«Ipermercati addio, si andrà dove la cassiera ti riconosce..
Inviato: gio gen 09, 2020 2:29 pm
Vegè: «Ipermercati addio, si andrà dove la cassiera ti riconosce». Patto con Metro
di Alessandra Puato08 gen 2020 Corriere della sera
Ipermercati con file di scaffali e prodotti tutti uguali addio (o quasi), il futuro è dei piccoli negozi (tecnologici) dove le cassiere riconoscono i clienti e si vendono i prodotti freschissimi. Sono le super drogherie, i supermercati portatili (e territoriali) centrati sulle «isozone», le zone geografiche piccole ma omogenee per acquisti. Perché a Salerno Nord, per dire, i clienti chiedono prodotti diversi che a Salerno Sud, e vanno accontentati. Lo pensa Giorgio Santambrogio, amministratore delegato del gruppo Vegè che dichiara il 7% di quota di mercato (elaborazione su dati Nielsen), quinto posto in Italia. E corre, diversamente da alcuni grandi gruppi della distribuzione organizzata in crisi. Si pensi ad Auchan, che ha ceduto i suoi punti vendita; o alla revisione degli ipermercati varata da Carrefour, che si sta concentrando proprio sulle piccole superfici e ha annunciato un piano di esuberi in Italia entro il 2022. «L’obiettivo di Vegè è chiudere il 2020 con 11 miliardi di fatturato», ha detto Santambrogio: un’impennata dai 7,5 miliardi del 2019, quasi il doppio (+77%) rispetto ai 6,2 miliardi del 2017. «Nel 2011 era di un miliardo», dice il presidente Nicola Mastromartino, ai vertici del gruppo da quell’anno.
I fattorini in bici
Vegè, definito gruppo della distribuzione moderna, ha un modello ibrido. Raduna le insegne di 35 imprese mandanti, forti ciascuna sul proprio territorio, con 3.528 punti vendita (dalle superette ai cash&carry) e 2,4 milioni di metri quadri di superficie commerciale complessiva — in tutta Italia: da Migross nel Nord Est a Nonna Isa in Sardegna, da Tondato nel Veneto a Sidis in Calabria e Arena in Sicilia. Dopo l’arrivo fra i soci di Bennet e Multicash , operativo da inizio anno, Santambrogio ha ora annunciato (l’8 gennaio) un’alleanza d’acquisto di Vegè con Metro per il mercato «away from home», della ristorazione fuori casa. È un settore in crescita, questo, anche per il fenomeno dei pranzi e delle cene ordinati con i fattorini in bicicletta. La ristorazione «da rider», ha detto Santambrogio, è diventata infatti un concorrente cruciale della grande distribuzione, visto che le persone preferiscono ordinare il cibo da casa piuttosto che andare a fare la spesa. Un altro elemento per la metamorfosi delle catene di supermercati, che stanno cambiando pelle.
Le insegne territoriali
Il modello di Vegè è lasciare a chi si associa la propria insegna territoriale, e di trattare poi gli acquisti con i fornitori con una piattaforma comune (Aicube, dov’è entrato anche Carrefour). Questo consente, in linea torica, di abbassare i prezzi alla clientela, perché si guadagna potere nella trattativa con le multinazionali, da Coca Cola a Nestlè. In generale, è il «modello Vegè» che sta emergendo, come alternativa alle mega superfici alimentari. «L’insegna unica non è efficace, al cliente interessano buoni prezzi e mantenere una relazione con il venditore, che magari gli offre il caffè al mattino come fa la catena Piccolo a Napoli. Il futuro della distribuzione organizzata è avere un grande impatto all’origine, sull’acquisto dei prodotti. Il mini-ipermercato resiste, rispetto alle grandi superfici alimentari da 15 mila metri quadrati».
L’alleanza con Metro
L’accordo di Vegè con Metro è l’ultima tessera: un’alleanza d’acquisto per tre anni, focalizzata sul mercato dei consumi fuori casa, cioè per la ristorazione: che in Italia (dati Tradelab), dove si calcola che il 60% della popolazione di 60 milioni di persone mangi fuori casa almeno una volta al mese, sta crescendo del 2,7% all’anno e vale 26,7 miliardi. In sostanza, Metro — 100 mila dipendenti nel mondo con 27,1 miliardi dichiarati di giro d’affari, dai 22,3 miliardi del 2012 — collabora con Vegè nelle trattative sugli acquisti con le multinazionali; e Vegè acquisisce più potere contrattuale dalla mole di prodotti smerciati da Metro. Significa abbassare i prezzi al consumo.
