davanti all’orrore preferisco essere considerato patetico piuttosto che rassegnarmi ad essere semplicemente impotente.

La stampa gian enrico rusconi 11/04/2015
Lidia Pege
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