Clima, D’Alpaos: in Veneto sono stati fatti disastri
Inviato: dom feb 13, 2022 9:27 am
Cambiamento climatico, D’Alpaos: in Veneto sono stati fatti disastri, io resto molto pessimista
Il guru dell’ingegneria idraulica analizza i danni del passato, dalla cementificazione alla gestione della rete idrica minore. Le colpe di speculatori e Consorzi di bonifica. «Basta scavare: bisogna abolire i volumi sotterranei, da subito»
ugo dinello 11 Febbraio 2022 Mattino
VENEZIA. Aveva capito parecchio, segnalato molto, ma era stato ascoltato poco. Poi quando ci si è resi conto che l’idraulica non è opinabile, i politici sono tornati da lui. Ora il piano fiumi regionale porta il suo nome, ma il resto dell’azione di governo a livello locale lo fa imbestialire.
Luigi D’Alpaos, è nato nel 1943 e dal 1967, anno della sua laurea (ovviamente con lode) è stato il guru dell’Ingegneria idraulica. Ha capito gli effetti degli errori di programmazione da giovane studente, quando nel 1963 andò a studiare l’ecatombe provocata dal disastro del Vajont, per cercare di capire cosa non andava fatto. Poi vide l’enorme distruzione portata dall’alluvione del 1966. Analizzò anche quella.
Da allora la sicurezza è sempre stata il suo pallino e la programmazione idraulica la sua voce potente. Per Luigi D’Alpaos, professore emerito d’Ingegneria idraulica all’Università di Padova, nume tutelare di tutto quanto ha a che fare con acqua e umidità in Veneto e soprattutto uno tra i maggiori esperti del difficile rapporto tra uomo e acqua, la cosa da vedere subito è come tentare di smettere di far danni.
Come ogni scienziato sul futuro del comportamento della parte liquida del nostro pianeta, lui attende dati. “E’ molto probabile che assisteremo a un innalzamento importante dei livelli, che peraltro stiamo già riscontrando ad esempio nel medio mare del Golfo di Venezia, ma in Veneto, mentre tutti gli occhi sono rivolti a Venezia, il problema del futuro è già un problema adesso”.
“Ad esempio, finora si è risposto gonfiando la gravità del fenomeno “cambiamento climatico” focalizzandosi sulla gravità degli effetti. Mi spiego: ci sono due fattori da tenere presenti. Il primo è che dobbiamo giudicare i danni per territori urbanizzati. Il secondo fattore è il comportamento dell’uomo negli ultimi 50 anni. Basta guardarsi intorno per capire che continuiamo ad occupare territorio con nuove iniziative senza la minima valutazione su cosa succederà costruendo”
Un esempio?
La Rete idrica minore, la Rim, è l’insieme delle canalette e fossati da cui si abbevera tutto il Veneto. È stata costruita dagli agricoltori e poi legislata dalla Repubblica di Venezia con leggi severissime contro chiunque manomettesse i canali originari e con continui lavori di pulizia e adeguamento. Ora la Rim è ferma a 70 anni fa. La Regione ci sta mettendo mano, ma il ritardo accumulato è impressionante. Eppure la Rim, che una volta aveva una funzione esclusivamente agricola, è ora il principale sistema di collezione delle acque piovane. Quello, per capirsi, che ci tiene all’asciutto.
“La Rim è nata con finalità di coltivazione agricola – spiega D’Alpaos – ma poi è stata trasformata silenziosamente in qualcosa d’altro con il consenso interessato di tutti. Non è più stata allargata dalla metà del secolo scorso ed è ovvio che è del tutto inadeguata non solo per i terreni, ma soprattutto per la sua nuova funzione di raccolta delle acque in aree urbanizzate”.
Basta dare uno sguardo al Veneto di oggi e confrontarlo con quello dei tempi delle Serenissima per rendersi conto che le aree agricole e verdi che caratterizzavano il paesaggio della Serenissima sono state sostituite da altrettanti spazi grigi e urbanizzati: capannoni al posto di frutteti, strade, centri commerciali, parcheggi e e palazzi al posto dei campi.
