PENSIERI E RICORDI NATALIZI IN LIBERTA’
Sono figlia di un artigiano-falegname e di una casalinga, sì, proprio come la famiglia di Gesù.
Però lui, sembra sia stato figlio unico, mentre io sono la più grande di otto fratelli.
Anni 50 – 60, tutto molto essenziale: cibo, ciò che dava l’orto e il pollaio, vestiti raccolti in eredità
e passati di generazione in generazione, giochi autocostruiti e autoinventati.
Papà impegnato a procurare il pane tutta la tribù e a costruire letti e la mamma a rifarli, i letti.
Natali, anche questi essenziali, però in quello del 1963 fummo fortunati, perché B. decise
di nascere proprio il 25 dicembre e quindi potemmo fare il presepe vivente. Che emozione un
bambinello vivo!
Per le vigilie, papà ripristinò per noi “ LE SEMOETE”, gioco antico in uso nelle case dei contadini.
Sul tavolo grande della cucina si rovesciava un secchio di semola, da noi la segatura del legno, e
dentro al mucchio papà rimestava: caramelle, viti, rondelle e qualche monetina. Divideva in tante
montagnole e facendo girare, a turno, bendato, uno di noi, chiedeva “ Di chi è questo? E questo?”
e così via finché ad ognuno era assegnata la sua e, solo allora si poteva cercare il proprio tesoro.
Quanto ci siamo divertiti, con così poco! O forse era così tanto !
Questo era il punto focale dell’attesa, però i nostri genitori ci preparavano ad un Natale anche
diverso e ci allenavano alla solidarietà. Ci facevano preparare, una settimana prima, cassette di
legna, che avremmo portato, insieme ad un panettone MOTTA ( che lusso!) ad alcune famiglie
della nostra contrada per scaldare il loro cuore e il corpo, almeno in questo giorno.
A noi sembrava così naturale farlo, perché con naturalezza ci veniva insegnato. A pensarci ora
capisco che anche la nostra famiglia non aveva molto, però altri avevano ancora meno e in questo
modo, papà ci insegnava l’attenzione a chi ci viveva vicino e la condivisione anche del poco, che in
questo modo si moltiplicava.
Alla nostra tavola, c’era sempre posto per chi si affacciava, fosse: il postino, un parente, un amico
o un povero. Nessuno doveva andare via a mani vuote o a bocca asciutta.
Mamma, a pranzo, metteva in pentola 1 kg di pasta, in modo che non mancasse mai una porzione
extra per chi ci onorava della sua visita.
Quando abbiamo messo su famiglia, ad ognuno ha regalato una mattonella da cementare sopra il
campanello del portoncino dove è scritto “ Questa casa è aperta: al sole, agli amici, agli ospiti”.
Ecco, anche quest’anno è tutto pronto: la semola nel sacco, il tavolo grande, le monetine, i chiodi
e le rondelle, i bambini in attesa e i grandi pure.
La tradizione continua e spero che questo modo di vivere sia condiviso dai figli e dai nipoti, perché
“ c’è più gioia nel dare, che nel ricevere” e questo fa di ogni giorno Natale.
Giuliana