Tina Anselmi: il primato dell'etica

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Tina Anselmi: il primato dell'etica

Messaggioda lidia.pege » dom ott 31, 2021 3:35 pm

Tina Anselmi: il primato dell'etica
Silvia Costa sabato 30 ottobre 2021 AVVENIRE
Il 1° novembre saranno cinque anni dalla morte della prima donna ministro: la sua umanità unita a un alto senso del dovere e a valori cristiani l’ha resa indimenticabile

Il giorno di Ognissanti di cinque anni fa ci lasciava Tina Anselmi, La donna della democrazia, come Marcella Filippa ha emblematicamente intitolato il bel libro a lei dedicato. Un percorso a ritroso nella vita intensa e luminosa di Tina che inizia proprio da quell’addio nella sua amata Castelfranco Veneto, dove ci siamo ritrovati in tante e tanti, stringendoci a quella semplice cassa avvolta nella bandiera italiana. Tina Anselmi è stata una protagonista di quella stagione del secondo Novecento che, dopo le tragedie della guerra e del regime nazifascista, ha visto donne di provenienza culturale, politica e geografica diversa impegnate nella ricostruzione morale e materiale del Paese. Una donna solare, amata, popolare e diventata il simbolo per tante e tanti, in Italia e in Europa, della politica come servizio e testimonianza intelligente e realizzativa. La sua umanità unita a un alto senso del dovere e a valori cristiani vissuti con coerenza ma aperta al dialogo e all’ascolto ne hanno fatto una donna indimenticabile e speciale. Donne che hanno testimoniato e trasmesso valori morali e democratici, come lei avevano preso parte alla Resistenza, direttamente o attraverso l’impegno educativo e sociale, preparando il terreno per l’avvento della democrazia e conquistando il riconoscimento della loro piena cittadinanza politica. Come ha scritto Anna Vinci nel bel libro-intervista Storia di una passione politica, lo spartiacque nella sua vita ha una data precisa: il 26 settembre del ’44 quando, studentessa dell’Istituto Magistrale, viene obbligata ad assistere insieme ai compagni di scuola alla impiccagione di 31 giovani partigiani. «Capii allora che per cambiare il mondo bisogna esserci», disse, e a 17 anni diventa staffetta partigiana. Quell’esperienza la segnerà per sempre. A questa sempre tornava parlando con le più giovani ricordandoci che nulla è conquistato per sempre e che ogni generazione deve vigilare perché non si torni indietro. L’antidoto – diceva – è conoscere e trasmettere la storia dei sacrifici, delle sofferenze e delle lotte che hanno dato vita ai valori a fondamento della nostra Costituzione. Ci diceva: fate la guardia perché possono cancellare le nostre conquiste! Sempre nei suoi incontri politici tornava la questione della democrazia come bene prezioso e fragile e da custodire e la stessa battaglia per la promozione della condizione femminile doveva essere valutata positiva se comportava un ampliamento dei diritti e della giustizia sociale per tutti. La formazione nella Ac, l’impegno sindacale quindi nell’insegnamento e poi nella Democrazia Cristiana, la vita spesa in politica e nelle istituzioni come servizio al bene comune poggiavano in lei su una fede salda e ispirata dal Concilio che ne faceva una donna della speranza e per questo amata da noi giovani. C’è una frase a questo proposito che mi ha colpito e dice tutto della sua concezione della motivazione del suo impegno pubblico: «Noi laureate eravamo libere e dovevamo farlo per loro» e così con loro occupa la filanda. Questa concezione della libertà delle donne conquistata con lo studio (allora erano poche le donne all’Università) e della posizione sociale più avvantaggiata che deve essere considerata non solo come risorsa personale ma come responsabilità da mettere al servizio delle altre, questa etica della restituzione è una delle più importanti eredità che quella generazione di donne mi ha lasciato. Ho conosciuto Tina nel ’74, io appena laureata con una tesi sul sindacato cristiano, la Cil costretta a chiudere dal fascismo, lei parlamentare, incuriosita della mia scelta in quegli anni di contestazione e di crisi dell’associazionismo cattolico. Inizia così la mia collaborazione con il Movimento femminile della Dc, allora guidato da Franca Falcucci e con donne del calibro di Maria Eletta Martini, Luisa Cassanmagnago, Paola Gaiotti, Sandra Codazzi, Gabriella Ceccatelli, Rosa Russo Jervolino, Maria Pia Garavaglia, Patrizia Toia. L’an- no dopo Tina diventa sottosegretario al Lavoro, guida la delegazione italiana alla prima Conferenza Onu sulle donne e nel ’76 viene nominata prima ministro donna. Nello stesso anno, con la stagione di rinnovamento promosso da Moro, il suo riferimento politico, con l’elezione di Benigno Zaccagnini a segretario nazionale della DC, molti giovani entrano nelle liste ed io vengo eletta in Campidoglio. Il Mf Dc era un luogo di collaborazione e di elaborazione politica, di analisi e studio dei cambiamenti sociali, di confronto costante con associazioni, esperte, mondi vitali, di produzione di proposte di legge, di dialogo e anche duro confronto con le proposte di donne di altre forze politiche. Ho molta nostalgia di quella concezione non individualistica e carrierista dei percorsi femmini-li, ma alimentata da un comune sentire, una