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Come creare posti al nido

MessaggioInviato: mer feb 20, 2019 3:00 pm
da lidia.pege
Come creare posti al nido: destinare ai neonati
i posti in eccesso nelle materne 16 febbraio 2019 ‐ Corriere.it
Al posto dei nidi si potrebbero creare nuove case di riposo. Provocazione più che giustificata: gli
italiani hanno smesso di fare figli, mentre aumentano gli anziani. Nel 2017 sono nati 458 mila
bambini, e sembrava già il massimo dei minimi. Invece nel 2018 ne sono venuti al mondo 9 mila in
meno. E nel 2019, con la recessione, potrebbe andare anche peggio. Anno dopo anno, la questione
dei servizi per i nuovi nati sta passando in secondo piano. Eppure una cosa è certa: nei Paesi con
una buona offerta di servizi per le famiglie nascono più figli. Risulta meritevole perciò lo sforzo
dell’Anci di attirare l’attenzione sul tema dell’offerta dei posti al nido. L’ufficio studi
dell’associazione dei Comuni italiani ha rielaborato i dati dell’Istituto degli Innocenti di Firenze ed
è andato a vedere quanti soldi servono — Provincia per Provincia — per offrire almeno 33 posti
ogni 100 nati. Bene: sono necessari oltre due miliardi (2 miliardi e 175 milioni).
Sia chiaro: si tratta di un obiettivo modesto. L’Ue lo aveva fissato nel 2002 perché fosse raggiunto
nel 2010. A oggi ci sono riuscite solo Valle D’Aosta, Emilia-Romagna, Umbria e Toscana. Negli
ultimi anni abbiamo fatto passi avanti non perché siano aumentate le strutture ma solo perché sono
diminuiti i bambini. Fatto sta che in media l’Italia si attesta al 25%. Un posto per un neonato su
quattro. Un goal degno di un Paese come il nostro sarebbe raddoppiare la copertura e portarla al
50%: un posto per un bambino su due. Ma in questo caso servirebbero, secondo Anci, 5 miliardi e
682 milioni. Come si fa, con leggi di Bilancio già ipotecate (l’anno prossimo solo per sterilizzare
l’aumento dell’Iva serviranno 23 miliardi)? Un’idea viene da Aldo Fortunati, direttore dell’area
infanzia e adolescenza dell’Istituto degli Innocenti di Firenze: «Le scuole dell’infanzia avranno
sempre meno bambini a causa del calo demografico. Nella prospettiva di integrare i servizi 0-6
anni, avrebbe senso trasformare i posti in eccesso nella scuola per l’infanzia in posti al nido. In
questo modo quantomeno non sarebbe necessario sviluppare l’offerta solo attraverso la costruzione
di nuove strutture».

La soluzione auspicata dall’Istituto degli Innocenti è già stata adottata per necessità al Sud. Dove i
tassi di copertura dei nidi sono i più bassi in assoluto. E quindi si mandano i bambini in anticipo alla
materna. «I piccoli che anticipano nel Mezzogiorno sono il 10% contro il 3% del Nord — fa il
punto Fortunati —. Se si trasformassero gli anticipi in nidi, ai più piccoli potremmo garantire non
solo accoglienza ma un’accoglienza di qualità». A oggi il servizio 0-6 anni vale 11 miliardi l’anno.
Ma comprende due realtà diverse. Da una parte la scuola dell’infanzia: di interesse pubblico,
finanziata dallo Stato con la fiscalità generale. Dall’altra i nidi, un servizio «a domanda individuale»
finanziati quasi totalmente da Regioni e Comuni (il fondo nazionale nel 2019 è di 250 milioni).
Come si vede dai dati di questa pagina, le disparità territoriali sono enormi. E non accennano a
ridursi. «Dalla vicenda dei nidi si evince che l’autonomia non servirebbe ad altro che a cristallizzare
le disparità», tira le somme Fortunati.
Detto questo, a oggi il problema numero uno è diventato sostenere la domanda. Meno nascite e più
donne a casa (complice un mercato del lavoro che arranca) vuol dire meno richiesta di posti al nido.
Quindi la sfida, soprattutto nei territori dove c’è già una buona copertura, diventa abbassare le rette
dei nidi per renderle compatibili con le entrate delle famiglie. Prendiamo la piazza di Milano città,
che si distingue per una tasso di copertura dichiarato del 50% (doppia rispetto alla media regionale),
ma anche per rette elevate che nel caso dei nidi privati d’élite arrivano a 20 mila euro l’anno. «Molti
nidi privati hanno chiuso. Il nido aziendale ormai non esiste più, soppiantato dallo smartworking»,
racconta Federica Ortalli, presidente di Federnidi, associazione nazionale dei nidi privati, accreditati

e non. Eppure in molte regioni, Lombardia e Liguria in testa, la collaborazione pubblico-privato è
diventata un modello collaudato. «Abbiamo bisogno di meno burocrazia per concentrarci di più
sulle vere esigenze delle famiglie — auspica Ortalli —. Per esempio, che senso ha dover garantire
l’apertura per 9 ore al giorno quando i genitori non lasciano più i piccoli al nido così a lungo? Le
aziende ormai chiedono sempre meno straordinari. E al posto dell’aumento concedono volentieri
qualche ora di tempo libero in più». Come si vede si tratta di questioni non scontate. Che
andrebbero affrontate alla larga dalla superficialità degli slogan elettorali.