Sempre più piccoli e al Nord. Ma chi sono i bambini poveri? Sono i figli delle famiglie numerose che non arrivano a fine mese, i bambini degli immigrati senza lavoro e spesso senza casa, delle madri single che si arrangiano, dei genitori separati. O sono i figli delle coppie giovani, con lavori precari, famiglie dove l'arrivo di un bambino mette in crisi il bilancio familiare. Marco, Christian, Manuela, Camilla, Vlad... Le loro storie tutte diverse e tutte uguali: chi è finito in una casa famiglia dopo uno sfratto, chi lascia gli studi, chi sta tutto il giorno in casa davanti alla tv e mangia solo pizza e patatine. La maggior parte ha difficoltà a scuola, scarsa socializzazione, non va in vacanza o solo con le organizzazioni religiose. Tra i desideri che elencano c'è "andare allo stadio", "poter fare tardi la sera", "un cellulare nuovo", "una casa". Microdesideri. "Per conquistare un futuro bisogna prima sognarlo", scrive la poetessa Marge Piercy, ma per molti bambini sognare è un lusso, c'è solo da vivere il presente, il quotidiano, giorno per giorno.
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"I bambini poveri sono più che raddoppiati e la povertà colpisce bambini sempre più piccoli. Al Nord questa è una grossa novità ed è la conseguenza dell'incremento della povertà assoluta delle famiglie straniere", spiega Linda Laura Sabbadini, direttore centrale dell'Istat. "L'aumento della povertà infantile è la conseguenza di due fattori: della crescita della povertà assoluta al Sud e del peggioramento della situazione delle famiglie operaie e straniere al Nord, quelle che hanno più figli, nuclei familiari dove lavora solo l'uomo e in regioni dove si è fatta sentire di più la crisi delle fabbriche". L'Italia è sempre stato un paese con un alto tasso di bambini poveri, per la presenza al Sud di molte famiglie numerose, ma ora l'impoverimento si è ulteriormente diffuso. "Si è aggravato perché sono peggiorate le condizioni per tutte quelle famiglie dove c'è una sola fonte di reddito. Ed è peggiorata anche la situazione al Nord per le famiglie immigrate e quelle operaie che si sono ritrovate senza lavoro". La mancanza di lavoro e la precarietà economica colpiscono gli adulti, ma si trascinano dietro i bambini. Con conseguenze ancora peggiori.
Per molti minori negli ultimi anni è iniziata una vita in salita: le ultime rilevazioni Istat rivelano che quelli che non possono permettersi una settimana di vacanza all'anno lontano da casa erano il 40% nel 2007 sono saliti al 51,3% nel 2013. I bambini che non possono permettersi un pasto proteico una volta ogni due giorni erano 6,2% nel 2007, sono più che raddoppiati nel 2013: 14,4 %. Anche "Save the children" ha realizzato un dossier sui mille volti dell'infanzia deprivata, lo slittamento progressivo, le rinunce quotidiane.
Vecchie e nuove povertà. "Possiamo dire che prima c'era la famiglia povera, storie di disagio sociale che attraversano le generazioni e che non si risolvono mai", spiega Lucia Anania della Caritas. C'era ed esiste ancora la povertà tramandata come una malattia genetica, il disagio come un virus inguaribile che marchia le generazioni, un ergastolo economico che sancisce: fine pena mai. Ma non c'è solo la povertà economica assoluta che si tramanda di padre in figlio. "Ora ci sono tante forme di disagio e a pagare per primi sono loro, i più piccoli. Vediamo aumentare i problemi delle famiglie, si espandono le situazioni difficili perché negli ultimi dieci anni sono venuti a mancare i supporti sociali e familiari, non ci sono più puntelli esterni. Per sostenere le situazioni di disagio cerchiamo di recuperare con una rete amicale e familiare ma la rete è a maglie sempre larghe ed è facile scivolare da questi buchi". E in questi buchi, a volte voragini, finiscono i bambini, nell'impotenza delle famiglie e nell'ignavia generale. A Roma sud ci sono intere famiglie con i figli che vivono in roulottes, sono perlopiù stranieri, da anni in attesa di una casa, un lavoro, una sistemazione. In un piazzale vicino a Laurentino 38 ci sono un paio di roulottes che stazionano davanti a un centro commerciale, i bambini la mattina vanno a scuola, poi tornano nella roulotte. Qui un bambino è stato anche picchiato da una guardia giurata, ma i genitori non hanno sporto denuncia per paura.
