“I “delitti di Abano”, i virus e gli hacker delle regole
Le tangenti alla Terme ripropongono con forza il tema dei mandati dei sindaci e della separazione fra carica pubblica e apparato amministrativo
L’intervento di Ivo Rossi
Ha fatto bene Mario Bertolissi a ritornare sulla scena delle degenerazioni di Abano Terme, sugli effetti perversi prodotti dalla pluralità (3+1) dei mandati a sindaco, e sul rapporto malato di una parte della pubblica opinione con chi, in virtù di una carica, diventa padrone e despota di cui aver paura. Paura non a caso evocata qualche giorno fa da un dipendente che avrebbe ammesso di aver truccato le gare non per interesse personale, ma, appunto, per paura. Paura quale conseguenza di una presa capillare del potere attraverso il collocamento di propri uomini di fiducia nei gangli strategici dell’amministrazione pubblica. Meglio se sodali, uniti da comuni interessi extra pubblici. Paura quale effetto sui dipendenti per il possibile declassamento, per le possibili umiliazioni e, per i dirigenti e i funzionari il cui stipendio è composto da una parte variabile a discrezione del sindaco, paura di perdere la posizione economica raggiunta. Insomma una situazione in cui, attraverso il ricatto, viene meno la separazione fra potere politico e burocrazia, separazione non a caso introdotta negli anni ’90 quale antidoto alla degenerazione di tangentopoli. Il sindaco che azzera gli incarichi, portando lo stipendio da oltre tremila euro a poco più di mille cinquecento, e lascia intendere il possibile rialzo solo dopo aver verificato la fedeltà (si presume extra pubblica), ottiene l’effetto di una selezione perversa, con dirigenti ridotti al ruolo lacchè. Talvolta chi non si adegua viene prima sospeso e poi licenziato, come nel caso del comandante della polizia locale. Un po’ quello che immaginiamo abbia fatto Erdogan infiltrando l’apparato pubblico e che sta completando con la violenza in questi giorni. E per chi non si piega per dignità personale o per orgoglio del ruolo, quando ci riesce, non resta che la strada del trasferimento. E per chi resta, il clima da “caserma” descritta da alcuni imputati produce quanto è sotto ai nostri occhi. È una situazione che non riguarda solo Abano Terme, anche se in quel comune, al 15simo anno di mandato (10 a Montegrotto più 5 Abano), ha prodotto gli effetti emersi in queste settimane. Riguarda anche altre parti del Paese, non sempre, come la vulgata vorrebbe, appartenenti al Sud. È intimamente legato al professionismo a cui è stato ridotto il servizio sindacale, in cui la pluralità dei mandati, in comuni diversi, finisce per costruire sistemi di potere personali più simili alle satrapie che ai sistemi di legalità democratica. Sistemi in cui il dissenso viene dileggiato, in cui l’avversario politico subisce ritorsioni e denunce, in cui le organizzazioni della rappresentanza che non si allineano in fretta subiscono l’attacco di pretoriani organizzati in associazioni parallele. Il presidente degli albergatori, che non ha abbassato la testa, ne sa qualcosa. Un clima che finisce per corrompere anche la pubblica opinione, che nonostante le inchieste di questi anni, aveva tributato, solo tre giorni prima dell’arresto, il quarto mandato a chi aveva usato della amministrazione pubblica per i suoi affari. La storia recente di Abano racconta come le malversazioni procedessero seguendo due registri; uno fatto di intimidazioni quanto alla dimensione amministrativa e uno festaiolo e spaccone, fatto di feste rosa ad uso dei commercianti e proclami contro i nemici che di volta in volta venivano scelti per disorientare la pubblica opinione. Insomma i “delitti di Abano” ripropongono con forza il tema delle regole, da mandati dei sindaci alla separazione fra carica pubblica e apparato amministrativo, per evitare che i possibili emulatori che si aggirano per le italiche contrade possano fare dei danni irreparabili non solo amministrativi, ma anche nelle coscienze.
mattino
28 luglio 2016