Minacce al giornalista Borrometi Chiuse le indagini su...
Inviato: lun dic 31, 2018 2:08 pm
«Ogni tanto ci vuole un morticino» era stata la frase intercettata al telefono dagli inquirenti. Gli esponenti dei clan traditi anche dai dialoghi postati su Facebook
di Felice Cavallaro
Minacce al giornalista Borrometi Chiuse le indagini sul figlio del boss Giuliano
La mafia voleva ucciderlo e i mafiosi spiegavano fra loro al telefono che “un morticeddu ogni tanto ci vuole”. Ma “Un morto ogni tanto” è diventato per fortuna solo il titolo del libro scritto da Paolo Borrometi, il giornalista minacciato prima a Ragusa, dove a settembre è stato condannato il boss Venerando Lauretta a un anno e sei mesi, e poi a Siracusa dove, nell’ultimo giorno del 2018, sono stati emessi avvisi di conclusione indagini nei confronti di tre pachinesi accusati di diffamazione. Ecco l’ultima notizia sulla trincea della stampa sotto minaccia. Nomi eccellenti per quell’area della cosiddetta Sicilia “babba” sfregiata da mafia e “stidda”. Raggiunti infatti dai provvedimenti sia Gabriele Giuliano, figlio del boss di Pachino Salvatore Giuliano, entrambi coinvolti in una operazione antimafia sul racket al mercato ortofrutticolo di questo grosso centro agricolo, sia Corrado Spataro e Francesco Nastasi.
Traditi da Facebook
Singolare che l’indagine degli agenti di polizia di Pachino abbia tratto spunto da un commento di Giuliano sulla propria pagina Facebook. La mafia tradita dai social. Con questo arrogante rampollo del boss lanciato contro Borrometi, direttore del sito “La Spia.it”, da due anni sotto scorta: “Mi fai schifo perché sei un mentitore perché sei un bugiardo perché sei un giornalaio”. Gli altri due indagati avrebbero lasciato i loro commenti al post: “Vorrei fare domande ma purtroppo mi ha bloccato, ma non vedo l’ora che giorno 16 arrivi in questa città”. Infine commenti di questo tono: “curnutu lui è tutta a razza...”. Gabriele e Salvatore Giuliano finiscono così sotto processo a Siracusa per tentata violenza privata e minacce di morte, reati aggravati dal metodo mafioso e dall’appartenenza al clan, come si scopre proprio nei giorni i cui Borrometi, costretto a trasferirsi a Roma, è tornato in zona per presentare il libro sulla sua storia.
Quello che se l’andava cercando
Come racconta nel testo scritto per le edizioni “Solferino”, Borrometi cominciò a scoprire di non vivere in una Sicilia “babba” a 16 anni, quando sentì parlare in provincia di Ragusa per la prima volta di Giovanni Spampinato: “Dicevano che quel corrispondente di un giornale di battaglie civili come L’Ora ‘un po’ se l’andava cercando’. Chiesi a mio padre. ‘Mentono. L’ammazzarono perché raccontava la verità’. Mi interrogai così su un cronista ucciso in un posto dove la mafia non c’è, appunto nella Sicilia ‘babba’, quieta. E capii di vivere in un inferno dove chi scrive o denuncia può essere lasciato solo”. E’ l’incipit di un impegno sfociato nella costruzione di un sito per raccontare quanto accadeva intorno ai paesi della sua Modica, la faccia di un ragazzo spaventato ma coraggioso, cresciuto fra Ragusa e Siracusa dove lo hanno massacrato a botte e gli hanno perfino appiccato il fuoco a casa mentre dormiva con i genitori. Deciso a 35 anni a non mollare “contro potenti invischiati in truffe europee e boss con le mani su mercati inquinati come quello di Vittoria, anche a costo di passare un giorno per uno che un po’ se l’andava cercando”.
Nel ricordo di Mario Francese
Da qualche tempo Borrometi è diventato il simbolo di un giornalismo dalla schiena dritta. E per questo il 25 e 26 gennaio sarà a Palermo uno dei protagonisti delle celebrazioni dei 40 anni dalla morte di Mario Francese, il cronista del Giornale di Sicilia ucciso nel 1979. D’altronde per dire che la stampa non si tocca è sceso in campo perfino il Papa lo scorso mese di aprile. Ricevendo in udienza privata questo ragazzo curioso cresciuto nella quiete apparente di una Sicilia per niente “babba”, come si diceva quando la mafia fra Ragusa e Siracusa non sparava e non minacciava i giornalisti.