Secondo dati forniti dall'Unicef, il 13,3% dei minori italiani vive in una condizione di deprivazione materiale, intesa come la mancanza di accesso ad alcuni beni ritenuti "normali" nelle società economicamente avanzate: almeno un pasto al giorno contenente carne o pesce, libri e giochi adatti all'età del bambino, un posto tranquillo con spazio e luce a sufficienza per fare i compiti. L'Italia in questa classifica è al 20° posto su 29 Paesi considerati. Islanda, Svezia e Norvegia, per esempio, presentano percentuali di deprivazione inferiori al 2%.
La paura di perdere i figli. "Il problema è che l'impoverimento aumenta e diminuiscono le risorse, non ci sono più gli aiuti che c'erano qualche anno fa, Comuni e Regioni non ce la fanno. La situazione sta degenerando e poi molte mamme in difficoltà vedono i servizi non come un aiuto ma come una minaccia: hanno paura che possano togliere loro i figli e quindi evitano anche di rivolgersi ai servizi sociali", racconta Cristina Manzara che dirige "La casa di Christian", un centro della Caritas a Roma che accoglie madri con bambini in difficoltà. "Da noi si rivolgono i servizi sociali per chiederci di ospitare madri sfrattate o che hanno perso il lavoro o abbandonate dal marito, in un anno sono state 280 le richieste, in due/tre anni sono raddoppiate".
Capita così che bambini per uno sfratto perdano la propria casa, finiscano in strutture di accoglienza e da qui a volte inizia una caduta inarrestabile. "Succede poi che la povertà finisca con il confinare con la criminalità, ragazzi che non avrebbero mai commesso reati finiscono male, perché smettono di studiare, frequentano la strada e da lì inizia una discesa". Tra i bambini che vivono in famiglie con un solo genitore il tasso di deprivazione materiale è del 17,6%, mentre tra i bambini che vivono in famiglie con genitori con un basso livello di istruzione il tasso è del 27,9%, cresce al 34,3% per i bambini che vivono in famiglie senza lavoro mentre per chi è figlio di migranti il tasso è del 23,7% (dati dell'Unicef).
Crisi economica e crisi della famiglia. Problemi economici e di disagio che si potrebbero attutire se ci fosse una rete che impedisce di cadere o di non farsi male. Ma la rete non c'è più: sono diminuiti i servizi sociali e di assistenza per i tagli statali, dei Comuni, degli enti locali. In alcuni comuni è capitato che bambini fossero respinti dalle mense scolastiche perché i genitori non pagavano regolarmente. Se nel 2008 i fondi nazionali per il contrasto della povertà erano 2 miliardi e mezzo di euro, nel 2013 gli stanziamenti sono arrivati a 766 milioni di euro. Sono aumentati col governo Letta risalendo a 964 milioni, ma complessivamente c'è un miliardo 536 milioni di euro in meno dall'inizio della crisi. Mentre i sostegni economici calano anche le famiglie si assottigliano, i legami si fanno più fragili, i padri più assenti. "Avere figli aumenta il rischio povertà, questo è un legame certo, a livello europeo l'Italia è il paese dove la sproporzione è più forte perché non ci sono correttivi, né servizi né sgravi fiscali. Secondo dati Eurostat, in Italia questa forbice è accentuata come nei pesi dell'Europa orientale, una situazione peggiorata negli ultimi tempi per la rottura di reti familiari e di sostegno", dice Evelina Martelli della Comunità di Sant' Egidio.
"Oggi, a differenza di una volta, le famiglie hanno meno reti, meno supporti", dice Paola Pistelli dell'Istituto degli Innocenti di Firenze. "C'è più solitudine, più incapacità ad affrontare le relazioni. Noi abbiamo un centro dove ospitiamo donne sole con figli, donne che hanno ricevuto uno sfratto, perso il lavoro, problemi che accadono ma che diventano insormontabili se agli ostacoli materiali si aggiungono quelli interni. Oggi vediamo donne più perse, con più fragilità. Ci sono poi le immigrate: loro sono diverse, sono più forti e consapevoli, sono donne che hanno affrontato un viaggio difficile ma anche per loro non è facile perché spesso si ritrovano con i figli, ma senza un compagno e senza un lavoro. Oggi oltre alla povertà materiale ad aggravare la situazione c'è una povertà di relazioni che riguarda sia le immigrate che le italiane. Le madri vanno a fondo e si portano dietro i figli".
