1968, la scissione di massa delle cattive ragazze
© Attilio Cristini
Norma Rangeri
12.4.2018, Manifesto
Il ’68 delle donne è in edicola, dove resterà per alcuni giorni. Chi ha acquistato ieri il manifesto ha trovato anche il fascicolo che racconta tutto un altro 1968: quello vissuto da 18 «cattive ragazze» che in prima persona sono tornate sui loro passi per testimoniare come dalla loro critica al ’68 dei maschi è poi nato il femminismo italiano.
L’idea di dare voce alla presenza culturale forte rappresentata dalle donne è nata da una semplice considerazione: nelle varie pubblicazioni dedicate al cinquantenario, il punto di vista al femminile è mancato quasi del tutto, dimenticato, offuscato, sottovalutato.
Eppure, come dimostrarono gli anni successivi, la politica messa in campo allora dal movimento femminista ha dato buone idee e buoni frutti, testimoniati dalle leggi (divorzio, aborto, violenza sessuale) che oggi sono patrimonio collettivo del Paese, anche di quella parte che non le condivise.
Il supplemento speciale è stato presentato ieri alla Casa delle donne di Roma.
Con Biancamaria Frabotta, Lidia Ravera, Letizia Paolozzi e Maria Rosa Cutrufelli, autrici, insieme a tutte le altre, di una collana di storie che rievocano quel periodo.
I sogni, le scelte, le grandi battaglie, la vita che cambiava, le separazioni familiari, la nascita dei figli, le interruzioni di gravidanza. Un cambiamento per le donne molto profondo.
Tuttora vivo oggi, come dimostrava la sala piena, partecipe, attenta.
Testimonianze molto diverse, accomunate dall’esperienza di una libertà mai provata prima. Costata un prezzo a volte alto sul piano dei rapporti personali e politici.
E fu proprio quella rivoluzione culturale, che univa una generazione di ragazzi e ragazze, a innescare poi la consapevolezza dei limiti politici e teorici del movimento dove, nonostante tutto, si riproducevano le odiose gerarchie patriarcali e sessuali.
Fu così che le «sorelle» si staccarono dai «fratelli», le compagne dai compagni, e il separatismo, con le riunioni di autocoscienza, con le grandi manifestazioni di sole donne, determinò una profonda e irreversibile «scissione di massa».
Fu il primo importante segnale dei limiti di una politica nella quale gli uomini erano i protagonisti (che cadevano dalle nuvole a sentir parlare di patriarcato), e le donne soltanto ospiti privilegiate.
E questo è stato fino a quando, con la rottura dai gruppi politici e dai partiti, il movimento femminista suscitò la reazione, anche violenta, dei compagni. Che attaccavano perfino le manifestazioni con i loro servizi d’ordine, e le assemblee con i preservativi pieni d’acqua.
Nelle rievocazioni di quegli anni mancava questo capitolo, rimosso da una visione del tempo filtrata dalle analisi di chi capeggiava il movimento.
L’arretratezza teorica e la violenza politica testimoniavano l’incapacità di assumere fino in fondo la rivoluzione culturale che attraversava il mondo tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso.
Il ’68 è stato dunque un detonatore perché esaltando la soggettività e abbozzando un’altra idea della politica, ha dato alle donne il coraggio di rompere il silenzio e di prendere finalmente la parola.
E da allora non hanno più smesso.