Il segreto per vivere bene? Legami affettivi forti.

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Il segreto per vivere bene? Legami affettivi forti.

Messaggioda lidia.pege » dom mar 18, 2018 2:19 pm

Quando l’amore conta più del colesterolo
Il segreto per vivere bene? Legami affettivi forti. Lo affermano gli scienziati di Harvard in uno studio iniziato 80 anni fa (con lo studente John Kennedy)
di Giuseppe Remuzzi corriere della sera

Non chiedetemi come hanno fatto, certo è che ci sono riusciti. L’idea dei ricercatori di Boston era assolutamente lungimirante e l’obiettivo davvero ambizioso: capire cos’è che ci consente di vivere bene e a lungo. Così gli studiosi dell’Università di Harvard hanno preso nota di tutto quello che succedeva ai quasi 300 studenti ammessi al College tra il 1938 e il 1944: stato di salute — fisica e mentale — lavoro, famiglia, amici e tanto d’altro (lo studio va avanti da 80 anni e non si fermerà, pare, tanto presto)

E cosa hanno scoperto? Quello che avevano già capito i Beatles: «Love, love, love», insomma, è l’amore a farti vivere bene. Non solo ma l’educazione è più importante dei soldi e dello stato sociale, mentre la solitudine uccide, proprio come l’alcol e il fumo. «Non basta essere brillanti per invecchiare bene — ha scritto George Vaillant, uno di coloro che si sono avvicendati a capo di questa avventura — devi essere innamorato, o comunque avere relazioni affettive forti, in famiglia (padre e madre naturalmente, ma anche fratelli, sorelle, zii, cugini e tutti quelli che ci vengono in mente) e fuori, e poi tanti amici». «Ma non dovevano essere i livelli di colesterolo e la pressione alta a far male?» direte voi. Sì certo, ma l’uno e l’altra a detta degli studiosi di Harvard contano meno della famiglia o dell’avere un legame affettivo stabile per esempio. Insomma è come se a tutti i consigli, comunque preziosissimi, di tanti bravi medici per invecchiare bene «non fumate, bevete poco alcol, e poi frutta, verdura e pesce, e attività fisica» ne mancasse uno che è forse il più importante: «Dedicate tempo ed energie ai vostri rapporti con gli altri». Sul lavoro? Certo, ma anche fuori se volete, non importa.
I vantaggi per la salute
Imparare a farlo avvantaggia specialmente il cervello e gli scienziati l’hanno documentato con test di performance intellettuale e con tanti altri esami incluso l’elettroencefalogramma (che hanno ripetuto periodicamente per 80 anni!). Anche i rapporti sociali dei più piccoli sono importanti — con gli altri bambini o con gli adulti non importa, l’importante è che ne abbiano — più fanno esperienze diverse e più giocano, meglio è. Nessuno studio è perfetto e non lo è nemmeno lo studio «Grant» non fosse altro perché quanto abbiamo scritto finora potrebbe valere solo per i maschi in quanto al College a quei tempi ci andavano solo gli uomini — tutti fra l’altro bianchi — gente altolocata di solito (uno dei primi a prendere parte allo studio fu un certo John Fitzgerald Kennedy, sì, proprio lui, il futuro Presidente degli Stati Uniti e poi Ben Bradlee per moltissimi anni direttore del Washington Post). E gli altri? Ci sono stati grandi imprenditori, avvocati di grido e medici famosi, ma c’era anche gente normale e persino certi che poi ebbero una vita miserevole: alcolizzati per esempio o drogati o schizofrenici.

Nei sobborghi
Col passare degli anni lo studio si è arricchito di molte altre persone, anche donne e di un’attività parallela «Glueck» cui hanno preso parte soprattutto ragazzi, questi però vivevano nei sobborghi di Boston e, come potete immaginare, il confronto fra loro e quelli del College ha fornito indicazioni preziose. Vi chiederete dove gli studiosi abbiano trovato i fondi per fare tutto questo e per poter andare avanti per così tanti anni. Dal governo federale in parte e poi dai National Institutes of Health e dalle tasse dei cittadini; anche se adesso c’è chi comincia a criticare questa scelta a cominciare dal presidente Trump: «Cosa continuiamo a spendere soldi per questo studio quando dovremmo invece preoccuparci di trovare nuove terapie per il cancro o per l’Alzheimer?». Se lo chiedete a Robert Waldinger, che ha seguito «Grant» per più di 30 anni, vi dirà che proprio grazie ai dati che sono stati raccolti in tutto questo tempo è stato possibile stabilire che chi è omosessuale non ha scelto di esserlo per esempio o che l’alcolismo non è una colpa ma una malattia e tante altre cose ancora.
La ricerca oggi
Non solo ma se oggi siamo capaci di interpretare almeno un po’ certe scelte di vita della gente dipende proprio dal fatto che qualcuno si è preso la briga di seguire queste persone dalla giovinezza alla vecchiaia. Il bello è che Waldinger non ha alcuna intenzione di fermarsi, adesso sta studiando i figli degli studenti del College del ’38 e persino i figli dei figli: «È entusiasmante — dice — presto avremo tantissime informazioni e sapremo rispondere a domande a cui nessuno ha mai saputo rispondere fino ad ora». E chissà che un giorno questi dati non possano persino portare un contributo allo sforzo che si sta facendo un po’ dappertutto per prevenire certe malattie — cardiovascolari e diabete per esempio — ma anche i disturbi del sistema nervoso, o per rallentare l’invecchiamento. Se fosse così avremmo un mondo migliore e i sistemi sanitari di tutto il mondo risparmierebbero tantissimi soldi.
Lidia Pege
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