Italiani all’estero, “su 14mila rientrati con gli incentivi
Inviato: gio nov 21, 2019 3:11 pm
Italiani all’estero, “su 14mila rientrati con gli incentivi fiscali, la metà è ripartita. E le norme sono un labirinto”
Il calcolo è stato elaborato dalla più importante community italiana per il rientro dei cervelli in fuga e prende in esame il periodo dal 2011 al 2017. Il suo obiettivo è quello di portare a governo e parlamento le istanze dei rimpatriati, che aiutano a districarsi tra le norme sugli incentivi. "Dovrebbe farlo lo Stato, ma non succede. Quindi ci pensiamo noi"
di Paolo Frosina | 21 Novembre 2019 FQ
Su 14mila lavoratori rientrati in Italia grazie agli incentivi fiscali, più della metà sono scappati di nuovo. È la conclusione di uno studio del gruppo Controesodo, la più importante community italiana per il rientro dei cervelli in fuga, che ha analizzato dati dell’Agenzia dell’Entrate e dal Ministero del Lavoro. Nel periodo dal 2011 al 2017 – cioè gli anni successivi all’entrata in vigore della legge 238 del 2010, che abbatteva l’imponibile fino all’80% per i rimpatriati – si stima che 14mila persone abbiano scelto di tornare a lavorare nel nostro Paese. 7.033 di loro sono già ripartite per l’estero. “Gli incentivi sono una delle motivazioni che spingono gli expat a tornare, anche se sappiamo che non sono decisivi. Ma, così come sono disciplinati al momento, non bastano per trattenerli in Italia a lungo”, spiega a ilfattoquotidiano.it Francesco Rossi, uno dei fondatori della community. “Si tratta di lavoratori qualificati, abituati a spostarsi e che all’estero possono contare su stipendi in media molto più alti. Per questo, una volta esaurito il periodo di minor tassazione, è facile che cedano alle sirene di un nuovo impiego all’estero”.
Migrantes, nel 2018 oltre 128mila italiani emigrati all’estero: in 13 anni aumentati del 70%
Alla nascita, nel 2015, il gruppo Controesodo contava una ventina scarsa di persone, messe insieme con il passaparola. Lo scopo era a breve termine: convincere il governo a ripristinare gli incentivi fiscali della legge 238/2010, la legge “Controesodo” appunto, un provvedimento innovativo grazie al quale molti di loro erano tornati a vivere e produrre reddito nel nostro Paese. Un argine alla fuga di competenze che solo nel 2018 ha tolto all’Italia 128mila residenti, in gran parte giovani e laureati. Da allora non si è più fermato: oggi è un riconosciuto punto di riferimento per i “cervelli di ritorno”, con un migliaio di iscritti registrati sul sito gruppocontroesodo.it. Alcuni già rimpatriati, altri tentati di farlo ma ancora in dubbio. A tutti Controesodo fornisce consulenza gratuita sulle agevolazioni fiscali applicabili al loro caso, un insieme di norme che negli ultimi anni è diventato assai complesso. Non solo, ma il gruppo svolge anche una funzione di rappresentanza, portando nelle istituzioni la voce dei “temerari” che hanno deciso di tornare – o vorrebbero farlo – ma chiedono allo Stato di incoraggiarli, o almeno di non rendergli la vita più difficile.
“Ciò che facciamo, a titolo amatoriale e volontario, è colmare una mancanza istituzionale”, spiega a ilfattoquotidiano.it Francesco Rossi, 41 anni, uno dei fondatori di Controesodo. Consulente nel settore parabancario, ha vissuto per 8 anni a Dublino prima di rientrare in Italia nel 2011: insieme a Michele Valentini – 40 anni, tornato da Londra nel 2013 – tiene le fila della community, fa da portavoce degli iscritti e risponde alle loro domande. “Le norme sugli incentivi sono un labirinto, è difficile capirci qualcosa se non le si conosce a fondo. Servirebbe un portale, uno strumento che lo Stato metta a disposizione dei cittadini per orientarsi senza spendere un sacco di soldi in fiscalisti. Ma non c’è, quindi ci pensiamo noi. È una cosa che non avevamo pensato di fare all’inizio, ma ci siamo accorti che era necessaria”. Ed è un lavoro a tempo pieno, anche se non retribuito: Francesco e Michele, da soli, rispondono a migliaia di mail all’anno. Le situazioni sono le più diverse: c’è chi si è laureato all’estero e ha ricevuto un’offerta di lavoro in Italia, chi è tornato da qualche anno ma valuta di ripartire una volta cessati gli incentivi, chi ha già fatto carriera fuori ma vorrebbe tornare per stare vicino alla famiglia.
