Torna la legge italiana sull’inquinamento elettromagnetico

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Torna la legge italiana sull’inquinamento elettromagnetico

Messaggioda lidia.pege » ven set 17, 2021 11:05 pm

Torna attuale la legge italiana sull’inquinamento elettromagnetico
di Valerio Calzolaio da BO LIVE Università di Padova
Venti anni fa l’Italia si dotava di una legge quadro sull’inquinamento elettromagnetico, una delle prime in Europa che dedica norme generali della civile convivenza a regolare l’impatto ambientale, sanitario, paesaggistico, sociale di alcuni moderni essenziali impianti di trasmissione di energia e di comunicazione, anche rispetto a effetti di medio lungo periodo,non tutti già noti o certi. In teoria nessuno può essere esposto a campi elettromagnetici indiscriminatamente. Bisogna sapere a quali campi, di quanta entità, in che modo sommatisi, per quanto tempo, onda su onda; partendo dal principio che i loro effetti possono essere dannosi e che vi saranno limiti e valori che sono controllati e non devono essere comunque superati.
La questione di fondo è il ricorso al principio europeo di precauzione: potenziali effetti dannosi dell’esposizione prolungata sono stati da tempo identificati e la valutazione scientifica non permette di determinare il rischio con sufficiente grado di precisione. La legge propose un “quadro”. II legislatore nazionale dettò finalità, ambito di applicazione, definizioni e si riservò la (successiva) determinazione di limiti e valori unitari e uniformi per tutto il territorio nazionale per tutte le sorgenti, tutte le frequenze, tutti gli effetti, introducendo una diffusa attività amministrativa pubblica per la prevenzione e la riduzione dell'inquinamento magnetico, che i cittadini possono richiedere (ovunque non la si realizzi) a tutte le pubbliche istituzioni, politiche amministrative giudiziarie. I valori da non superare sono stati fissati e modificati in successivi controversi decreti interministeriali lungo tutto questo ventennio, talora svuotando la legge proprio con valori eccessivamente permissivi, lasciando i gestori liberi di programmare ogni proprio investimento, lasciando le aree a rischio (censite) senza tutela.
Pochi giorni fa, verso metà luglio 2021, in sede di conversione del decreto legge sulla cosiddetta governance da semplificare per il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è stato proposto di alzare uno dei limiti da 6 a 61 volt per metro (parliamo delle radiofrequenze), sorprendente visto che 6 volt per metro era stato introdotto già prima della legge quadro (in un atto del 1998 che sollecitò di fatto la stessa normativa generale) e solo ribadito dopo. Così l’elettrosmog è tornato in evidenza fra i titoli delle prime pagine degli organi di informazione e dei social. Si tratta dell’esposizione della popolazione ai campi connessi al funzionamento e all’esercizio dei sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell’intervallo di frequenza compreso tra 100 kHz e 300 GHz: gli impianti fissi di telefonia mobile, quelli per la generazione e trasmissione dei segnali radio e tv, inclusi i ponti radio, quelli di comunicazione satellitare. Non gli elettrodotti, non i cellulari, quello che sta a monte dei cellulari piuttosto.
Il ritorno dell’attualità della polarizzazione politica sull’elettrosmog dipende dalla volontà dei grandi operatori privati di abbassare i costi rispetto all’innovazione in corso verso le nuove generazioni di telefoni cellulari, parte della cosiddetta rivoluzione digitale del 5G e perciò di alzare i limiti finora individuati per prevenzione pubblica e cautela sanitaria. La questione è esplosa all’improvviso e in modo molto discutibile (tanto da suscitare opposizione anche da parte di molte regioni), soprattutto perché avrebbe cambiato con un episodico articolo di una legge su tutt’altra materia generale quel che la legge quadro decise di affidare alla ricerca scientifica e alla valutazione interministeriale. Per ora, tutto è stato accantonato, ma la questione resterà a lungo aperta. L’auspicio è che riprenda un percorso trasparente e partecipato, consapevole che le nuove tecnologie sono risorse da usare, ciascuno e tutti, con cognizione di causa, anche attraverso ponderati scientifici studi di carattere previsionale che mettano a confronto benefici e criticità, ovvero le ricadute ambientali, epidemiologiche e sociali.
Lidia Pege
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