"Sui minori effetti a lungo termine"
di MARINA CAVALLIERI
PADOVA - "La povertà che colpisce i minori ha effetti di lungo termine e comporta un maggiore rischio di povertà ed esclusione sociale per gli adulti di domani. Già a 3 anni è rilevabile uno svantaggio nello sviluppo cognitivo, sociale ed emotivo dei bambini provenienti da famiglie più disagiate e in assenza di interventi adeguati entro i 5 anni il divario aumenta ulteriormente. Eppure in Italia la lotta alla povertà infantile è ancora inefficace". Lo dice Tiziano Vecchiato, presidente della Fondazione Zancan, che nel giugno scorso ha organizzato a Padova un convegno su "L'impatto della povertà e del maltrattamento nel futuro dei bambini". L'incontro è stato realizzato in collaborazione con l'International Association for Outcome-based Evaluation and Research on family and children's service, richiamando a Padova esperti provenienti da Europa, Nord America, Medio Oriente, Australia, Cina.
I minori in povertà assoluta sono raddoppiati negli ultimi tre anni.
"Sì, ma se proiettiamo questi dati nel confronto europeo siamo ancora più perdenti. In particolare, dai dati Eurostat, emerge che nel 2012 tra i bambini fino a 6 anni quasi uno su tre (31,9%) era a rischio di povertà o esclusione sociale in Italia, contro poco meno del 26% a livello medio europeo".
Voi criticate l'attuale welfare, poco efficace.
"Le risorse a favore di famiglie con bambini e minori nel 2010 rappresentavano il 4,6% della spesa complessiva di protezione sociale in Italia, contro l'8% della media europea, secondo le cifre fornite da Eurostat. Una spesa insufficiente e impegnata soprattutto per trasferimenti economici, nonostante sia stata dimostrata l'inefficacia di queste soluzioni. In Italia, infatti, il rischio di povertà per i minori dopo i trasferimenti sociali nel 2011 era ancora sensibilmente superiore alla media Ue: 26,3%. I trasferimenti economici non riducono il rischio di povertà. I confronti europei dimostrano che la disponibilità di servizi per la prima infanzia contribuisce notevolmente a ridurre la povertà dei bambini, molto più degli aiuti economici".
In Italia sono pochi i bambini che hanno accesso ai servizi comunali.
"Solo il 13,5% dei minori di 0-2 anni nel 2011/2012 aveva accesso a servizi socioeducativi comunali, l'11,8% considerando i soli asili nido. Dati che nascondono una marcata differenza territoriale: a fine 2011 il tasso variava tra l'1,9% della Campania e il 24,4% dell'Emilia-Romagna".
In pratica quali sono le vostre proposte per combattere la povertà infantile?
"Una delle proposte della Fondazione Zancan è, ad esempio, di trasformare una parte degli assegni familiari, che valgono 6,5 miliardi, in servizi per la prima infanzia. Trasformando 1,5 miliardi di assegni familiari in asili nido, ad esempio, il numero di bambini presi in carico potrebbe aumentare di 201mila unità, con un incremento del numero di addetti pari a 42mila nuovi occupati. Il risultato non è soltanto occupazionale se si considera ad esempio l'efficacia misurata in termini di riduzione della povertà e della disuguaglianza. Bisogna pensare a politiche di welfare in termini di investimento, di cui si misura la redditività, gli aiuti devono concorrere ad un risultato sociale non solo personale. La nostra proposta prefigura scenari di welfare alternativi a quello che conosciamo, recessivo e degenerativo. La nostra è una proposta 'a risorse invariate', quindi possibile anche in tempi di crisi".
Quando l'indigenza cancella persino i colori
di MARINA CAVALLIERI
ROMA - "Dove faccio doposcuola ci sono bambini italiani che vengono da situazioni di deprivazione tale che non sanno distinguere i colori. È come se con un'infanzia difficile non avessero avuto modo di osservare i colori, e non sanno rispondere quando gli chiedi se il cielo è blu o verde". Evelina Martelli, trentenne, sposata con un figlio, due volte la settimana lascia tutto e attraversa la città per andare a fare il doposcuola in un centro della comunità di Sant'Egidio. Va dai bambini del Laurentino 38, alla periferia di Roma. Il quartiere fu costruito negli anni 70, dovevano essere edifici destinati a chi una casa non l'aveva, pensati per suscitare speranze, soddisfare bisogni, ma, in poco tempo, i palazzi mal costruiti cominciarono a perdere pezzi, la muffa si diffuse insieme alla droga, il degrado s'insinuò tra le crepe dei muri e il fallimento fu accettato da quelli che si erano trasferiti lì come una fatalità, come un destino che ti bracca, ti insegue. Oggi, tra gli alti palazzi circondati dal verde, l'atmosfera non è tetra, c'è piuttosto un clima straniante, di perdita, d'isolamento.
Chi sono i bambini a cui fa doposcuola?
