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Dal lusso di Gomorra alla tana per topi

MessaggioInviato: gio gen 31, 2019 3:52 pm
da lidia.pege
Dal lusso di Gomorra alla tana per topi, così viveva Zagaria boss dei Casalesi
31/01/2019

In questo bunker ci ha vissuto a lungo Michele Zagaria, il camorrista che tutti conoscevano come Capa Storta. Ha passato in latitanza poco più di 16 anni e questo è stato uno dei suoi nascondigli. Ci potevano entrare solo i parenti stretti, i fedelissimi, e lo hanno visto solo i poliziotti che hanno catturato il fantasma. Ci entriamo per la prima volta. Queste sono immagini in esclusiva per La Stampa. Siamo in via Cristoforo Colombo, a Casapesenna, paese della provincia casertana. Il fortino dell’ex primula rossa del clan dei Casalesi era stato ricavato sottoterra, tra le fondamenta di grandi ville: muri alti e insuperabili cancellate che impedivano a chiunque di vedere tutto ciò che accadeva all’interno. Al boss che viveva qua sotto di certo non mancavano i comfort, ma gli spazi strettissimi rendevano il bunker un specie di trappola per topi. Pochissima luce e aria razionata. Vita dura per sfuggire alle manette, ma questa era l’unica possibilità, di restare in quel territorio considerato feudo e mantenere l’egemonia sul clan e sugli affari. Questa era una delle ville impenetrabili: difficile anche per la polizia verificare ci fosse uno dei nascondigli del latitante. Per scoprire questo bunker è stata necessaria un’intricata e minuziosa indadagina, quasi un’operazione di spionaggio. Zagaria era proprio qui. Era considerato il “re del cemento” per la capacità di infiltrazione negli apparati pubblici e non, i suoi interessi sono partiti dalla Campania per arrivare in Lazio, Toscana, Umbria, Abruzzo, Lombardia ed Emilia Romagna. Dai suoi covi, il boss dei Casalesi gestiva e pianificava i suoi affari illeciti, manteneva i contatti con i sodali e gli affiliati al clan. Viveva sotto terra, in questo bunker, ma poteva vedere cosa accadeva all’esterno. Non solo nel vialetto davanti all’abitazione, ma in tutto il paese. Grazie a un sofisticato sistema di videosorveglianza clandestino, realizzando cablando la rete “legale” che gli consentiva di vedere cosa accadeva ovunque ci fosse telecamera. Da questo fortino sotto terra, realizzato da costruttori compiacenti e fedeli, Zagaria usciva raramente. Ma in quelle poche occasioni, erano sempre i suoi fedelissimi a occuparsi di andare a prendere il ’capo’ e di accompagnarlo ovunque volesse. Ben nascosto all’interno di vani invisibili realizzati nel portabagagli di auto, spesso di grossa cilindrata. Nel dicembre del 2011 la fuga di Michele Zagaria è finita e da quel giorno Capastorta è finito al carcere duro, al 4bis, per scontare tre condanne all’ergastolo.

Di Giampiero De Luca