Ondate di calore in città: un'emergenza di salute
Inviato: sab lug 31, 2021 2:54 pm
Ondate di calore in città: un'emergenza di salute, legata alla crisi climatica
di Sofia Belardinelli
Il BO LIVE
Quasi 35°C a Mosca, in Russia. 35°C anche in Finlandia. 51°C a Basra, Iraq. 50°C negli Stati Uniti nord-occidentali e nella zona di Vancouver, in Canada. Sono alcune delle temperature anomale registrate in giro per il mondo a giugno 2021: temperature che mostrano l’ormai evidente destabilizzazione globale del clima, il cui riscaldamento ha già raggiunto stabilmente 1°C di aumento rispetto alle temperature preindustriali e che, seppure le emissioni di gas climalteranti cessassero improvvisamente domani, continuerà a riscaldarsi ben oltre la soglia di 1,5°C di aumento fissata nel 2015 dagli Accordi di Parigi.
Insomma, la crisi climatica – a lungo derubricata a problema di là da venire, a questione da delegare alle future generazioni – è già in atto, e noi presenti ci siamo dentro fino al collo.
Non si tratta di un tarlo da ambientalisti: le conseguenze dell’innalzamento globale delle temperature medie annuali non mettono a rischio solo la sopravvivenza di molti degli ecosistemi naturali – altro problema del quale, peraltro, dovremmo preoccuparci, in quanto i nostri complessi sistemi socioeconomici non possono funzionare senza i fondamentali servizi ecosistemici forniti dalla natura – ma insidiano direttamente la nostra salute.
Pensiamo alle ondate di calore, sempre più frequenti e sempre più drammatiche: secondo uno studio pubblicato dalla rivista scientifica Nature Climate Change, ben il 37% delle morti annuali legate all’eccesso di calore deve essere ricondotto al cambiamento climatico antropogenico – un dato che è destinato a crescere esponenzialmente in futuro.
Soprattutto nelle sue manifestazioni sotto forma di eventi meteorologici estremi, un’emergenza planetaria come la crisi climatica si declina con modalità e intensità diverse nelle diverse aree del mondo, portando con sé anche un pesante carico di ingiustizia sociale. Ne sono esempio eclatante, ancora una volta, le ondate di calore: come sottolinea un commento di Nature firmato dalla giornalista scientifica Alexandra Witze, gli anomali picchi delle temperature hanno un impatto significativamente maggiore su chi appartiene a minoranze etniche o a ceti economici svantaggiati. Le disuguaglianze nell’impatto che gli effetti del cambiamento climatico hanno sulla salute si registrano in particolar modo nelle città, già di per sé soggette al fenomeno delle cosiddette “cupole di calore” (heat domes, in inglese). I materiali utilizzati per le costruzioni, che intrappolano il calore, e la pianificazione architettonica, spesso carente di spazi verdi e aree ombreggiate, stanno infatti creando le condizioni perché nelle città di tutto il mondo si verifichino, sempre più spesso, vere e proprie emergenze di salute pubblica legate alle alte temperature (di questi temi si occupa il Global Heat Health Information Network).
Negli Stati Uniti, dove negli ultimi anni è stata dedicata una crescente attenzione, anche in ambito accademico, al tema delle disuguaglianze connesse alla crisi climatica, «una mole di evidenze scientifiche sta dimostrando come molteplici ingiustizie in campo ambientale abbiano fatto sì che molti cittadini rimanessero a “cuocersi” all’interno di vaste distese d’asfalto, mentre altri quartieri urbani beneficiano di aree verdi, con ampi prati e alberi frondosi», scrive la giornalista di Nature. Di questa situazione di disagio ambientale soffrono, in particolar modo negli USA, soprattutto coloro che appartengono a minoranze etniche, storicamente marginalizzate non solo attraverso evidenti discriminazioni razziali, ma anche in modo subliminale – ad esempio mediante una pianificazione urbanistica dalla connotazione classista.
Molto spesso, hanno notato i ricercatori, negli Stati Uniti stessi non è solo l’appartenenza etnica ad aumentare il rischio di soffrire in misura maggiore danni ambientali, ma anche il grado di agiatezza economica. Questo è vero anche per altri Paesi, sviluppati e in via di sviluppo, dove la parte più fragile della popolazione è maggiormente esposta agli effetti di eventi estremi come le ondate di calore, non solo per le inadatte condizioni dei luoghi dove si vive – la propria abitazione o il quartiere di residenza –, ma anche, spesso e volentieri, per la mancanza di una corretta informazione sulle misure precauzionali da prendere.
