Francesco a Hiroshima e Nagasaki: “Mai più la guerra
Inviato: dom nov 24, 2019 2:24 pm
Francesco a Hiroshima e Nagasaki: “Mai più la guerra, mai più il boato delle armi”
Il Pontefice al memoriale di Hiroshima (afp)
Nei luoghi dell’apocalisse nucleare, il Papa chiamato dai giapponesi in segno di rispetto “Kyo-o”, e cioè “Imperatore”, s’inchina davanti ai morti e a coloro che, sopravvissuti, hanno sopportato nei propri corpi per molti anni le sofferenze più acute
Repubblica PAOLO RODARI
24 novembre 2019
HIROSHIMA E NAGASAKI. Invoca “mai più la guerra, mai più il boato delle armi, mai più tanta sofferenza!” E ricorda che “l’uso dell’energia atomica per fini di guerra, e anche il suo possesso, è immorale”. “Saremo giudicati per questo”, dice. E ancora: “Le nuove generazioni si alzeranno come giudici della nostra disfatta”.
È una serata fresca con qualche nuvola, a Hiroshima, seconda tappa, questo pomeriggio, del soggiorno in Giappone di Francesco dopo Nagasaki visitata questa mattina. Nel Parco del Memoriale della Pace, due vittime offrono dei fiori al Papa che li depone ai piedi del monumento. Una piccola candela viene accesa. Suona una campana. Tutti pregano per qualche minuto in silenzio. Nella città che il 6 agosto 1945, durante la seconda guerra mondiale, fu bersaglio della bomba atomica al plutonio Little Boy, la prima mai fatta esplodere su un’area popolata – tre giorni dopo, il 9 agosto, Fat Man fu sganciata su Nagasaki – il vescovo di Roma che come i suoi predecessori conosce la sofferenza provocata dagli armamenti nucleari ricorda che “l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune”. E chiede che l’orrore non abbia più luogo, evocando quel “jamais plus la guerre” pronunciato da Paolo VI, nella lingua del corpo diplomatico, il 4 ottobre del 1965 davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite.
Ottantamila persone morirono sul colpo a Hiroshima. Molte altre sono morte successivamente per effetto delle radiazioni. A circa 580 metri dal suolo esplose una grande luce, poi fu il buio più nero. Circa il 90 per cento degli edifici fu completamente raso al suolo e tutti i cinquantuno templi della città andarono distrutti. Dal Parco del Memoriale della Pace – dal 1996 patrimonio dell’Unesco come simbolo della forza più distruttiva mai creata – le parole di Francesco sono come un lamento funebre, un’invocazione al “Dio di misericordia e Signore della storia” da questo luogo “crocevia di morte e di vita, di sconfitta e di rinascita, di sofferenza e di pietà”.
Sul monumento Cenotafio sono incisi i nomi di quanti persero la vita. Di loro parla il Papa, dei “loro sogni e speranze” spezzatisi d’improvviso “in mezzo a un bagliore di folgore e fuoco”. Di loro, dice, “non è rimasto altro che ombra e silenzio. Appena un istante, e tutto venne divorato da un buco nero di distruzione e morte. Da quell’abisso di silenzio, ancora oggi si continua ad ascoltare il forte grido di coloro che non sono più. Provenivano da luoghi diversi, avevano nomi diversi, alcuni di loro parlavano diverse lingue. Sono rimasti tutti uniti da uno stesso destino, in un’ora tremenda che segnò per sempre non solo la storia di questo Paese, ma il volto dell’umanità”.
