Il Sinodo visto dall’India
2 novembre 2019/ Nessun commento
di: Michael Amaladoss
Il Sinodo per l’Amazzonia appena concluso ha un grande valore di ispirazione e di indicazione per le Chiese fuori dell’Europa. Mi viene da pensare che il primo papa non europeo l’abbia convocato a questo scopo scegliendo una regione quanto mai diversa dall’Europa. La Chiesa cattolica romana rimane in gran parte eurocentrica. Uno sguardo all’Amazzonia può aiutarci a cambiare le prospettive. Resta da vedere quanto sia stato efficace. Questo è almeno il modo con cui mi sembra di considerarlo dall’India.
I punti principali del Sinodo mi sembrano i seguenti:
Guardare alla regione amazzonica come ad una Chiesa locale, possibilmente con la sua Conferenza dei vescovi;
La necessità di inculturare la Chiesa, fino a giungere alla creazione di un rito amazzonico;
La possibilità di ordinare viri probati;
Il riconoscimento ufficiale delle donne ministri;
La difesa della creazione, simboleggiata dalle foreste e dai fiumi amazzonici.
Il primo è un passo amministrativo che Roma può compiere senz’altro. L’organizzazione delle Chiese locali non ha bisogno necessariamente di essere legata ai confini politici esistenti. Più rilevanti possono essere i fattori socio-culturali.
L’ultimo punto è una concreta applicazione dei suggerimenti che il papa ha già proposto nella sua enciclica Laudato si’.
Il secondo punto si riferisce alle disposizioni emanate dal concilio Vaticano II, ma bloccate dall’autorità centrale eurocentrica della Chiesa. Il documento sul culto divino suggeriva una radicale riforma della liturgia in cui tutto può essere cambiato, salvo gli elementi dell’“istituzione divina”, avendo come unico criterio la partecipazione piena, consapevole e attiva dei fedeli. Nei punti in cui era necessaria un’inculturazione più profonda, l’iniziativa era lasciata alle Conferenze locali dei vescovi.
Un esperto del Concilio disse agli studenti (me compreso, nel 1969) che il Concilio lasciava aperta la possibilità di far emergere nuovi riti sostituendo nella bozza del testo del n. 4 riferito ai riti il termine “esistenti” (vigentes) con “riconosciuti” (agnitos). Ma, fatta eccezione per alcuni piccoli cambiamenti esteriori, come le prostrazioni e le danze in India e in Congo, i veri sforzi creativi sono stati bloccati dal Centro. L’inculturazione si è limitata alle traduzioni letterali dei testi latini! L’unità del rito latino fu difesa come qualcosa di sacro!
Nel Terzo Mondo siamo stati più liberi nello sviluppare teologie e spiritualità locali, anche se la Congregazione per la dottrina della fede tentò, senza successo – mi sia consentito dire – di ostacolarci e controllarci. Ma noi siamo sopravissuti e cresciuti. Ho solo, paura che, se l’inculturazione non sarà lasciata alla responsabilità delle Chiese locali in Amazzonia e altrove, ma sia posta sotto la responsabilità delle Congregazioni romane, non accadrà niente di nuovo e di creativo.
L’eurocentrismo della Chiesa romana non cambierà, nonostante papa Francesco. Perciò egli deve decentralizzare la Chiesa se vuole realmente promuovere l’inculturazione. Deve abilitare le Chiese locali. Potrà accadere? Purtroppo non ho molta fiducia. I papi vanno e vengono, ma le istituzioni rimangono. Il Vaticano II, dopo oltre 50 anni, non è stato ancora pienamente attuato. La stessa cosa succederà anche per il sinodo amazzonico!
Il papa sta imprimendo un impulso al processo sinodale, includendo un maggior numero di membri del popolo di Dio, uomini e donne. Speriamo che il nuovo tipo di Sinodo che la Chiesa tedesca sta avviando con il popolo di Dio pienamente abilitato a votare apra una nuova epoca in cui ci sia meno clericalismo e il clero debba rispondere al popolo di Dio.
La mancanza di sacerdoti che prestano servizio nelle comunità è sempre stato un problema nella regione amazzonica. Ora lo sta diventando anche in altre parti dell’Euro-America, per la crescente mancanza di vocazioni al sacerdozio. È interessante che il Sinodo consideri l’ordinazione di uomini sposati come un problema pastorale e non teologico. Non dubito che il celibato sia un grande valore spirituale. Non occorre dirlo ai sanyasi indù e ai monaci buddisti. Ma non vedo alcuna ragione teologica o spirituale che lo colleghi al sacerdozio in quanto ministero, dal momento che ci sono già sacerdoti sposati in altre Chiese “cattoliche” dell’Oriente e anche nella Chiesa romana tra i convertiti da altre Chiese.
Sono d’accordo con il Sinodo quando sottolinea il bisogno e il diritto della comunità all’eucaristia. Il celibato è diventato obbligatorio nella Chiesa romana solamente dopo i primi secoli. Io penso che sia meglio considerarlo come un problema disciplinare e pastorale.
Il Sinodo è stato molto attento nel suggerire l’ordinazione di persone già diaconi dopo una conveniente preparazione teologica. Questa potrebbe diventare una pratica regolare. Alcuni anni di servizio come diaconi può forse costituire una buona preparazione al servizio come sacerdoti.
Ora vengo all’ultimo punto riguardante le donne nei ministeri. Dappertutto nel mondo le donne stanno affermando la loro uguaglianza con gli uomini. Non è un segreto nemmeno che esse siano state molto attive ovunque nei ministeri ecclesiali, più, spesso, degli uomini. Il Sinodo suggerisce che questo fatto potrebbe essere ufficialmente riconosciuto.
Mi chiedo tuttavia se clericarizzarle come diaconesse sia l’unico modo. Ho anche l’impressione che il papa, con la commissione speciale, sia più preoccupato di provare in qualche modo che nella Chiesa primitiva c’erano delle diaconesse per poter così ravvivarle.
Mi chiedo però perché le donne dovrebbero essere omologate al sistema vigente. Non può la Chiesa evolversi o creare nuove forme di ministeri? Perché dovrebbero imitare gli uomini? Comunque sia, sono sicuro che il servizio delle donne nella Chiesa debba essere riconosciuto, sostenuto e incoraggiato. Un primo passo potrebbe essere la legittima partecipazione ai sinodi e negli altri organismi con il diritto di voto!
Il mio commento finale è che gli indigeni con le loro culture primitive non esistono solo in Amazzonia. Sono presenti in Africa e in Asia, in molte nazioni insulari del Pacifico e altrove. Spesso sono gli unici che abbracciano prontamente la fede cristiana, in quanto diversa dalle religioni locali dominanti. Io spero che tutti essi siano incoraggiati e autorizzati a diventare un’autentica Chiesa locale con appropriate strutture liturgiche e ministeriali.