Con una particolarità: un’area verde coltivata fa filtrare l’acqua nel terreno e la presenza di piante aumenta questo passaggio di acqua piovana dalla superficie alla falda.
Consumo di suolo. Veneto sul podio “nero” persino nell’anno della pandemia
Cemento e asfalto hanno reso impermeabili enormi aree di territorio: l’acqua piovana, specie se in fenomeni intensi, viene dilavata verso i sistemi idraulici minori agricoli, che però non sono in grado di farvi fronte.
E da questo punto di vista le zone messe peggio non sono solo quelle costiere ma anche quelle centrali della nostra regione.
“Basta dare uno sguardo ad aree come Selvazzano o Rubano, Concordia Sagittaria o Jesolo – spiega D’Alpaos e ai problemi idrici che vi si trovano ad ogni acquazzone per capire che non vi è stata alcuna progettazione seria. Si è costruito e si è fatto costruire senza pensare ai problemi che sarebbero derivati, senza avere un Piano urbano delle acque, senza un minimo di criterio”.
Non solo allagamenti, ma vivibilità urbana. In questo video la protesta degli abitanti di Jesolo per l’eccessiva cementificazione della città turistica che ha portato anche alla scomparsa delle aree alberate. Jesolo è una città a forte rischio per il cambiamento climatico
Chi sono i responsabili? “Certo gli speculatori – spiega – ma anche i consorzi di bonifica che sono stati compartecipi in molti casi”.
Quindi non si tratta solo di cambiamento climatico, ma di cambiamento climatico in un territorio devastato.
“Come quando i politici parlano sempre più ripetutamente di bombe d’acqua, anche per fenomeni usuali, quelli che si chiamavano acquazzoni – dice D’Alpaos – il sospetto che lo facciano per sfuggire alle proprie responsabilità c’è e si ingrandisce”.
L’inchiesta. Il Veneto è indietro su molti fronti, ecco perché
Diciamocele dirette: come se ne esce?
“Sui comportamenti è più facile agire – ammette D’Alpaos – ma a tre condizioni”.
“La prima è quella di cambiare completamente le impostazioni: non va più permesso che certi personaggi facciano e poi si debbano rincorrere i problemi. Prima bisogna capire bene cosa succede costruendo una data cosa e poi dare i permessi”.
Ma da qualche anno esistono i Piani delle acque. Non funzionano?
“Guardi, basta vedere cosa sta succedendo per l’ospedale di Padova Est e abbiamo un esempio perfetto. Sanno che è una zona a forte rischio allagamento? Se sì, perché lo vogliono costruire proprio lì? Se no, cosa aspettano a scoprirlo? Prima di mettere il primo mattone va capito come fare”.
In questa mappa l’area a rischio allagamento di Padova (aree blu). Nell’area verde, al centro della zona allagabile, la zona dove verrà costruito il nuovo ospedale.
Ma quella zona è notoriamente a rischio oppure è una scoperta recente?
“Nel 1846, nella sua “Memoria idraulica”, Pietro Paleocapa scrive che quella zona è a rischio in quanto può essere allagata dal Piovego per rigurgito del Brenta. Dal 1846, non da ieri. La Zona industriale di Padova è uguale. Forse sperano nell’aiuto di Sant’Antonio, ma il giorno che il Santo sarà occupato in altro sarà un disastro. E qui arriviamo alla seconda condizione: l’umiltà. Prima bisogna vedere quanto hanno dato altri scienziati per contribuire a studiare il territorio. Se è vero che oggigiorno manca il tempo, questo non è possibile nella pianificazione del territorio, i politici devono capire che qui si ragiona a lungo termine”.
L’inchiesta. La difficile sfida delle città
E la terza condizione?
“Quella va fatta da subito: abolire i volumi sotterranei. Gli enormi spazi scavati nel sottosuolo non devono esistere in un territorio come il nostro che è sempre stato a forte rischio idraulico ma che adesso dovrà prepararsi a fare fronte a rischi ancora maggiori. Abbiamo avuto decine di morti tra il Piemonte e Vicenza nel 94 proprio per alluvioni che hanno sorpreso persone inermi in spazi mal programmati per il territorio in cui sono stati costruiti. I garage sottocasa o i grandi magazzini interrati qui e da ora non possono più essere permessi e costruiti”.
