Perchè Trump di Umberto Curi
Inviato: sab nov 12, 2016 2:28 pm
DI UMBERTO CURI
A via di considerare Karl Marx alla stregua di un cane morto, si è finito per
dimenticare anche le verità più elementari, che l’autore del “Capitale” non ha
“scoperto”, ma si è limitato a sottolineare. Prima fra tutte il riconoscimento del
primato della struttura economica, rispetto a ciò che si presenta come una
sovrastruttura da essa dipendente, a cominciare dalla stessa politica. Fra le altre cose,
abbiamo così dimenticato ad esempio che il tracollo dei regimi comunisti è stato
determinato principalmente non da contraddizioni ideologiche, ma dal fallimento
delle politiche economiche che si ispiravano alla pianificazione sovietica. Così come,
in tempi più recenti, abbiamo attribuito a un indistinto anelito di libertà, anziché a
spinte di carattere economico, le diversificate esperienze accomunate sotto la
denominazione di primavera araba. L’oblio di questi fondamentali ha influito
pesantemente anche nella valutazione dei fenomeni politici a noi più vicini nel tempo,
quali la Brexit e, nelle ultime ore, la vittoria di Donald Trump, spiazzando previsioni,
sondaggi, maldestre profezie. Se ci si riflette con un minimo di attenzione, appare
perfino incredibile che pressochè a nessuno sia venuta in mente una considerazione
che, viceversa, appariva intuitiva anche prima che si conoscesse l’esito delle elezioni
americane. Per dirla molto in breve (e dunque inevitabilmente in maniera
scarsamente argomentata): come si poteva immaginare che 8 anni consecutivi di
gravissima crisi economica, vissuta in maniera particolarmente intensa in Europa e
negli USA, non avessero alcuna conseguenza sul piano elettorale e, più in generale,
sul piano politico? Come illudersi che le vere e proprie devastazioni indotte dalla più
grave recessione nella storia del capitalismo non influissero pesantemente nel
condizionare l’orientamento e le opinioni di vasti strati delle popolazioni più esposte?
Come si poteva ipotizzare che le vittime della crisi potessero confermare la loro
fiducia in coloro che – non importa se a torto o a ragione – apparivano come
responsabili di disastri economici senza precedenti? La parola chiave per interpretare
ciò che è accaduto è povertà. Da un lato, infatti, la classe dirigente al comando nei
paesi di un Occidente investito in pieno dallo tsunami iniziato nel 2008 non è stata in
grado di modificare le condizioni di miseria assoluta in cui versano centinaia di
milioni di esseri umani, nei paesi in via di sviluppo, ma anche all’interno di quelli già
sviluppati. Più importante, in questo scenario, la seconda declinazione della povertà.
Come qualunque osservazione obbiettiva può confermare, corredandola di dati e
statistiche agghiaccianti, quella classe dirigente non si è dimostrata all’altezza del
compito principale, a cui è chiamato chi abbia responsabilità di governo, vale a dire
fronteggiare o impedire il crescente impoverimento di strati sempre più ampi della
popolazione. Da un lato, insomma, si è da tempo bloccato quel fenomeno detto
“ascensore sociale”, capace di consentire una graduale promozione dei ceti meno
abbienti a livelli più elevati di reddito e di collocazione nella società.
Contemporaneamente, e a rinforzo dell’altro fenomeno, larga parte dei ceti medi è
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stata coinvolta in una dinamica di impoverimento esattamente opposta, rispetto alle
attese e alle speranze della parte numericamente più rilevante della popolazione.
Nelle previsioni sull’esito delle elezioni presidenziali statunitense, o del referendum
sulla Brexit, commentatori e opinion maker hanno in realtà totalmente sottovalutato
una carica di risentimento e di rivalsa ampiamente diffusa, congiunta ad una
dichiarazione implicita di totale sfiducia nelle capacità delle classi dirigenti di
pilotare razionalmente l’uscita dalla crisi. In questa prospettiva, davvero de te fabula
narratur, ciò che è accaduto in USA “parla” di noi, per quello che siamo oggi, anche
se per il momento in maniera ancora nascosta, e più ancora per quello che
presumibilmente diventeremo. E l’alternativa alla moltiplicazione dei Trump in giro
per l’Europa è, al tempo stesso, intuitiva e difficile da realizzare. E’ necessario e
indifferibile un ricambio radicale, coraggioso, intransigente di classi dirigenti, un
mutamento profondo, non limitato ad un semplice avvicendamento generazionale.
Coloro che sono responsabili della più drammatica crisi che la storia moderna ricordi,
o che non sono stati in grado di limitarne gli effetti, devono uscire di scena. Subito e
senza indugi. Altrimenti, si capirà ben presto che Trump è solo il capofila di una serie
di personaggi altrettanto e più imbarazzanti e pericolosi.
