Omicidio Rostagno, verità a metà: voluto dalla mafia..

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Omicidio Rostagno, verità a metà: voluto dalla mafia..

Messaggioda lidia.pege » dom nov 29, 2020 4:47 pm

ma non si conoscono i killer
A distanza di 32 anni dall'agguato che uccise il giornalista, la Cassazione accerta che fu ordinato da Cosa nostra. Ma sugli esecutori materiali del delitto resta il vuoto
di Lirio Abbate
27 novembre 2020 Espresso
Restano senza volto gli esecutori materiali dell’omicidio di Mauro Rostagno. È accertato adesso dai giudici della Cassazione che il delitto è stato ordinato e voluto dalla mafia, ma non si sa chi abbia materialmente eseguito l’agguato. Non si sa, giudiziariamente, chi ha sparato la sera del 26 settembre 1988 a poche centinaia di metri dalla comunità Saman a Trapani. E così, a distanza di 32 anni dall’agguato, viene fuori una verità a metà.

È vero che i magistrati di Palermo che hanno giudicato gli imputati in primo grado e in appello hanno confermato quello che amici e familiari di Rostagno dicevano dal giorno della sua morte e cioè che il giornalista-sociologo è stato eliminato perché con la sua opera di informazione fatta in Tv aveva osato alzare il velo sugli interessi economici e politici di Cosa nostra a Trapani. E così la corte ha condannato all'ergastolo il boss Vincenzo Virga e Vito Mazzara. Virga come mandante, Mazzara come esecutore materiale dell'agguato. In Appello quest'ultimo - che era stato chiamato in causa da un esame del dna estratto dal sottocanna del fucile, compatibile al 99,9% con il suo - è stato assolto. Un quadro confermato adesso dalla Cassazione. C’è il mandante e non l’esecutore.

Per la riapertura del processo d'appello nei confronti di Mazzarra si sono battuti anche i legali di parte civile che rappresentano i familiari di Rostagno. In particolare l'avvocato Fausto Maria Amato ha sostenuto la sua istanza in favore di Chicca Roveri, seconda moglie di Rostagno, e di Maddalena, la loro figlia, mentre l'avvocato Fabio Lanfranca ha svolto l'arringa in rappresentanza di Carla e Monica Rostagno, rispettivamente sorella e primogenita di Mauro, e di Maria Teresa Conversano, la prima moglie del giornalista
La sentenza di Palermo aveva messo un punto fermo su una vicenda riaperta dopo una lunga paralisi investigativa attorno a piste inconsistenti.

In passato c'erano stati pregiudizi di chi aveva indagato sul delitto.
Rostagno fu ucciso per il suo «esemplare lavoro giornalistico» che aveva tanto infastidito la mafia. Passato attraverso l'esperienza della contestazione, negli anni Ottanta era approdato a Trapani dove aveva fondato la Saman con il suo amico Francesco Cardella. Ma in Sicilia aveva allargato l'orizzonte del suo impegno diventando una voce scomoda dell'informazione. Al punto che con i suoi interventi dagli schermi televisivi di Rtc di Trapani il giornalista-sociologo era diventato una "camurria" (un rompiscatole). Così lo aveva apostrofato Francesco Messina Denaro, padre del latitante Matteo. Per i giudici: «L’omicidio di Mauro Rostagno volto a stroncare una voce libera e indipendente, che denunziava il malaffare, ed esortava i cittadini trapanese a liberarsi della tirannia del potere mafioso, era un monito per chiunque volesse seguirne l’esempio o raccoglierne l’appello, soprattutto in un'area come quella del trapanese dove un ammaestramento del genere poteva impressionare molti».
Rostagno seguiva le tracce dei traffici di droga, dei legami tra mafia e la massoneria deviata, del malaffare nella pubblica amministrazione. Con i suoi servizi giornalistici aveva «svelato il volto nuovo della mafia a Trapani»: il passaggio da organizzazione tradizionale a struttura moderna e dinamica, gli intrecci con i poteri occulti, le nuove alleanze, il controllo del grande giro degli appalti.

Per lungo tempo la ricerca della verità è stata frenata da «sottovalutazioni inspiegabili, omissioni, miopie.
Quella sera del 26 settembre 1988 Rostagno, lasciata la redazione di Rtc, stava tornando in comunità. Al suo fianco nell'auto c'era la segretaria Monica Serra. La zona di Lenzi era al buio per un inspiegabile guasto alla centrale elettrica. Dopo la prima fucilata che colpisce Rostagno, il giornalista ha la forza di spingere la ragazza sotto il sedile. Poi viene finito a colpi di pistola.

Ci sono voluti più di 25 anni per far stabilire ai giudici con una sentenza, una verità giudiziaria diversa da come depistatori e nemici di Rostagno l'avevano fatta circolare dopo l’omicidio. La verità è che Rostagno è stato assassinato perché aveva svelato il profilo della nuova mafia a Trapani.
Secondo la corte vi è stata «la soppressione o dispersione di reperti, la manipolazione delle prove e reiterai atti di oggettivo depistaggio». È cosa nota che dalla sede di Rtc scomparve la videocassetta su cui Rostagno aveva scritto “Non toccare”. Lì, probabilmente, c’era il suo ultimo scoop, la registrazione con le riprese del presunto traffico d'armi nei pressi della pista d'atterraggio di Kinisia.

I giudici di Palermo sottolineano anche “l'inconsistenza delle piste alternative” che avevano cercato di classificare l’omicidio Rostagno come una “questione di corna” o come un delitto maturato all’interno della Saman coinvolgendo elementi della sua stessa famiglia, e viene resa giustizia mettendo nero su bianco che la pista mafiosa, seguita inizialmente dalla polizia e subito abbandonata dai carabinieri che la sostituirono nelle indagini, è invece quella giusta.

Adesso la sentenza della Cassazione «ha confermato il contesto mafioso dell'omicidio, e questo è importante», dice l’avvocato Fausto Maria Amato, ma «è un peccato che resti un vuoto sugli esecutori materiali del delitto».
Lidia Pege
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