Il guru dell’ingegneria idraulica analizza i danni del passato, dalla cementificazione alla gestione della rete idrica minore. Le colpe di speculatori e Consorzi di bonifica. «Basta scavare: bisogna abolire i volumi sotterranei, da subito»
ugo dinello 11 Febbraio 2022 Mattino
VENEZIA. Aveva capito parecchio, segnalato molto, ma era stato ascoltato poco. Poi quando ci si è resi conto che l’idraulica non è opinabile, i politici sono tornati da lui. Ora il piano fiumi regionale porta il suo nome, ma il resto dell’azione di governo a livello locale lo fa imbestialire.
Luigi D’Alpaos, è nato nel 1943 e dal 1967, anno della sua laurea (ovviamente con lode) è stato il guru dell’Ingegneria idraulica. Ha capito gli effetti degli errori di programmazione da giovane studente, quando nel 1963 andò a studiare l’ecatombe provocata dal disastro del Vajont, per cercare di capire cosa non andava fatto. Poi vide l’enorme distruzione portata dall’alluvione del 1966. Analizzò anche quella.
Da allora la sicurezza è sempre stata il suo pallino e la programmazione idraulica la sua voce potente. Per Luigi D’Alpaos, professore emerito d’Ingegneria idraulica all’Università di Padova, nume tutelare di tutto quanto ha a che fare con acqua e umidità in Veneto e soprattutto uno tra i maggiori esperti del difficile rapporto tra uomo e acqua, la cosa da vedere subito è come tentare di smettere di far danni.
Come ogni scienziato sul futuro del comportamento della parte liquida del nostro pianeta, lui attende dati. “E’ molto probabile che assisteremo a un innalzamento importante dei livelli, che peraltro stiamo già riscontrando ad esempio nel medio mare del Golfo di Venezia, ma in Veneto, mentre tutti gli occhi sono rivolti a Venezia, il problema del futuro è già un problema adesso”.
“Ad esempio, finora si è risposto gonfiando la gravità del fenomeno “cambiamento climatico” focalizzandosi sulla gravità degli effetti. Mi spiego: ci sono due fattori da tenere presenti. Il primo è che dobbiamo giudicare i danni per territori urbanizzati. Il secondo fattore è il comportamento dell’uomo negli ultimi 50 anni. Basta guardarsi intorno per capire che continuiamo ad occupare territorio con nuove iniziative senza la minima valutazione su cosa succederà costruendo”
Un esempio?
La Rete idrica minore, la Rim, è l’insieme delle canalette e fossati da cui si abbevera tutto il Veneto. È stata costruita dagli agricoltori e poi legislata dalla Repubblica di Venezia con leggi severissime contro chiunque manomettesse i canali originari e con continui lavori di pulizia e adeguamento. Ora la Rim è ferma a 70 anni fa. La Regione ci sta mettendo mano, ma il ritardo accumulato è impressionante. Eppure la Rim, che una volta aveva una funzione esclusivamente agricola, è ora il principale sistema di collezione delle acque piovane. Quello, per capirsi, che ci tiene all’asciutto.
“La Rim è nata con finalità di coltivazione agricola – spiega D’Alpaos – ma poi è stata trasformata silenziosamente in qualcosa d’altro con il consenso interessato di tutti. Non è più stata allargata dalla metà del secolo scorso ed è ovvio che è del tutto inadeguata non solo per i terreni, ma soprattutto per la sua nuova funzione di raccolta delle acque in aree urbanizzate”.
Basta dare uno sguardo al Veneto di oggi e confrontarlo con quello dei tempi delle Serenissima per rendersi conto che le aree agricole e verdi che caratterizzavano il paesaggio della Serenissima sono state sostituite da altrettanti spazi grigi e urbanizzati: capannoni al posto di frutteti, strade, centri commerciali, parcheggi e e palazzi al posto dei campi.
Con una particolarità: un’area verde coltivata fa filtrare l’acqua nel terreno e la presenza di piante aumenta questo passaggio di acqua piovana dalla superficie alla falda.
