“In Italia se nasci povero lo rimani. Il reddito minimo non basta: ora cambiare il welfare per renderlo equo
Emanuele Ranci Ortigosa, direttore dell'Osservatorio nazionale sulle politiche sociali, nel suo Contro la povertà analizza i dati sull'indigenza e le proposte dei principali schieramenti. Conclusione: il prossimo governo dovrebbe partire da quello che è stato fatto (il Reddito di inclusione). E varare una riforma complessiva del sistema assistenziale che tenga conto delle necessità di cura dei più deboli
“Prevalentemente se si nasce poveri si rimane poveri, e se si nasce benestanti, e soprattutto ricchi, si rimane tali. In quest’ultimo caso dobbiamo quindi probabilmente ringraziare la fortuna“. E in un Paese in cui la mobilità sociale è così scarsa non ci si può limitare – per citare Mao – a “insegnare a pescare a chi ha fame“: bisogna, nel frattempo, “dargli un pesce”. Parte da queste premesse Emanuele Ranci Ortigosa, presidente emerito e direttore scientifico dell‘Istituto per la ricerca sociale, per analizzare nel suo Contro la povertà (Francesco Brioschi editore) i dati sull’indigenza in Italia, le politiche che sono state messe in campo per affrontare il problema e le proposte dei principali schieramenti. Fino alla sua proposta per una riforma complessiva del sistema di welfare mirata ad azzerare la povertà assoluta, che riguarda ormai 4,7 milioni di italiani mentre addirittura 17,5 milioni sono “a rischio”. Una riforma è quanto mai necessaria visto che, come ricorda Tito Boeri nella prefazione, oggi la spesa sociale è “fortemente squilibrata a sfavore delle giovani generazioni“: solo il 4% va a chi ha meno di 40 anni, nonostante proprio i giovani siano più a rischio di indigenza.
Il libro è uscito prima delle elezioni del 4 marzo, ma due mesi dopo lo stallo continua e il dibattito sul Reddito di inclusione del governo Gentiloni, sul reddito di cittadinanza del M5s e sul reddito di dignità ventilato e subito dimenticato da Silvio Berlusconi resta di stretta attualità. La conclusione a cui arriva Ranci Ortigosa, che ha cofondato e dirige l’Osservatorio nazionale sulle politiche sociali e all’inizio degli anni Duemila è stato membro del gruppo di lavoro sul reddito minimo presso il ministero del Welfare, è che “conviene a tutti partire da quanto fatto per andare oltre” piuttosto che “smantellare quanto dopo tanto tempo, tante inerzie e negazioni, in questi anni si è finalmente costruito, passo dopo passo, nel contrasto alla povertà e alle disuguaglianze“. Il punto di partenza dovrebbe essere dunque il Rei messo in campo dal governo Gentiloni, oggi sottofinanziato.
In contemporanea occorre, secondo il ricercatore e direttore di Prospettive sociali e sanitarie, riformare il resto del sistema assistenziale: “Vanno necessariamente riqualificate o assorbite in nuove misure che ricompongano l’offerta nelle diverse aree di bisogno”. Per esempio “le misure contro la povertà e quella o quelle di sostegno alla famiglia potrebbero essere ricondotte a un futuro assegno unico e universale per le famiglie con figli”. Ranci Ortigosa una proposta ce l’ha: è quella elaborata dall’Associazione per la ricerca sociale in collaborazione con Irs e con il Centro di analisi delle politiche pubbliche dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.
La riforma prevede “il passaggio da decine di misure disegnate su criteri e finalità incoerenti e pasticciate a poche misure mirate alle grandi fragilità, impostate su criteri chiari e universalistici, di equità, appropriatezza e quindi efficacia su ogni specifica condizione di bisogno”. Il tutto tenendo conto del vincolo della sostenibilità economica e organizzativa. Gli interventi da mettere in campo sarebbero, spiega il ricercatore, un reddito minimo fino alla soglia della povertà assoluta accompagnato da progetti personalizzati di promozione e inclusione sociale per le famiglie in povertà, un assegno di sostegno economico “means tested” a famiglie con figli minori o studenti fino a 25 anni e con invalidi, sostegno e servizi ai nuclei con persone non autosufficienti o disabili “senza alcuna selettività economica”, budget di inclusione per persone con disabilità e opportunità di vita autonoma. Da affiancare a uno sviluppo dei servizi territoriali che assicuri interventi ad hoc per le famiglie in difficoltà. Un quadro che, spiega il libro, consentirebbe di azzerare o quasi la povertà assoluta, concentrando i benefici sui più bisognosi non solo per reddito ma anche per le necessità di cura dei figli e delle persone più deboli. Il tutto con un “contenuto e sostenibile aumento di spesa“.
Ranci Ortigosa chiudeva con l’auspicio che “dopo le elezioni emergano le volontà per fare ulteriori passi significativi per lo sviluppo di un qualificato insieme di politiche e di servizi, smentendo la profezia ripetuta dell’inevitabile declino del welfare”. Ma, a due mesi dal voto, i partiti sono in tutt’altre faccende affaccendati.
Il Fatto quotidiano di Chiara Brusini | 7 maggio 2018