Non è un mero esercizio retorico per Bergoglio fare memoria. È piuttosto ricordare affinché mai più l’orrore si ripeta. Lui che in Giappone è chiamato “Kyo-o”, e cioè “imperatore” in segno di massimo rispetto e onore, chiede un “inchino” davanti “alla forza e alla dignità di coloro che, essendo sopravvissuti a quei primi momenti, hanno sopportato nei propri corpi per molti anni le sofferenze più acute e, nelle loro menti, i germi della morte che hanno continuato a consumare la loro energia vitale”. E si domanda come si possa parlare di pace mentre si costruiscono armi di guerra, mentre si giustificano azioni illegittime con discorsi di discriminazione e di odio, mentre si usa l’intimidazione bellica nucleare come ricorso legittimo per la risoluzione dei conflitti. Hiroshima apre nella mente e nei cuori di tutti un “abisso di dolore”, dice, che deve far richiamare “i limiti che non si dovrebbero mai oltrepassare”. Perché “la vera pace può essere solo una pace disarmata”.
Come Hiroshima così Nagasaki, la prima città visitata dal Papa dopo l’arrivo a Tokyo da Bangkok. Qui morirono quarantamila persone. Più di un terzo della città fu raso al suolo. L’ipocentro dell’esplosione si ebbe in quello che è oggi il Parco della Pace, il memoriale dove Francesco ha fortemente desiderato arrivare e dove questa mattina, sotto nuvole basse e grigie, un temporale si è sfogato con forti tuoni. Poco meno di due anni fa, mentre il mondo assisteva alle trattative tra Usa e Corea del Nord e alle minacce di nuovi attacchi, Bergoglio regalò ai giornalisti che lo accompagnavano in Cile e Perù una foto scattata qui nel ’45 dal fotografo statunitense Joseph Roger O’Donnell: un ragazzo con in spalla il fratellino morto nel bombardamento atomico attende il suo turno per far cremare il corpicino senza vita. Francesco volle riprodurre quella foto su un cartoncino, accompagnandola con un commento eloquente, “il frutto della guerra”, seguito dalla sua firma autografa. Oggi quella stessa foto è stata riprodotta e installata a pochi metri da dove legge il suo discorso.
Anche a Nagasaki, Francesco parla con compostezza di un “dolore” e un “orrore indicibile”. E chiede, dopo aver deposto una corona di fiori bianchi a ricordo di chi non c’è più ed essersi fermato per più di un minuto in silenzio a pregare, di dare fine alla corsa agli armamenti. Perché il “possesso delle armi nucleari e di altre armi di distruzione di massa non è la migliore risposta” al desiderio di pace e stabilità: “Questo desiderio, anzi, sembrano metterlo continuamente alla prova”. E ricorda come “i soldi spesi e le fortune guadagnate per fabbricare, ammodernare, mantenere e vendere le armi, sempre più distruttive, sono un attentato continuo che grida al cielo”.
Arriva nel Parco contornato da cinquecento ciliegi simbolo di rinascita e bellezza, Francesco, e si ferma davanti a una stele di marmo nero con i nomi delle vittime. La stele, come il Parco, ricorda gli orrori della guerra, ma vuole anche diffondere un messaggio di speranza e di pace. Non a caso, la Statua della Preghiera della Pace, alta dieci metri ed opera dello scultore Seibo Kitamura, indica sì con la mano destra il cielo per ricordare la minaccia delle armi nucleari, ma con il braccio sinistro esteso simboleggia anche il desiderio di pace nel mondo.
Vaticano
Thailandia, il Papa ai vescovi: "Noi, scelti come servitori e non come padroni"
dal nostro inviato PAOLO RODARI
L’arrivo di Bergoglio è per non dimenticare “l’orrore indicibile subito nella propria carne dalle vittime e dalle loro famiglie”. E anche per denunciare la “dicotomia perversa di voler difendere e garantire la stabilità e la pace sulla base di una falsa sicurezza supportata da una mentalità di paura e sfiducia, che finisce per avvelenare le relazioni tra i popoli e impedire ogni possibile dialogo”. È qui che Bergoglio dice di non ritenere mai sufficienti “i tentativi di alzare la voce contro la corsa agli armamenti. Qui, in questa città, “che è testimone delle catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali di un attacco nucleare”.
