Di Matteo a Palermo per l'anno giudiziario: "Non avere paura dei potenti"
Dopo tre anni il magistrato torna da componente del Consiglio superiore della magistratura, e pronuncia parole appassionate
di SALVO PALAZZOLO Repubblica
01 febbraio 2020
“Sono certo che saprete soffocare sul nascere il pericolo di un ritorno al passato – dice Nino Di Matteo nell'aula magna della Corte d'appello dove si inaugura il nuovo anno giudiziario – un ritorno a quegli opachi contesti nei quali trovano terreno fertile stragi e delitti eccellenti”.
Dopo tre anni, torna a Palermo da componente del Consiglio superiore della magistratura, e pronuncia parole appassionate, citando uno per uno i nomi dei magistrati uccisi dalla mafia: “Spero che Palermo abbia la volontà e la capacità di continuare a rappresentare l'esempio trainante di una giurisdizione che non ha paura di estendere ai potenti il controllo di legalità”. Un appello a tutti i magistrati: “Avete la grande responsabilità di sconfiggere la tentazione, sempre strisciante, dell'oblio e dell'appiattimento alle logiche del quieto vivere e, del falso e solo formale efficientismo burocratico. Sono certo che quello spirito del 92 che animò la riscossa contro il sistema mafioso venga gelosamente custodito nell'animo di ogni magistrato”.
Di Matteo ricorda cosa rappresentò quella stagione: “Questo è il distretto che ha sopportato sulle sue spalle l'urto più immediato della violenza mafiosa e le innumerevoli insidie delle complicità politiche e istituzionali di Cosa nostra. Da questi uffici, pur fra mille difficoltà e resistenze anche interne, è partita, nella immediatezza delle stragi del 1992, una splendida reazione, che nella consapevolezza che la lotta alla mafia è condizione essenziale di libertà e democrazia, ha trasformato Palermo nell'avamposto del contrasto alla criminalità organizzata. Questi uffici hanno, per molto tempo, rappresentato un insostituibile punto di riferimento, anche sociale e culturale, per quella parte del Paese che non si rassegna al predominio di metodi predatori e correttivi nella gestione del potere”.
Parole forti che entrano anche nella ferita grande all'interno della magistratura. “I fatti emersi con l’inchiesta di Perugia ci devono indignare ma non ci possono sorprendere. Non possiamo permetterci di essere ipocriti, rappresentano uno spaccato , una fotografia nitida, ma pur sempre parziale, di una grave patologia che rischia di minare l'intero sistema di autogoverno della magistratura”. La distorsione del sistema delle correnti, che Di Matteo definisce “una malattia che si è diffusa come un cancro, con la prevalenza di logiche di clientelismo , appartenenza correntizia o di cordata, di collateralismo con la politica”.