9.11.16
A via di considerare Karl Marx alla stregua di un cane morto, si è finito per
dimenticare anche le verità più elementari, che l’autore del “Capitale” non ha
“scoperto”, ma si è limitato a sottolineare. Prima fra tutte il riconoscimento del
primato della struttura economica, rispetto a ciò che si presenta come una
sovrastruttura da essa dipendente, a cominciare dalla stessa politica. Fra le altre cose,
abbiamo così dimenticato ad esempio che il tracollo dei regimi comunisti è stato
determinato principalmente non da contraddizioni ideologiche, ma dal fallimento
delle politiche economiche che si ispiravano alla pianificazione sovietica. Così come,
in tempi più recenti, abbiamo attribuito a un indistinto anelito di libertà, anziché a
spinte di carattere economico, le diversificate esperienze accomunate sotto la
denominazione di primavera araba. L’oblio di questi fondamentali ha influito
pesantemente anche nella valutazione dei fenomeni politici a noi più vicini nel tempo,
quali la Brexit e, nelle ultime ore, la vittoria di Donald Trump, spiazzando previsioni,
sondaggi, maldestre profezie. Se ci si riflette con un minimo di attenzione, appare
perfino incredibile che pressochè a nessuno sia venuta in mente una considerazione
che, viceversa, appariva intuitiva anche prima che si conoscesse l’esito delle elezioni
americane. Per dirla molto in breve (e dunque inevitabilmente in maniera
scarsamente argomentata): come si poteva immaginare che 8 anni consecutivi di
gravissima crisi economica, vissuta in maniera particolarmente intensa in Europa e
negli USA, non avessero alcuna conseguenza sul piano elettorale e, più in generale,
sul piano politico? Come illudersi che le vere e proprie devastazioni indotte dalla più
grave recessione nella storia del capitalismo non influissero pesantemente nel
condizionare l’orientamento e le opinioni di vasti strati delle popolazioni più esposte?
Come si poteva ipotizzare che le vittime della crisi potessero confermare la loro
fiducia in coloro che – non importa se a torto o a ragione – apparivano come
responsabili di disastri economici senza precedenti? La parola chiave per interpretare
ciò che è accaduto è povertà. Da un lato, infatti, la classe dirigente al comando nei
paesi di un Occidente investito in pieno dallo tsunami iniziato nel 2008 non è stata in
grado di modificare le condizioni di miseria assoluta in cui versano centinaia di
milioni di esseri umani, nei paesi in via di sviluppo, ma anche all’interno di quelli già
sviluppati. Più importante, in questo scenario, la seconda declinazione della povertà.
Come qualunque osservazione obbiettiva può confermare, corredandola di dati e
statistiche agghiaccianti, quella classe dirigente non si è dimostrata all’altezza del
compito principale, a cui è chiamato chi abbia responsabilità di governo, vale a dire
fronteggiare o impedire il crescente impoverimento di strati sempre più ampi della
popolazione. Da un lato, insomma, si è da tempo bloccato quel fenomeno detto
“ascensore sociale”, capace di consentire una graduale promozione dei ceti meno
abbienti a livelli più elevati di reddito e di collocazione nella società.
Contemporaneamente, e a rinforzo dell’altro fenomeno, larga parte dei ceti medi è
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stata coinvolta in una dinamica di impoverimento esattamente opposta, rispetto alle
attese e alle speranze della parte numericamente più rilevante della popolazione.
Nelle previsioni sull’esito delle elezioni presidenziali statunitense, o del referendum
sulla Brexit, commentatori e opinion maker hanno in realtà totalmente sottovalutato
una carica di risentimento e di rivalsa ampiamente diffusa, congiunta ad una
dichiarazione implicita di totale sfiducia nelle capacità delle classi dirigenti di
pilotare razionalmente l’uscita dalla crisi. In questa prospettiva, davvero de te fabula
narratur, ciò che è accaduto in USA “parla” di noi, per quello che siamo oggi, anche
se per il momento in maniera ancora nascosta, e più ancora per quello che
presumibilmente diventeremo. E l’alternativa alla moltiplicazione dei Trump in giro
per l’Europa è, al tempo stesso, intuitiva e difficile da realizzare. E’ necessario e
indifferibile un ricambio radicale, coraggioso, intransigente di classi dirigenti, un
mutamento profondo, non limitato ad un semplice avvicendamento generazionale.
Coloro che sono responsabili della più drammatica crisi che la storia moderna ricordi,
o che non sono stati in grado di limitarne gli effetti, devono uscire di scena. Subito e
senza indugi. Altrimenti, si capirà ben presto che Trump è solo il capofila di una serie
di personaggi altrettanto e più imbarazzanti e pericolosi.
9.11.16