solidarietà intergenerazionale di trasmissione di valori e di consapevolezza storica, di un impegno comune. Tina diceva: la memoria è necessaria al nutrimento del vivere. Negli anni 70 quelle donne pioniere erano poche, in una società e in una politica molto maschile, ma Tina e le altre si sono conquistate rispetto e autorevolezza perché rappresentavano istanze, si preparavano, erano riconosciute dalle altre donne e dai cittadini, proponevano soluzioni per migliorarne la vita ma sempre nell’orizzonte del rafforzamento della democrazia e della giustizia sociale. L’esperienza di parlamentare e di governo di Tina Anselmi durò 24 anni, dal ’68 al ’92. In soli due anni, come ministro del Lavoro fece approvare leggi fondamentali: sulla parità nel lavoro, gli asili nido, l’ampliamento della tutela della maternità, i congedi parentali, la legge contro il fumo nei luoghi pubblici, gestendo anche difficili vertenze in quegli anni di di crisi economica e di lotte sindacali. Nel ’78, ministra della Sanità, ha davvero segnato un pietra miliare: madre della Riforma della Sanità, la legge 833 e della riforma dell’assistenza psichiatrica. Due leggi rivoluzionarie ispirate a due fondamentali principi: la dignità della persona umana anche nella ma-lattia mentale e la salute come diritto e bene universale, indipendentemente dalle condizioni lavorative ed economiche. In questa drammatica pandemia, molti hanno finalmente ricordato quanto dobbiamo al Servizio sanitario nazionale, da lei voluto con determinazione universale, integrato, accessibile per tutti. Senza cedere a minacce e a tentativi di corruzione (da lei pubblicamente denunciati) da parte di alcune case farmaceutiche. Una stagione di intensa legislazione sociale che proseguirà con la prima legge sui minori del ’97 della Jervolino e seguirà nel 2000 con la legge Turco di riforma dei servizi sociali e poi con la Turco Napolitano sulla immigrazione. Quel ’78 sarà un altro anno spartiacque nella vita di Tina e del Paese, segnato per lei dalle polemiche e dal raffreddamento gerarchie vaticane per sua firma alla legge 194 che la fece molto soffrire. Ricordo la sua amarezza ma anche la sua convinzione di ministra che rispetta la volontà del Parlamento e della istituzione a lei affidata, nella autonomia della azione politica, dopo avere tentato con altri colleghi Dc di migliorare la legge sulla Ivg: si devono a loro gli articoli sulla tutela della vita umana dal suo inizio, l’aborto non come diritto soggettivo ma come dolorosa necessità e solo in alcune circostanze, gli articoli dedicati alla prevenzione, le limitazioni temporali, il ruolo dei consultori familiari e l’obbligo di un colloquio preventivo. Nel marzo, il rapimento e il barbaro assassinio di Moro da parte delle Br: «Dopo quei giorni non saremmo stati più gli stessi – scriverà – . Si è aperta una ferita nella nostra intelligenza e umanità». E quel 1981 in cui rispose affermativamente alla richiesta della Jotti di presiedere la commissione parlamentare di inchiesta sulla P2: un lavoro immenso, tradotto nella relazione finale discussa dopo una attesa di 7 mesi in Parlamento! Restano parole dure come pietre, raccolte da Anna Vinci, su quella durissima esperienza in cui venne da tanti delegittimata, minacciata e vilipesa. Ma che le conquistò la fiducia e il sostegno di migliaia di cittadini. Il suo giudizio è netto come una sciabolata: la P2 è stata un tentativo di golpe strisciante, si è infiltrata nei corpi dello Stato, dall’economia, al giornalismo, alla magistratura. E molte cose che successero in quel periodo che va dal ’92 al ’96 gliene dettero ragione. Pagherà molto cara, Tina, quella sua audacia e trasparenza, quel primato dell’etica e del dovere verso la Repubblica, come lei lo chiamava. Nel ’92 nel suo collegio di Treviso che l’aveva sempre votata con amore e stima, le viene preferito un altro candidato e lei viene assegnata a un collegio a stragrande maggioranza leghista, mentre per ben due volte abbiamo raccolto firme per sostenere la sua candidatura a presidente della Repubblica e poi a senatore a vita. Inutilmente. In alcuni ambienti la vicenda P2 le ha alienato molte simpatie. Lei lo capisce e ne vive l’amarezza che ci confida e inizia un lungo periodo di allontanamento e di silenzio. Come altre grandi donne della democratico cristiane è uscita in punta di piedi dalla politica senza chiedere né pretendere contropartite. Ma noi sappiamo che queste madri della Repubblica sono entrate nella storia anche se finora sono state davvero troppo poche le iniziative istituzionali per ricordarla se si eccettua l’intitolazione di una sala al ministero della Sanità. Enzo Bianchi ha scritto: «Trasmettere è la sola maniera di essere fedeli a ciò che si e ricevuto ». Questa fedeltà Tina l’ha incarnata fino in fondo. Abbiamo il dovere morale e politico, soprattutto in questo diffuso smarrimento dei valori fondativi della politica e di perdita dei valori di quell’umanesimo integrale a cui lei si ispirava, di restituire viva anche tra le nuove generazioni la sua luminosa testimonianza. Un impegno che, anche come vice presidente della Associazione nazionale dei Partigiani Cristiani, intendo assumere.
Lidia Pege
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