Per il magistero dei Pontefici la risposta alla minaccia delle armi nucleari dev’essere collettiva e concertata, “basata sull’ardua ma costante costruzione di una fiducia reciproca che spezzi la dinamica di diffidenza attualmente prevalente”. Già nel ’63 Giovanni XXIII, poco dopo la crisi missilistica di Cuba, chiese nella “Pacem in terris” la proibizione delle armi atomiche, e affermò come una vera e duratura pace internazionale non può poggiare sull’equilibrio delle forze militari, ma solo sulla fiducia reciproca. Francesco fa suo questo auspicio, chiedendo di “rompere la dinamica della diffidenza che attualmente prevale e che fa correre il rischio di arrivare allo smantellamento dell’architettura internazionale di controllo degli armamenti”. “Stiamo assistendo – continua – a un’erosione del multilateralismo, ancora più grave di fronte allo sviluppo delle nuove tecnologie delle armi”.
Per la Chiesa Cattolica la strada per un futuro di pace passa oggi dal sostegno ai principali strumenti giuridici internazionali di disarmo e non proliferazione nucleare, fra questi il Trattato sul divieto delle armi nucleari a cui diversi Paesi importanti ancora non aderiscono. Più leader politici sembrano non riconoscere come le armi nucleari non difendano dalle minacce alla sicurezza nazionale e internazionale e, nello stesso tempo, faticano a riconoscere “l’impatto catastrofico del loro uso dal punto di vista umanitario e ambientale”, andando così a rafforzare “un clima di paura, diffidenza e ostilità”.
Molte risorse potrebbero invece essere utilizzate per lo sviluppo sostenibile. Lo suggerì già, nel ’64, Paolo VI, quando propose di aiutare i più diseredati attraverso un Fondo Mondiale, alimentato con una parte delle spese militari. Lo propone questa mattina Francesco che a Nagasaki chiude il suo intervento chiedendo a tutti, credenti e non credenti, di recitare insieme la preghiera per la pace attribuita a Francesco d’Assisi, il santo di cui il 13 marzo del 2013, la sera dell’elezione, decise di prendere il nome
Il Pontefice al memoriale di Hiroshima (afp)
Nei luoghi dell’apocalisse nucleare, il Papa chiamato dai giapponesi in segno di rispetto “Kyo-o”, e cioè “Imperatore”, s’inchina davanti ai morti e a coloro che, sopravvissuti, hanno sopportato nei propri corpi per molti anni le sofferenze più acute
Repubblica PAOLO RODARI
24 novembre 2019
HIROSHIMA E NAGASAKI. Invoca “mai più la guerra, mai più il boato delle armi, mai più tanta sofferenza!” E ricorda che “l’uso dell’energia atomica per fini di guerra, e anche il suo possesso, è immorale”. “Saremo giudicati per questo”, dice. E ancora: “Le nuove generazioni si alzeranno come giudici della nostra disfatta”.
È una serata fresca con qualche nuvola, a Hiroshima, seconda tappa, questo pomeriggio, del soggiorno in Giappone di Francesco dopo Nagasaki visitata questa mattina. Nel Parco del Memoriale della Pace, due vittime offrono dei fiori al Papa che li depone ai piedi del monumento. Una piccola candela viene accesa. Suona una campana. Tutti pregano per qualche minuto in silenzio. Nella città che il 6 agosto 1945, durante la seconda guerra mondiale, fu bersaglio della bomba atomica al plutonio Little Boy, la prima mai fatta esplodere su un’area popolata – tre giorni dopo, il 9 agosto, Fat Man fu sganciata su Nagasaki – il vescovo di Roma che come i suoi predecessori conosce la sofferenza provocata dagli armamenti nucleari ricorda che “l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune”. E chiede che l’orrore non abbia più luogo, evocando quel “jamais plus la guerre” pronunciato da Paolo VI, nella lingua del corpo diplomatico, il 4 ottobre del 1965 davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite.
