Sulle foibe la ferita rimane aperta. Parla Gasparri, i dem se ne vanno
Polemica alle commemorazioni. Zanda accusa: «Propaganda». Fedriga: «Rispettate le vittime»
11 Febbraio 2020 la STAMPA
TRIESTE. I parlamentari del Pd abbandonano la cerimonia alla Foiba di Basovizza per protestare contro la presenza fra gli oratori del senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri. CasaPound affigge striscioni contro i partigiani jugoslavi in luoghi di ritrovo della minoranza slovena. Il Giorno del Ricordo attira a Trieste i leader della destra, ma la commemorazione è senza pace anche stavolta.
L’anno scorso era stato l’allora presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani a scatenare una polemica internazionale col suo «viva l’Istria e la Dalmazia italiane», pronunciato sul monumento triestino. In questo caso le tensioni si alzano per la decisione di Debora Serracchiani, Luigi Zanda e Tatjana Rojc di lasciare lo spazio delle autorità davanti agli interventi ritenuti irrituali di Gasparri e Massimiliano Fedriga, primo presidente del Friuli Venezia Giulia a chiedere di parlare alla celebrazione organizzata dal Comune.
Il presidente Sergio Mattarella ha appena stigmatizzato negazionismo e indifferenza per le vicende del confine orientale, ma queste finiscono di nuovo relegate a parte marginale del circo mediatico che ruota attorno al Giorno del ricordo, nonostante dal Senato il premier Giuseppe Conte inviti a «non sottovalutare il rischio di nuovi nazionalismi, odi, divisioni, oblii» e la presidente Maria Elisabetta Casellati condanni la contrapposizione ideologica che generò «un oblio spazzato via dalla verità», dopo aver coperto per decenni «un genocidio di ferocia inaudita». Per il governo, a Basovizza, parla il ministro Federico D’Inca: «Migliaia di persone non tornarono più a casa, furono deportate o sparirono nelle foibe. L’intero Paese deve camminare unito, senza strumentalizzazioni che servano a rinfocolare odi».
La scintilla scocca per il discorso conclusivo di Gasparri, che non è vicepresidente del Senato ma prende la parola a Trieste in rappresentanza della presidente Maria Elisabetta Casellati. I parlamentari Pd la considerano un’occupazione della cerimonia e accusano la destra di voler monopolizzare il 10 febbraio. «Sapevamo – dice dal palco Gasparri – ma troppi negavano questa sciagura nazionale, in cui chi non inneggiava al nuovo ordine di Tito spariva nel nulla. Quanto ci vorrà perché scompaiano i negazionismi?». Serracchiani, Zanda e Rojc se ne vanno e si attirano gli attacchi del centrodestra. «La Foiba di Basovizza – commenta Serracchiani – ormai è palcoscenico della destra sovranista. Questo giorno è una solennità, non un’occasione per spingersi in prima fila alla ricerca delle telecamere». Per Zanda, «c’è stato un eccesso di toni di propaganda, incluso Gasparri che era qui per rappresentare l’intero Senato». Il berlusconiano ex Msi respinge le critiche: «Ero intervenuto da rappresentante istituzionale e come tale ho articolato il mio discorso, in gran parte tratto dalle parole del presidente Mattarella».
A Trieste arrivano anche Matteo Salvini e Giorgia Meloni: strette di mano, sorrisi e selfie con un popolo che ieri era numeroso e che sente il richiamo della destra. «Spero – dice il segretario della Lega – che tutti i nostri figli possano studiare i crimini della storia di qualunque colore. I pochi negazionisti rimasti andrebbero educati, curati e internati». Gli fa eco Fedriga, chiedendo che «le istituzioni eliminino i finanziamenti a tutte le realtà che promuovono tesi di questo tipo». Argomenti condivisi da Giorgia Meloni, che aggiunge la richiesta di «revocare la medaglia della Repubblica con cui fu insignito Tito».
La mattinata era cominciata con la scoperta del raid con cui CasaPound ha affisso nella notte due manifesti sulla casa della cultura slovena di Opicina e sul teatro Prešeren di San Dorligo. Nel mirino i partigiani titoisti, definiti «infami e assassini». Poche ore prima era stata rinvenuta a Basovizza una scritta in cui si insultava la giovane istriana infoibata Norma Cossetto