il vescovo di Napoli:“Noi la camorra la guardiamo in faccia
Inviato: mar feb 01, 2022 3:02 pm
Viviana Lanza — 28 Gennaio 2022 Il riformista
Chiesa e Don Abbondio, il vescovo di Napoli: “Noi la camorra la guardiamo in faccia e non pieghiamo la schiena”
«Conosco una storia nascosta e silenziosa, per nulla appariscente, poco visibile agli occhi degli uomini e ai riflettori delle telecamere. È la storia minima e tenace, discreta e coraggiosa, di una Chiesa che quotidianamente la camorra la guarda in faccia, dritta negli occhi, senza piegare la schiena». Don Mimmo Battaglia si rivolge «agli uomini e alle donne con le mani sporche di vangelo» e scrive una lettera per ricordare a tutti il loro esempio nei quartieri difficili, in quei territori dove sopraffazione e violenza schiacciano la dignità e i diritti delle persone perbene.
Parla, Don Mimmo, di quei preti che non arretrano di fronte alla prevaricazione mafiosa e omertà e che all’isolamento alimentato dalla paura riescono a proporre il coraggio e la forza della condivisione, la bellezza dello stare insieme e del fare comunità. Appena sabato scorso, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il procuratore generale Luigi Riello aveva lanciato un monito proprio ai parroci: «Via i Don Abbondio, sì ai cardinal Federigo, porte aperte agli “innominati” macerati dal pentimento, quello vero, non quello “mercantile” che si consuma nelle aule di giustizia». E proprio citando l’esempio di Don Battaglia, che aveva definito «uomo coraggioso, inequivocabilmente schierato contro la camorra», Riello aveva ribadito la necessità di creare un ponte con la Chiesa, e ancor di più la necessità di spezzare qualunque legame tra Chiesa e camorra. «Tagliare i fili tra la Chiesa e la camorra – aveva detto nel suo discorso a Castel Capuano – vuol dire realizzare una deflagrazione decisamente disorientante».
«La Chiesa – aveva affermato Riello – deve dire ai camorristi e ai loro insospettabili ma individuabili sodali: uscite fuori, qui non c’è posto per voi, i vostri soldi non possono entrare nelle casse delle parrocchie perché grondano sangue e sofferenze». Ieri Don Battaglia ha voluto sottolineare l’impegno dei parroci. Non una replica diretta alle parole del procuratore generale Riello. Ma un messaggio rivolto a tutti in cui comunque si chiarisce e si sottolinea quanto impegno ci sia nei quartieri di frontiera da parte di quei preti che definisce «fiumi carsici». «Preti che si sentono chiamare “sbirri” perché con franchezza e parresia non hanno timore a ricordare che la denuncia è l’altra faccia dell’annuncio». «Religiosi e religiose – scrive l’arcivescovo – che non si limitano ad aspettare il ritorno del figliol prodigo ma gli stanno dietro, seguono i suoi passi, non gli danno tregua nel ricordargli lo sperpero che sta facendo della sua vita, e spesso trasformano la cella carceraria della pena in un crocevia di tormento e di speranza: tormento per il male sul quale finalmente apre gli occhi, speranza per una vita che si fa sempre in tempo a riprendere in mano».
«Uomini e donne di vangelo – scrive ancora – costretti però anche ad ingoiare spesso i bocconi amari dell’incomprensione e dell’insulto perché chi viene sollecitato a mettere in discussione la propria esistenza fatta di sangue e di morte si ribella, non accetta e non manda giù le parole chiare e per questo dure di chi senza esitazioni e diplomazia gli ricorda che ha venduto l’animo al diavolo». Le parole di Don Battaglia hanno avuto una grande eco: «In coscienza – scrive l’arcivescovo – sento semplicemente il dovere di restituire merito e onore a quei preti e religiosi che in silenzio vivono il proprio ministero incarnando il vangelo del “si si, no no”, quel vangelo che non ti fa scendere a patti con nessuno, che ti fa essere di parte perché hai scelto di schierarti con i più deboli rivendicando per loro quei sacrosanti diritti che i mafiosi e i potenti trasformano invece in favori da chiedere in elemosina, quel vangelo che ti invita a sporcarti le mani perché se sogni un mondo giusto e una società libera dalle mafie quelle mani non puoi tenerle in tasca. E io di preti con le mani sporche di vangelo ne conosco tanti».