31 dicembre 2018 corriere sera
di Felice Cavallaro
Minacce al giornalista Borrometi Chiuse le indagini sul figlio del boss Giuliano
La mafia voleva ucciderlo e i mafiosi spiegavano fra loro al telefono che “un morticeddu ogni tanto ci vuole”. Ma “Un morto ogni tanto” è diventato per fortuna solo il titolo del libro scritto da Paolo Borrometi, il giornalista minacciato prima a Ragusa, dove a settembre è stato condannato il boss Venerando Lauretta a un anno e sei mesi, e poi a Siracusa dove, nell’ultimo giorno del 2018, sono stati emessi avvisi di conclusione indagini nei confronti di tre pachinesi accusati di diffamazione. Ecco l’ultima notizia sulla trincea della stampa sotto minaccia. Nomi eccellenti per quell’area della cosiddetta Sicilia “babba” sfregiata da mafia e “stidda”. Raggiunti infatti dai provvedimenti sia Gabriele Giuliano, figlio del boss di Pachino Salvatore Giuliano, entrambi coinvolti in una operazione antimafia sul racket al mercato ortofrutticolo di questo grosso centro agricolo, sia Corrado Spataro e Francesco Nastasi.
Traditi da Facebook
Singolare che l’indagine degli agenti di polizia di Pachino abbia tratto spunto da un commento di Giuliano sulla propria pagina Facebook. La mafia tradita dai social. Con questo arrogante rampollo del boss lanciato contro Borrometi, direttore del sito “La Spia.it”, da due anni sotto scorta: “Mi fai schifo perché sei un mentitore perché sei un bugiardo perché sei un giornalaio”. Gli altri due indagati avrebbero lasciato i loro commenti al post: “Vorrei fare domande ma purtroppo mi ha bloccato, ma non vedo l’ora che giorno 16 arrivi in questa città”. Infine commenti di questo tono: “curnutu lui è tutta a razza...”. Gabriele e Salvatore Giuliano finiscono così sotto processo a Siracusa per tentata violenza privata e minacce di morte, reati aggravati dal metodo mafioso e dall’appartenenza al clan, come si scopre proprio nei giorni i cui Borrometi, costretto a trasferirsi a Roma, è tornato in zona per presentare il libro sulla sua storia.
Quello che se l’andava cercando
Come racconta nel testo scritto per le edizioni “Solferino”, Borrometi cominciò a scoprire di non vivere in una Sicilia “babba” a 16 anni, quando sentì parlare in provincia di Ragusa per la prima volta di Giovanni Spampinato: “Dicevano che quel corrispondente di un giornale di battaglie civili come L’Ora ‘un po’ se l’andava cercando’. Chiesi a mio padre. ‘Mentono. L’ammazzarono perché raccontava la verità’. Mi interrogai così su un cronista ucciso in un posto dove la mafia non c’è, appunto nella Sicilia ‘babba’, quieta. E capii di vivere in un inferno dove chi scrive o denuncia può essere lasciato solo”. E’ l’incipit di un impegno sfociato nella costruzione di un sito per raccontare quanto accadeva intorno ai paesi della sua Modica, la faccia di un ragazzo spaventato ma coraggioso, cresciuto fra Ragusa e Siracusa dove lo hanno massacrato a botte e gli hanno perfino appiccato il fuoco a casa mentre dormiva con i genitori. Deciso a 35 anni a non mollare “contro potenti invischiati in truffe europee e boss con le mani su mercati inquinati come quello di Vittoria, anche a costo di passare un giorno per uno che un po’ se l’andava cercando”.
Nel ricordo di Mario Francese
Da qualche tempo Borrometi è diventato il simbolo di un giornalismo dalla schiena dritta. E per questo il 25 e 26 gennaio sarà a Palermo uno dei protagonisti delle celebrazioni dei 40 anni dalla morte di Mario Francese, il cronista del Giornale di Sicilia ucciso nel 1979. D’altronde per dire che la stampa non si tocca è sceso in campo perfino il Papa lo scorso mese di aprile. Ricevendo in udienza privata questo ragazzo curioso cresciuto nella quiete apparente di una Sicilia per niente “babba”, come si diceva quando la mafia fra Ragusa e Siracusa non sparava e non minacciava i giornalisti.
31 dicembre 2018 corriere sera