In una situazione in cui sembra sempre meno probabile riuscire a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, diventa necessario investire in soluzioni che garantiscano l’adattamento a condizioni ambientali in rapida trasformazione. Questo vale tanto più nelle città, che sono sistemi complessi e, per questo motivo, devono poter contare su un’elevata capacità di resilienza.
Sono molti i possibili interventi per ridurre l’impatto delle ondate di calore nelle città. Tra questi, ad esempio, il cosiddetto urban greening, il rinverdimento urbano, un ottimo esempio di nature-based solution che sfrutta la capacità delle piante di mitigare la temperatura ambientale, riducendo così gli effetti delle “isole di calore” che si verificano in città e le rendono spesso invivibili. Tetti verdi, parchi urbani, pareti e interi palazzi ricoperti di piante sono alcuni dei possibili interventi, che stanno lentamente prendendo piede nelle metropoli di tutto il mondo.
Nel pianificare interventi miranti all’adattamento a un clima che cambia non bisogna tuttavia trascurare la dimensione di equità sociale: nel rispondere alla crisi climatica – già di per sé caratterizzata da profonde diseguaglianze, che contrappongono sia i paesi ricchi con i paesi poveri, sia le generazioni presenti con quelle future – è necessario mettere in pratica, anche al livello locale, il principio dell’Agenda 2030 secondo cui “nessuno deve essere lasciato indietro”.
Ciò significa, nella pratica, prendere provvedimenti che sostengano i più fragili: offrendo sostegni economici per le bollette dell’elettricità durante i mesi estivi, ad esempio; rendendo disponibili in tutti i quartieri un numero adeguato di spazi verdi, che offrano riparo dalla calura; fornendo alla popolazione un’informazione di qualità sui rischi che le ondate di calore costituiscono per la salute e sulle misure precauzionali da adottare; attivando, soprattutto nelle grandi città, sistemi di reti sociali che contrastino la solitudine, facendo sì che tutti abbiano un sostegno, anche informale, in caso di bisogno.
di Sofia Belardinelli
Il BO LIVE
Quasi 35°C a Mosca, in Russia. 35°C anche in Finlandia. 51°C a Basra, Iraq. 50°C negli Stati Uniti nord-occidentali e nella zona di Vancouver, in Canada. Sono alcune delle temperature anomale registrate in giro per il mondo a giugno 2021: temperature che mostrano l’ormai evidente destabilizzazione globale del clima, il cui riscaldamento ha già raggiunto stabilmente 1°C di aumento rispetto alle temperature preindustriali e che, seppure le emissioni di gas climalteranti cessassero improvvisamente domani, continuerà a riscaldarsi ben oltre la soglia di 1,5°C di aumento fissata nel 2015 dagli Accordi di Parigi.
Insomma, la crisi climatica – a lungo derubricata a problema di là da venire, a questione da delegare alle future generazioni – è già in atto, e noi presenti ci siamo dentro fino al collo.
Non si tratta di un tarlo da ambientalisti: le conseguenze dell’innalzamento globale delle temperature medie annuali non mettono a rischio solo la sopravvivenza di molti degli ecosistemi naturali – altro problema del quale, peraltro, dovremmo preoccuparci, in quanto i nostri complessi sistemi socioeconomici non possono funzionare senza i fondamentali servizi ecosistemici forniti dalla natura – ma insidiano direttamente la nostra salute.
Pensiamo alle ondate di calore, sempre più frequenti e sempre più drammatiche: secondo uno studio pubblicato dalla rivista scientifica Nature Climate Change, ben il 37% delle morti annuali legate all’eccesso di calore deve essere ricondotto al cambiamento climatico antropogenico – un dato che è destinato a crescere esponenzialmente in futuro.