Chiesa e Don Abbondio, il vescovo di Napoli: “Noi la camorra la guardiamo in faccia e non pieghiamo la schiena”
«Conosco una storia nascosta e silenziosa, per nulla appariscente, poco visibile agli occhi degli uomini e ai riflettori delle telecamere. È la storia minima e tenace, discreta e coraggiosa, di una Chiesa che quotidianamente la camorra la guarda in faccia, dritta negli occhi, senza piegare la schiena». Don Mimmo Battaglia si rivolge «agli uomini e alle donne con le mani sporche di vangelo» e scrive una lettera per ricordare a tutti il loro esempio nei quartieri difficili, in quei territori dove sopraffazione e violenza schiacciano la dignità e i diritti delle persone perbene.
Parla, Don Mimmo, di quei preti che non arretrano di fronte alla prevaricazione mafiosa e omertà e che all’isolamento alimentato dalla paura riescono a proporre il coraggio e la forza della condivisione, la bellezza dello stare insieme e del fare comunità. Appena sabato scorso, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il procuratore generale Luigi Riello aveva lanciato un monito proprio ai parroci: «Via i Don Abbondio, sì ai cardinal Federigo, porte aperte agli “innominati” macerati dal pentimento, quello vero, non quello “mercantile” che si consuma nelle aule di giustizia». E proprio citando l’esempio di Don Battaglia, che aveva definito «uomo coraggioso, inequivocabilmente schierato contro la camorra», Riello aveva ribadito la necessità di creare un ponte con la Chiesa, e ancor di più la necessità di spezzare qualunque legame tra Chiesa e camorra. «Tagliare i fili tra la Chiesa e la camorra – aveva detto nel suo discorso a Castel Capuano – vuol dire realizzare una deflagrazione decisamente disorientante».
«La Chiesa – aveva affermato Riello – deve dire ai camorristi e ai loro insospettabili ma individuabili sodali: uscite fuori, qui non c’è posto per voi, i vostri soldi non possono entrare nelle casse delle parrocchie perché grondano sangue e sofferenze». Ieri Don Battaglia ha voluto sottolineare l’impegno dei parroci. Non una replica diretta alle parole del procuratore generale Riello. Ma un messaggio rivolto a tutti in cui comunque si chiarisce e si sottolinea quanto impegno ci sia nei quartieri di frontiera da parte di quei preti che definisce «fiumi carsici». «Preti che si sentono chiamare “sbirri” perché con franchezza e parresia non hanno timore a ricordare che la denuncia è l’altra faccia dell’annuncio». «Religiosi e religiose – scrive l’arcivescovo – che non si limitano ad aspettare il ritorno del figliol prodigo ma gli stanno dietro, seguono i suoi passi, non gli danno tregua nel ricordargli lo sperpero che sta facendo della sua vita, e spesso trasformano la cella carceraria della pena in un crocevia di tormento e di speranza: tormento per il male sul quale finalmente apre gli occhi, speranza per una vita che si fa sempre in tempo a riprendere in mano».
«Uomini e donne di vangelo – scrive ancora – costretti però anche ad ingoiare spesso i bocconi amari dell’incomprensione e dell’insulto perché chi viene sollecitato a mettere in discussione la propria esistenza fatta di sangue e di morte si ribella, non accetta e non manda giù le parole chiare e per questo dure di chi senza esitazioni e diplomazia gli ricorda che ha venduto l’animo al diavolo». Le parole di Don Battaglia hanno avuto una grande eco: «In coscienza – scrive l’arcivescovo – sento semplicemente il dovere di restituire merito e onore a quei preti e religiosi che in silenzio vivono il proprio ministero incarnando il vangelo del “si si, no no”, quel vangelo che non ti fa scendere a patti con nessuno, che ti fa essere di parte perché hai scelto di schierarti con i più deboli rivendicando per loro quei sacrosanti diritti che i mafiosi e i potenti trasformano invece in favori da chiedere in elemosina, quel vangelo che ti invita a sporcarti le mani perché se sogni un mondo giusto e una società libera dalle mafie quelle mani non puoi tenerle in tasca. E io di preti con le mani sporche di vangelo ne conosco tanti».