"C'è un po' di tutto, vecchie e nuove povertà, ci sono bambini impoveriti per la separazione dei genitori, che devono rinunciare ai pochi svaghi o attività che avevano, c'è la povertà dei bambini delle madri single che non possono garantire ai loro figli nient'altro che da mangiare. C'è la povertà più estrema, ereditata, che si tramanda da padre in figlio senza soluzione e ci sono bambini che hanno conosciuto solo la precarietà, l'affollamento delle case occupate. Poi ci sono gli ultimi tra gli ultimi, i bambini rom, per loro nessun diritto è garantito, ho avuto difficoltà ad iscrivere bambini a scuola perché non li volevano, questi ragazzi non riescono neanche a sognare di essere come gli altri, sono esclusi e si autoescludono ancor prima di essere messi da parte".
I bambini di cui vi occupate quali difficoltà hanno oltre quelle economiche?
"Soffrono l'isolamento sociale, la mancanza di prospettive, e poi tante difficoltà pratiche, per utilizzare i servizi a cui avrebbero diritto bisogna essere abili, ma fare tutte le pratiche richieste non è facile, c'è chi ha diritto ma le madri non sanno districarsi tra la burocrazia e noi le assistiamo anche per riempire i moduli".
Ma a livello emotivo qual è la cosa che manca di più a questi bambini?
"Sono bambini molto soli, anche quando vivono in case affollate, stanno molto a casa, davanti alla televisione, manca lo stare insieme agli altri, la compagnia, non hanno luoghi di aggregazione, non fanno attività sportive, non frequentano associazioni, c'è una solitudine nel quotidiano molto forte. Quando li portiamo in vacanza stare insieme agli altri è già una festa. Poi a loro manca molto anche viaggiare, raccontano che vorrebbero spostarsi, vedere cose diverse da quelle che vivono tuti i giorni, hanno molte curiosità".
Poi ci sono anche tanti minori che vivono per strada.
"Sì, succede a Roma e questo forse pochi lo sanno. La vita dei bambini che vivono per strada non è solo difficile ma anche molto pericolosa, rischiano violenze, malattie, incidenti".
Il loro futuro devastato dai tagli di oggi
di MARINA CAVALLIERI
GENOVA - Paola Cermelli ha una lunghissima esperienza come assistente sociale, è stata direttore dei servizi sociali del Comune di Genova, è presidente dell'Ordine degli assistenti sociali in Liguria, si occupa anche della formazione universitaria ma non ha mai abbandonato la sua vita in prima linea e ancora oggi, dopo tanti anni di lavoro, fa volontariato in un'associazione che si occupa di minori.
Gli assistenti sociali hanno denunciato spesso i tagli ai servizi sociali fatti negli ultimi anni.
"Sono stati continuamente ridotti i sostegni economici, dal 2003 a oggi sono diminuiti dell'80% i soldi destinati al fondo per l'infanzia e l'adolescenza, parlo di un fondo specifico che era stato istituito nel 1997, per una serie di anni hanno prorogato i fondi per le grandi città, poi via via è stato ridotto e in sostanza è sparito. Ma sono stati tagliati anche i fondi della legge 328 del 2000 (legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali ndr) e quelli per i nidi, sono fondi che andavano ad incidere direttamente e tagliarli significa non valutare le conseguenze".
Quali sono?
"Quello che non si capisce è che i fondi tagliati oggi avranno ripercussioni sul futuro in modo devastante: sulla salute, sulla devianza, sullo studio e la società pagherà domani un prezzo molto più alto di quello che non è stata disposta a pagare oggi".
Quali sono i bambini che stanno peggio?
"Sicuramente i figli di immigrati, con aspetti specifici come le gravidanze di tante minorenni straniere, soprattutto del Sud America. Ci sono anche i problemi degli italiani: la perdita del lavoro è un fattore scatenante nelle famiglie dove c'è un solo reddito, ma oltre a creare un peggioramento delle condizioni economiche crea una situazione di emarginazione, di diversità, che i bambini, gli adolescenti, soffrono molto".
In che modo?
"I ragazzi sono vissuti immersi in una cultura consumistica, soffrono il fatto di non poter avere determinati oggetti che costituiscono status symbol, di non poter avere quello che hanno tutti gli altri, ecco allora che si formano bande che vanno a rubare o anche il fenomeno delle baby prostitute".
Sono comportamenti diffusi?
"Più di quanto non si creda. I ragazzi hanno rapporti sempre più precoci e spesso senza nessuna educazione sessuale e alla vita di coppia, vivono un abbandono educativo, anche questo è un aspetto della povertà". Le inchieste di Repubblica 18.9.2014