Soprattutto nelle sue manifestazioni sotto forma di eventi meteorologici estremi, un’emergenza planetaria come la crisi climatica si declina con modalità e intensità diverse nelle diverse aree del mondo, portando con sé anche un pesante carico di ingiustizia sociale. Ne sono esempio eclatante, ancora una volta, le ondate di calore: come sottolinea un commento di Nature firmato dalla giornalista scientifica Alexandra Witze, gli anomali picchi delle temperature hanno un impatto significativamente maggiore su chi appartiene a minoranze etniche o a ceti economici svantaggiati. Le disuguaglianze nell’impatto che gli effetti del cambiamento climatico hanno sulla salute si registrano in particolar modo nelle città, già di per sé soggette al fenomeno delle cosiddette “cupole di calore” (heat domes, in inglese). I materiali utilizzati per le costruzioni, che intrappolano il calore, e la pianificazione architettonica, spesso carente di spazi verdi e aree ombreggiate, stanno infatti creando le condizioni perché nelle città di tutto il mondo si verifichino, sempre più spesso, vere e proprie emergenze di salute pubblica legate alle alte temperature (di questi temi si occupa il Global Heat Health Information Network).
Negli Stati Uniti, dove negli ultimi anni è stata dedicata una crescente attenzione, anche in ambito accademico, al tema delle disuguaglianze connesse alla crisi climatica, «una mole di evidenze scientifiche sta dimostrando come molteplici ingiustizie in campo ambientale abbiano fatto sì che molti cittadini rimanessero a “cuocersi” all’interno di vaste distese d’asfalto, mentre altri quartieri urbani beneficiano di aree verdi, con ampi prati e alberi frondosi», scrive la giornalista di Nature. Di questa situazione di disagio ambientale soffrono, in particolar modo negli USA, soprattutto coloro che appartengono a minoranze etniche, storicamente marginalizzate non solo attraverso evidenti discriminazioni razziali, ma anche in modo subliminale – ad esempio mediante una pianificazione urbanistica dalla connotazione classista.
Molto spesso, hanno notato i ricercatori, negli Stati Uniti stessi non è solo l’appartenenza etnica ad aumentare il rischio di soffrire in misura maggiore danni ambientali, ma anche il grado di agiatezza economica. Questo è vero anche per altri Paesi, sviluppati e in via di sviluppo, dove la parte più fragile della popolazione è maggiormente esposta agli effetti di eventi estremi come le ondate di calore, non solo per le inadatte condizioni dei luoghi dove si vive – la propria abitazione o il quartiere di residenza –, ma anche, spesso e volentieri, per la mancanza di una corretta informazione sulle misure precauzionali da prendere.
In una situazione in cui sembra sempre meno probabile riuscire a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, diventa necessario investire in soluzioni che garantiscano l’adattamento a condizioni ambientali in rapida trasformazione. Questo vale tanto più nelle città, che sono sistemi complessi e, per questo motivo, devono poter contare su un’elevata capacità di resilienza.
Sono molti i possibili interventi per ridurre l’impatto delle ondate di calore nelle città. Tra questi, ad esempio, il cosiddetto urban greening, il rinverdimento urbano, un ottimo esempio di nature-based solution che sfrutta la capacità delle piante di mitigare la temperatura ambientale, riducendo così gli effetti delle “isole di calore” che si verificano in città e le rendono spesso invivibili. Tetti verdi, parchi urbani, pareti e interi palazzi ricoperti di piante sono alcuni dei possibili interventi, che stanno lentamente prendendo piede nelle metropoli di tutto il mondo.
Nel pianificare interventi miranti all’adattamento a un clima che cambia non bisogna tuttavia trascurare la dimensione di equità sociale: nel rispondere alla crisi climatica – già di per sé caratterizzata da profonde diseguaglianze, che contrappongono sia i paesi ricchi con i paesi poveri, sia le generazioni presenti con quelle future – è necessario mettere in pratica, anche al livello locale, il principio dell’Agenda 2030 secondo cui “nessuno deve essere lasciato indietro”.
Ciò significa, nella pratica, prendere provvedimenti che sostengano i più fragili: offrendo sostegni economici per le bollette dell’elettricità durante i mesi estivi, ad esempio; rendendo disponibili in tutti i quartieri un numero adeguato di spazi verdi, che offrano riparo dalla calura; fornendo alla popolazione un’informazione di qualità sui rischi che le ondate di calore costituiscono per la salute e sulle misure precauzionali da adottare; attivando, soprattutto nelle grandi città, sistemi di reti sociali che contrastino la solitudine, facendo sì che tutti abbiano un sostegno, anche informale, in caso di bisogno.