L’ipotesi di allargamento del capitale
«L’alleanza con Vegè mette a fattor comune le nostre competenze e i punti di forza per una proposta commerciale migliore per i professionisti di hotel, ristorazione e catering — ha detto Tanya Kopps, amministratrice delegata di Metro Italia che dichiara ricavi per 1,74 miliardi nell’ultimo anno —. Vegè è un importante operatore nella distribuzione italiana, con tanti formati distributivi e interesse alla ristorazione fuori casa. Collaboreremo sugli acquisti». «È un fidanzamento che, chissà, potrebbe in futuro diventare un matrimonio», ha detto Santambrogio, riferendosi alla possibilità che come Bennet (che le ha consentito di allargarsi in Lombardia) anche Metro entri in futuro nella compagine societaria di Vegè.
di Alessandra Puato08 gen 2020 Corriere della sera
Ipermercati con file di scaffali e prodotti tutti uguali addio (o quasi), il futuro è dei piccoli negozi (tecnologici) dove le cassiere riconoscono i clienti e si vendono i prodotti freschissimi. Sono le super drogherie, i supermercati portatili (e territoriali) centrati sulle «isozone», le zone geografiche piccole ma omogenee per acquisti. Perché a Salerno Nord, per dire, i clienti chiedono prodotti diversi che a Salerno Sud, e vanno accontentati. Lo pensa Giorgio Santambrogio, amministratore delegato del gruppo Vegè che dichiara il 7% di quota di mercato (elaborazione su dati Nielsen), quinto posto in Italia. E corre, diversamente da alcuni grandi gruppi della distribuzione organizzata in crisi. Si pensi ad Auchan, che ha ceduto i suoi punti vendita; o alla revisione degli ipermercati varata da Carrefour, che si sta concentrando proprio sulle piccole superfici e ha annunciato un piano di esuberi in Italia entro il 2022. «L’obiettivo di Vegè è chiudere il 2020 con 11 miliardi di fatturato», ha detto Santambrogio: un’impennata dai 7,5 miliardi del 2019, quasi il doppio (+77%) rispetto ai 6,2 miliardi del 2017. «Nel 2011 era di un miliardo», dice il presidente Nicola Mastromartino, ai vertici del gruppo da quell’anno.
I fattorini in bici
Vegè, definito gruppo della distribuzione moderna, ha un modello ibrido. Raduna le insegne di 35 imprese mandanti, forti ciascuna sul proprio territorio, con 3.528 punti vendita (dalle superette ai cash&carry) e 2,4 milioni di metri quadri di superficie commerciale complessiva — in tutta Italia: da Migross nel Nord Est a Nonna Isa in Sardegna, da Tondato nel Veneto a Sidis in Calabria e Arena in Sicilia. Dopo l’arrivo fra i soci di Bennet e Multicash , operativo da inizio anno, Santambrogio ha ora annunciato (l’8 gennaio) un’alleanza d’acquisto di Vegè con Metro per il mercato «away from home», della ristorazione fuori casa. È un settore in crescita, questo, anche per il fenomeno dei pranzi e delle cene ordinati con i fattorini in bicicletta. La ristorazione «da rider», ha detto Santambrogio, è diventata infatti un concorrente cruciale della grande distribuzione, visto che le persone preferiscono ordinare il cibo da casa piuttosto che andare a fare la spesa. Un altro elemento per la metamorfosi delle catene di supermercati, che stanno cambiando pelle.
Le insegne territoriali
Il modello di Vegè è lasciare a chi si associa la propria insegna territoriale, e di trattare poi gli acquisti con i fornitori con una piattaforma comune (Aicube, dov’è entrato anche Carrefour). Questo consente, in linea torica, di abbassare i prezzi alla clientela, perché si guadagna potere nella trattativa con le multinazionali, da Coca Cola a Nestlè. In generale, è il «modello Vegè» che sta emergendo, come alternativa alle mega superfici alimentari. «L’insegna unica non è efficace, al cliente interessano buoni prezzi e mantenere una relazione con il venditore, che magari gli offre il caffè al mattino come fa la catena Piccolo a Napoli. Il futuro della distribuzione organizzata è avere un grande impatto all’origine, sull’acquisto dei prodotti. Il mini-ipermercato resiste, rispetto alle grandi superfici alimentari da 15 mila metri quadrati».
L’alleanza con Metro
L’accordo di Vegè con Metro è l’ultima tessera: un’alleanza d’acquisto per tre anni, focalizzata sul mercato dei consumi fuori casa, cioè per la ristorazione: che in Italia (dati Tradelab), dove si calcola che il 60% della popolazione di 60 milioni di persone mangi fuori casa almeno una volta al mese, sta crescendo del 2,7% all’anno e vale 26,7 miliardi. In sostanza, Metro — 100 mila dipendenti nel mondo con 27,1 miliardi dichiarati di giro d’affari, dai 22,3 miliardi del 2012 — collabora con Vegè nelle trattative sugli acquisti con le multinazionali; e Vegè acquisisce più potere contrattuale dalla mole di prodotti smerciati da Metro. Significa abbassare i prezzi al consumo.
L’ipotesi di allargamento del capitale
«L’alleanza con Vegè mette a fattor comune le nostre competenze e i punti di forza per una proposta commerciale migliore per i professionisti di hotel, ristorazione e catering — ha detto Tanya Kopps, amministratrice delegata di Metro Italia che dichiara ricavi per 1,74 miliardi nell’ultimo anno —. Vegè è un importante operatore nella distribuzione italiana, con tanti formati distributivi e interesse alla ristorazione fuori casa. Collaboreremo sugli acquisti». «È un fidanzamento che, chissà, potrebbe in futuro diventare un matrimonio», ha detto Santambrogio, riferendosi alla possibilità che come Bennet (che le ha consentito di allargarsi in Lombardia) anche Metro entri in futuro nella compagine societaria di Vegè.