Erc, 37 italiani vincono le borse di studio del Consiglio europeo della Ricerca: ma solo 18 lavorano in Italia
Accanto alle consulenze, i portavoce della community proseguono la missione originaria: portare a governo e parlamento le istanze dei rimpatriati. Sul sito c’è l’elenco dei risultati ottenuti nel corso degli anni, dal ripristino degli incentivi previsti dalla legge Controesodo alla rimozione del conguaglio chiesto dallo Stato per cambiare regime fiscale, passando da quello originario del 2010 a quello introdotto nel 2015 tra varie contraddizioni. Ma sono molte le battaglie ancora da vincere, e la prima, spiega Francesco, si gioca sulla legge di bilancio in via di approvazione: “Nel Decreto crescita convertito in legge a giugno il governo ha accolto alcuni nostri suggerimenti, portando l’abbattimento dell’imponibile per i rimpatriati dal 50% al 70%, addirittura al 90% per chi va a vivere al Sud. Inoltre, se si acquista un’abitazione o si fa un figlio, il periodo in cui si ha diritto al beneficio sale da cinque a dieci anni. Peccato che tutto ciò valga solo per chi si trasferirà in Italia a partire dal 2020, lasciando fuori gli altri e creando una sorta di discriminazione tra ‘cervelli di serie A’ e di ‘serie B’. Così si rischia che, una volta scaduti i cinque anni di incentivi, centinaia di lavoratori scelgano di andarsene. Invece l’obiettivo dev’essere farli restare, prolungando le agevolazioni in presenza di indicatori di una volontà di stabilirsi qui a lungo termine, come sono appunto, l’acquisto di una casa o la nascita di un figlio. Abbiamo lavorato a un emendamento per far sì che già nella manovra questa disparità possa essere sanata”. Già, perché secondo i promotori del gruppo, una volta fatti rientrare i cervelli in Italia, è almeno altrettanto importante non farli fuggire di nuovo. “Le misure per la retention, cioè il trattenimento, introdotte dal Dl crescita sono fondamentali, ma devono valere per tutti. Soprattutto ora che con la Brexit il Regno Unito sta riversando professionalità di livello sul continente – conclude Francesco -, l’Italia deve farsi trovare pronta ad accoglierle”.
Il calcolo è stato elaborato dalla più importante community italiana per il rientro dei cervelli in fuga e prende in esame il periodo dal 2011 al 2017. Il suo obiettivo è quello di portare a governo e parlamento le istanze dei rimpatriati, che aiutano a districarsi tra le norme sugli incentivi. "Dovrebbe farlo lo Stato, ma non succede. Quindi ci pensiamo noi"
di Paolo Frosina | 21 Novembre 2019 FQ
Su 14mila lavoratori rientrati in Italia grazie agli incentivi fiscali, più della metà sono scappati di nuovo. È la conclusione di uno studio del gruppo Controesodo, la più importante community italiana per il rientro dei cervelli in fuga, che ha analizzato dati dell’Agenzia dell’Entrate e dal Ministero del Lavoro. Nel periodo dal 2011 al 2017 – cioè gli anni successivi all’entrata in vigore della legge 238 del 2010, che abbatteva l’imponibile fino all’80% per i rimpatriati – si stima che 14mila persone abbiano scelto di tornare a lavorare nel nostro Paese. 7.033 di loro sono già ripartite per l’estero. “Gli incentivi sono una delle motivazioni che spingono gli expat a tornare, anche se sappiamo che non sono decisivi. Ma, così come sono disciplinati al momento, non bastano per trattenerli in Italia a lungo”, spiega a ilfattoquotidiano.it Francesco Rossi, uno dei fondatori della community. “Si tratta di lavoratori qualificati, abituati a spostarsi e che all’estero possono contare su stipendi in media molto più alti. Per questo, una volta esaurito il periodo di minor tassazione, è facile che cedano alle sirene di un nuovo impiego all’estero”.