Ottantamila persone morirono sul colpo a Hiroshima. Molte altre sono morte successivamente per effetto delle radiazioni. A circa 580 metri dal suolo esplose una grande luce, poi fu il buio più nero. Circa il 90 per cento degli edifici fu completamente raso al suolo e tutti i cinquantuno templi della città andarono distrutti. Dal Parco del Memoriale della Pace – dal 1996 patrimonio dell’Unesco come simbolo della forza più distruttiva mai creata – le parole di Francesco sono come un lamento funebre, un’invocazione al “Dio di misericordia e Signore della storia” da questo luogo “crocevia di morte e di vita, di sconfitta e di rinascita, di sofferenza e di pietà”.
Sul monumento Cenotafio sono incisi i nomi di quanti persero la vita. Di loro parla il Papa, dei “loro sogni e speranze” spezzatisi d’improvviso “in mezzo a un bagliore di folgore e fuoco”. Di loro, dice, “non è rimasto altro che ombra e silenzio. Appena un istante, e tutto venne divorato da un buco nero di distruzione e morte. Da quell’abisso di silenzio, ancora oggi si continua ad ascoltare il forte grido di coloro che non sono più. Provenivano da luoghi diversi, avevano nomi diversi, alcuni di loro parlavano diverse lingue. Sono rimasti tutti uniti da uno stesso destino, in un’ora tremenda che segnò per sempre non solo la storia di questo Paese, ma il volto dell’umanità”.
Non è un mero esercizio retorico per Bergoglio fare memoria. È piuttosto ricordare affinché mai più l’orrore si ripeta. Lui che in Giappone è chiamato “Kyo-o”, e cioè “imperatore” in segno di massimo rispetto e onore, chiede un “inchino” davanti “alla forza e alla dignità di coloro che, essendo sopravvissuti a quei primi momenti, hanno sopportato nei propri corpi per molti anni le sofferenze più acute e, nelle loro menti, i germi della morte che hanno continuato a consumare la loro energia vitale”. E si domanda come si possa parlare di pace mentre si costruiscono armi di guerra, mentre si giustificano azioni illegittime con discorsi di discriminazione e di odio, mentre si usa l’intimidazione bellica nucleare come ricorso legittimo per la risoluzione dei conflitti. Hiroshima apre nella mente e nei cuori di tutti un “abisso di dolore”, dice, che deve far richiamare “i limiti che non si dovrebbero mai oltrepassare”. Perché “la vera pace può essere solo una pace disarmata”.
Come Hiroshima così Nagasaki, la prima città visitata dal Papa dopo l’arrivo a Tokyo da Bangkok. Qui morirono quarantamila persone. Più di un terzo della città fu raso al suolo. L’ipocentro dell’esplosione si ebbe in quello che è oggi il Parco della Pace, il memoriale dove Francesco ha fortemente desiderato arrivare e dove questa mattina, sotto nuvole basse e grigie, un temporale si è sfogato con forti tuoni. Poco meno di due anni fa, mentre il mondo assisteva alle trattative tra Usa e Corea del Nord e alle minacce di nuovi attacchi, Bergoglio regalò ai giornalisti che lo accompagnavano in Cile e Perù una foto scattata qui nel ’45 dal fotografo statunitense Joseph Roger O’Donnell: un ragazzo con in spalla il fratellino morto nel bombardamento atomico attende il suo turno per far cremare il corpicino senza vita. Francesco volle riprodurre quella foto su un cartoncino, accompagnandola con un commento eloquente, “il frutto della guerra”, seguito dalla sua firma autografa. Oggi quella stessa foto è stata riprodotta e installata a pochi metri da dove legge il suo discorso.