Consumo di suolo. Veneto sul podio “nero” persino nell’anno della pandemia
Cemento e asfalto hanno reso impermeabili enormi aree di territorio: l’acqua piovana, specie se in fenomeni intensi, viene dilavata verso i sistemi idraulici minori agricoli, che però non sono in grado di farvi fronte.
E da questo punto di vista le zone messe peggio non sono solo quelle costiere ma anche quelle centrali della nostra regione.
“Basta dare uno sguardo ad aree come Selvazzano o Rubano, Concordia Sagittaria o Jesolo – spiega D’Alpaos e ai problemi idrici che vi si trovano ad ogni acquazzone per capire che non vi è stata alcuna progettazione seria. Si è costruito e si è fatto costruire senza pensare ai problemi che sarebbero derivati, senza avere un Piano urbano delle acque, senza un minimo di criterio”.
Non solo allagamenti, ma vivibilità urbana. In questo video la protesta degli abitanti di Jesolo per l’eccessiva cementificazione della città turistica che ha portato anche alla scomparsa delle aree alberate. Jesolo è una città a forte rischio per il cambiamento climatico
Chi sono i responsabili? “Certo gli speculatori – spiega – ma anche i consorzi di bonifica che sono stati compartecipi in molti casi”.
Quindi non si tratta solo di cambiamento climatico, ma di cambiamento climatico in un territorio devastato.
“Come quando i politici parlano sempre più ripetutamente di bombe d’acqua, anche per fenomeni usuali, quelli che si chiamavano acquazzoni – dice D’Alpaos – il sospetto che lo facciano per sfuggire alle proprie responsabilità c’è e si ingrandisce”.
L’inchiesta. Il Veneto è indietro su molti fronti, ecco perché
Diciamocele dirette: come se ne esce?
“Sui comportamenti è più facile agire – ammette D’Alpaos – ma a tre condizioni”.
“La prima è quella di cambiare completamente le impostazioni: non va più permesso che certi personaggi facciano e poi si debbano rincorrere i problemi. Prima bisogna capire bene cosa succede costruendo una data cosa e poi dare i permessi”.
Ma da qualche anno esistono i Piani delle acque. Non funzionano?
“Guardi, basta vedere cosa sta succedendo per l’ospedale di Padova Est e abbiamo un esempio perfetto. Sanno che è una zona a forte rischio allagamento? Se sì, perché lo vogliono costruire proprio lì? Se no, cosa aspettano a scoprirlo? Prima di mettere il primo mattone va capito come fare”.
In questa mappa l’area a rischio allagamento di Padova (aree blu). Nell’area verde, al centro della zona allagabile, la zona dove verrà costruito il nuovo ospedale.
Ma quella zona è notoriamente a rischio oppure è una scoperta recente?
“Nel 1846, nella sua “Memoria idraulica”, Pietro Paleocapa scrive che quella zona è a rischio in quanto può essere allagata dal Piovego per rigurgito del Brenta. Dal 1846, non da ieri. La Zona industriale di Padova è uguale. Forse sperano nell’aiuto di Sant’Antonio, ma il giorno che il Santo sarà occupato in altro sarà un disastro. E qui arriviamo alla seconda condizione: l’umiltà. Prima bisogna vedere quanto hanno dato altri scienziati per contribuire a studiare il territorio. Se è vero che oggigiorno manca il tempo, questo non è possibile nella pianificazione del territorio, i politici devono capire che qui si ragiona a lungo termine”.
L’inchiesta. La difficile sfida delle città
E la terza condizione?
“Quella va fatta da subito: abolire i volumi sotterranei. Gli enormi spazi scavati nel sottosuolo non devono esistere in un territorio come il nostro che è sempre stato a forte rischio idraulico ma che adesso dovrà prepararsi a fare fronte a rischi ancora maggiori. Abbiamo avuto decine di morti tra il Piemonte e Vicenza nel 94 proprio per alluvioni che hanno sorpreso persone inermi in spazi mal programmati per il territorio in cui sono stati costruiti. I garage sottocasa o i grandi magazzini interrati qui e da ora non possono più essere permessi e costruiti”.