Migrantes, nel 2018 oltre 128mila italiani emigrati all’estero: in 13 anni aumentati del 70%
Alla nascita, nel 2015, il gruppo Controesodo contava una ventina scarsa di persone, messe insieme con il passaparola. Lo scopo era a breve termine: convincere il governo a ripristinare gli incentivi fiscali della legge 238/2010, la legge “Controesodo” appunto, un provvedimento innovativo grazie al quale molti di loro erano tornati a vivere e produrre reddito nel nostro Paese. Un argine alla fuga di competenze che solo nel 2018 ha tolto all’Italia 128mila residenti, in gran parte giovani e laureati. Da allora non si è più fermato: oggi è un riconosciuto punto di riferimento per i “cervelli di ritorno”, con un migliaio di iscritti registrati sul sito gruppocontroesodo.it. Alcuni già rimpatriati, altri tentati di farlo ma ancora in dubbio. A tutti Controesodo fornisce consulenza gratuita sulle agevolazioni fiscali applicabili al loro caso, un insieme di norme che negli ultimi anni è diventato assai complesso. Non solo, ma il gruppo svolge anche una funzione di rappresentanza, portando nelle istituzioni la voce dei “temerari” che hanno deciso di tornare – o vorrebbero farlo – ma chiedono allo Stato di incoraggiarli, o almeno di non rendergli la vita più difficile.
“Ciò che facciamo, a titolo amatoriale e volontario, è colmare una mancanza istituzionale”, spiega a ilfattoquotidiano.it Francesco Rossi, 41 anni, uno dei fondatori di Controesodo. Consulente nel settore parabancario, ha vissuto per 8 anni a Dublino prima di rientrare in Italia nel 2011: insieme a Michele Valentini – 40 anni, tornato da Londra nel 2013 – tiene le fila della community, fa da portavoce degli iscritti e risponde alle loro domande. “Le norme sugli incentivi sono un labirinto, è difficile capirci qualcosa se non le si conosce a fondo. Servirebbe un portale, uno strumento che lo Stato metta a disposizione dei cittadini per orientarsi senza spendere un sacco di soldi in fiscalisti. Ma non c’è, quindi ci pensiamo noi. È una cosa che non avevamo pensato di fare all’inizio, ma ci siamo accorti che era necessaria”. Ed è un lavoro a tempo pieno, anche se non retribuito: Francesco e Michele, da soli, rispondono a migliaia di mail all’anno. Le situazioni sono le più diverse: c’è chi si è laureato all’estero e ha ricevuto un’offerta di lavoro in Italia, chi è tornato da qualche anno ma valuta di ripartire una volta cessati gli incentivi, chi ha già fatto carriera fuori ma vorrebbe tornare per stare vicino alla famiglia.
Erc, 37 italiani vincono le borse di studio del Consiglio europeo della Ricerca: ma solo 18 lavorano in Italia
Accanto alle consulenze, i portavoce della community proseguono la missione originaria: portare a governo e parlamento le istanze dei rimpatriati. Sul sito c’è l’elenco dei risultati ottenuti nel corso degli anni, dal ripristino degli incentivi previsti dalla legge Controesodo alla rimozione del conguaglio chiesto dallo Stato per cambiare regime fiscale, passando da quello originario del 2010 a quello introdotto nel 2015 tra varie contraddizioni. Ma sono molte le battaglie ancora da vincere, e la prima, spiega Francesco, si gioca sulla legge di bilancio in via di approvazione: “Nel Decreto crescita convertito in legge a giugno il governo ha accolto alcuni nostri suggerimenti, portando l’abbattimento dell’imponibile per i rimpatriati dal 50% al 70%, addirittura al 90% per chi va a vivere al Sud. Inoltre, se si acquista un’abitazione o si fa un figlio, il periodo in cui si ha diritto al beneficio sale da cinque a dieci anni. Peccato che tutto ciò valga solo per chi si trasferirà in Italia a partire dal 2020, lasciando fuori gli altri e creando una sorta di discriminazione tra ‘cervelli di serie A’ e di ‘serie B’. Così si rischia che, una volta scaduti i cinque anni di incentivi, centinaia di lavoratori scelgano di andarsene. Invece l’obiettivo dev’essere farli restare, prolungando le agevolazioni in presenza di indicatori di una volontà di stabilirsi qui a lungo termine, come sono appunto, l’acquisto di una casa o la nascita di un figlio. Abbiamo lavorato a un emendamento per far sì che già nella manovra questa disparità possa essere sanata”. Già, perché secondo i promotori del gruppo, una volta fatti rientrare i cervelli in Italia, è almeno altrettanto importante non farli fuggire di nuovo. “Le misure per la retention, cioè il trattenimento, introdotte dal Dl crescita sono fondamentali, ma devono valere per tutti. Soprattutto ora che con la Brexit il Regno Unito sta riversando professionalità di livello sul continente – conclude Francesco -, l’Italia deve farsi trovare pronta ad accoglierle”.