Anche a Nagasaki, Francesco parla con compostezza di un “dolore” e un “orrore indicibile”. E chiede, dopo aver deposto una corona di fiori bianchi a ricordo di chi non c’è più ed essersi fermato per più di un minuto in silenzio a pregare, di dare fine alla corsa agli armamenti. Perché il “possesso delle armi nucleari e di altre armi di distruzione di massa non è la migliore risposta” al desiderio di pace e stabilità: “Questo desiderio, anzi, sembrano metterlo continuamente alla prova”. E ricorda come “i soldi spesi e le fortune guadagnate per fabbricare, ammodernare, mantenere e vendere le armi, sempre più distruttive, sono un attentato continuo che grida al cielo”.
Arriva nel Parco contornato da cinquecento ciliegi simbolo di rinascita e bellezza, Francesco, e si ferma davanti a una stele di marmo nero con i nomi delle vittime. La stele, come il Parco, ricorda gli orrori della guerra, ma vuole anche diffondere un messaggio di speranza e di pace. Non a caso, la Statua della Preghiera della Pace, alta dieci metri ed opera dello scultore Seibo Kitamura, indica sì con la mano destra il cielo per ricordare la minaccia delle armi nucleari, ma con il braccio sinistro esteso simboleggia anche il desiderio di pace nel mondo.
Vaticano
Thailandia, il Papa ai vescovi: "Noi, scelti come servitori e non come padroni"
dal nostro inviato PAOLO RODARI
L’arrivo di Bergoglio è per non dimenticare “l’orrore indicibile subito nella propria carne dalle vittime e dalle loro famiglie”. E anche per denunciare la “dicotomia perversa di voler difendere e garantire la stabilità e la pace sulla base di una falsa sicurezza supportata da una mentalità di paura e sfiducia, che finisce per avvelenare le relazioni tra i popoli e impedire ogni possibile dialogo”. È qui che Bergoglio dice di non ritenere mai sufficienti “i tentativi di alzare la voce contro la corsa agli armamenti. Qui, in questa città, “che è testimone delle catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali di un attacco nucleare”.
Per il magistero dei Pontefici la risposta alla minaccia delle armi nucleari dev’essere collettiva e concertata, “basata sull’ardua ma costante costruzione di una fiducia reciproca che spezzi la dinamica di diffidenza attualmente prevalente”. Già nel ’63 Giovanni XXIII, poco dopo la crisi missilistica di Cuba, chiese nella “Pacem in terris” la proibizione delle armi atomiche, e affermò come una vera e duratura pace internazionale non può poggiare sull’equilibrio delle forze militari, ma solo sulla fiducia reciproca. Francesco fa suo questo auspicio, chiedendo di “rompere la dinamica della diffidenza che attualmente prevale e che fa correre il rischio di arrivare allo smantellamento dell’architettura internazionale di controllo degli armamenti”. “Stiamo assistendo – continua – a un’erosione del multilateralismo, ancora più grave di fronte allo sviluppo delle nuove tecnologie delle armi”.
Per la Chiesa Cattolica la strada per un futuro di pace passa oggi dal sostegno ai principali strumenti giuridici internazionali di disarmo e non proliferazione nucleare, fra questi il Trattato sul divieto delle armi nucleari a cui diversi Paesi importanti ancora non aderiscono. Più leader politici sembrano non riconoscere come le armi nucleari non difendano dalle minacce alla sicurezza nazionale e internazionale e, nello stesso tempo, faticano a riconoscere “l’impatto catastrofico del loro uso dal punto di vista umanitario e ambientale”, andando così a rafforzare “un clima di paura, diffidenza e ostilità”.
Molte risorse potrebbero invece essere utilizzate per lo sviluppo sostenibile. Lo suggerì già, nel ’64, Paolo VI, quando propose di aiutare i più diseredati attraverso un Fondo Mondiale, alimentato con una parte delle spese militari. Lo propone questa mattina Francesco che a Nagasaki chiude il suo intervento chiedendo a tutti, credenti e non credenti, di recitare insieme la preghiera per la pace attribuita a Francesco d’Assisi, il santo di cui il 13 marzo del 2013, la sera dell’elezione, decise di prendere il nome