Un'Italia da disoccupate, tra famiglia e poche chance di carriera
di GIANLUCA MORESCO Repubblica 20.2.2020 Repubblica
Fotografia drammatica del Censis: il nostro Paese è ultimo in Europa nel tasso di occupazione femminile. "Il 63,5% degli italiani riconosce che a volte può essere necessario o opportuno che una donna sacrifichi parte del suo tempo libero o della sua carriera per dedicarsi alla famiglia"
Ultimi, se fosse una gara non ci sarebbero dubbi: siamo ultimi. L'Italia si guarda indietro e non trova nessuno nella classifica dell'occupazione femminile. I dati presentati lo scorso novembre dal Censis lasciano una fotografia imbarazzante dello stato culturale del Paese in riferimento alla al rapporto lavoro/donna.
In Italia le donne che lavorano sono 9.768.000 e rappresentano il 42,1% degli occupati complessivi. Con un tasso di attività femminile del 56,2%, ultimi appunto tra i Paesi europei, guidati dalla Svezia, dove il tasso raggiunge l’81,2%. Le donne italiane sono molto lontane anche dal tasso di attività maschile, pari al 75,1%. E sono indietro anche nel tasso di occupazione, che nella fascia di età 15-64 anni è del 49,5% per le donne e del 67,6% per gli uomini. Nel confronto europeo riferito alla fascia d’età 20-64 anni, il tasso di occupazione femminile in Italia è del 53,1%, migliore solo di quello della Grecia.
E' un quadro generale che assume contorni drammatici se si entra in profondità verso un'analisi dettagliata dei dati. Nell’ultimo anno il tasso di disoccupazione in Italia è stata pari all’11,8% per le donne e al 9,7% per gli uomini. Ma tra le giovani di 15-24 anni si arriva al 34,8%, mentre per i maschi della stessa età si ferma al 30,4%. In questo caso è abissale la distanza con l’Europa, dove il tasso medio di disoccupazione giovanile per le donne è del 14,5%. In Germania scende al 5,1%, nel Regno Unito al 10,3%, in Francia è pari al 20%. Noi siamo penultimi, seguiti solo dalla Grecia (43,9%).
Numeri che portano a una riflessione allargata sul significato culturale di un simile divario. Anche studiare non sembra essere sufficiente per fare carriera. Le donne manager in Italia sono infatti solo il 27% dei dirigenti: un valore molto al di sotto di quello medio europeo (33,9%). Non solo le donne sono sottorappresentate nelle posizioni apicali, ma quando lavorano spesso svolgono mansioni per cui sarebbe sufficiente un titolo di studio più basso di quello che possiedono. E su questo interviene una considerazione decisiva per inquadrare il problema nel perimetro del generale modo di pensare della nostra Italia "Il 48,2% degli italiani è infatti convinto che le donne, per raggiungere gli stessi traguardi degli uomini, debbano studiare più di loro".
Le difficoltà a conciliare lavoro e famiglia
Quasi tutti gli italiani pensano che per una donna avere un lavoro sia molto (79,3%) o abbastanza (18,8%) importante. L’85,9% ritiene che per una donna sia molto (51,1%) o abbastanza (34,8%) importante anche avere figli. Ma queste due considerazioni sembrano non avere connessioni. Pensieri staccati senza alcun ponte di congiunzione. Per molte donne lavorare e formare una famiglia rimangono ancora oggi due percorsi paralleli e spesso incompatibili. Per questo una donna occupata su tre (il 32,4%, cioè più di 3 milioni di lavoratrici) ha un impiego part time. E forse è proprio il confronto con l'omologo maschile a mettere più a fuoco la fotografia: nel caso degli uomini questa percentuale si riduce infatti all’8,5%. Lungi dal rappresentare una forma di emancipazione e una libera scelta, il lavoro a tempo parziale è subito per mancanza di alternative da circa 2 milioni di lavoratrici (è involontario per il 60,2% delle donne che hanno un impiego part time). E anche qui vale la pena sottolineare il dato base di una mentalità che sembra farsi radice del sistema: "Il 63,5% degli italiani riconosce che a volte può essere necessario o opportuno che una donna sacrifichi parte del suo tempo libero o della sua carriera per dedicarsi alla famiglia".
Donne con figli piccoli
Sono quasi 6 milioni le donne italiane che hanno figli minori e che allo stesso tempo lavorano. Di queste, 2,4 milioni sono capofamiglia e 2 milioni hanno almeno tre figli minori. Tra le donne occupate con almeno tre figli, quasi 1,3 milioni (il 63,5%) lavora a tempo pieno e 171.000 (l’8,5% del totale delle occupate) sono dirigenti, quadri o imprenditrici.
Il gender pay gap nelle pensioni
Ovviamente lo slalom tra le difficoltà lavorative, gli inciampi di una carriera ultra trentennale, le battaglie di emancipazione interne allo stesso luogo di lavoro portano a una conclusione di cui è face immaginare i contorni. Percorsi lavorativi più accidentati e carriere meno brillanti determinano anche una differenza nei redditi da pensione. Conseguenza che si potrebbe definire algebrica. Nel 2017 le donne che percepivano una pensione da lavoro erano più di 5 milioni, con un importo medio annuo di 17.560 euro. Per i quasi 6 milioni di pensionati uomini l’importo medio era di 23.975 euro.
Vittime di violenza
Il 25 novembre si è celebrata la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Nel 2018 in Italia sono stati denunciati alle Forze dell’ordine 4.887 reati di violenza sessuale, di cui circa il 90% con vittima una donna. Di questi, 397 a danno di un minore di 14 anni. Al primo posto per numero di violenze sessuali c’è Milano con 481 denunce, seguita da Roma con 411 e Torino con 215. La prima provincia per numero di violenze sessuali denunciate in rapporto alla popolazione residente è Trieste, seguita da Rimini e Bologna. Insomma al nord peggio che al sud almeno a leggere le statistiche.
Tecnicamente il divario salariale uomo donna viene identificato coin tre parole guida "Gender pay gap". In Italia sembra tradursi in "Cultura difficile da scalfire".