Il gender gap è anche per strada...

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Messaggioda lidia.pege » dom feb 21, 2021 11:27 am

Il gender gap è anche per strada: solo 7 vie su 100 sono intitolate alle donne

La toponomastica parla chiaro: gli uomini consacrati sono in maggioranza schiacciante. Ora un libro prova a raccogliere le sparute rappresentanti in uno stradario tutto al femminile. Per scoprire non solo sante e madonne ma scienziate, aviatrici e partigiane
di Maurizio Di Fazio
19 Febbraio 2021 Espresso

La discriminazione e la disparità di genere, quel gender gap di cui si riparla a ogni crisi economica e cambio di governo, ha, dalle nostre parti, profonde radici storiche. Anzi, toponomastiche. Sono veramente poche le donne a cui sono dedicate le strade delle nostre città. La miseria di 7 per ogni 100 vie e piazze consacrate a uomini. E oltre la metà sono sante e martiri e madonne. Quote rosa urbane contemporanee ridotte ai minimi termini, e angelicate che nemmeno il dolce stil novo. Via libera. 50 donne che si sono fatte strada, scritto da Valentina Ricci, Viola Afrifa e Romana Rimondi e in uscita in queste ore per Sonzogno, prova a fare un po’ di giustizia virtuale, andando a geolocalizzare strada per strada le sparute rappresentanti di un primo stradario d’Italia tutto al femminile.

Via libera. 50 donne che si sono fatte strada

La metropoli più lungimirante di tutte, in tal senso, sembra essere Milano. Un viaggio nel tempo e nello spazio, con storie spesso inedite e sempre intrise di coraggio, orgoglio, consapevolezza, sacrificio, talento e genio, competenza e sete di libertà. Donne che hanno spianato la strada al progresso dopo aver percorso strade in salita. Un impegno collettivo e sfaccettato a cui gli enti locali hanno mediamente corrisposto con l’intitolazione non certo di ariosi boulevard del centro. Ma qui le cinquanta protagoniste del libro riprendono direttamente la parola, vita e si rivolgono al lettore in prima persona, con vis, elegante rivalsa e, qua e là, affilato sarcasmo. Alla Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master, insomma.

Poetesse, come Alda Merini (1939-2009), a cui hanno dedicato un ponte di ferro a Milano, zona Navigli, «quello che sta di fronte a casa mia. L’hanno chiamato Ponte Alda Merini, ma vorrei che lo chiamaste Ponte della Voce, che è stata la mia salvezza. Oppure della Poesia, che è stata la mia fata. Oppure delle Parole, che scoppiano dal corpo, profanato e amato, fecondo sempre». O come Amalia Guglielminetti (1881-1941), definita da D’Annunzio l’unica vera grande poetessa dell’epoca, poi ricordata (un classico del maschiocentrismo di ogni era) più che altro per la sua love story con Guido Gozzano, «il nostro gioco intellettuale lo avrei voluto trasformare in una relazione vera. Non è durata. Eppure, ancora oggi il mio nome è legato al suo. Sempre e solo legato al suo. Per fortuna adesso a Torino siamo distanti: Via Guglielminetti e Via Gozzano sono ai lati opposti della città. Almeno qui».

Scienziate come Gaetana Agnesi (1718-1799), i cui trattati sono alla base della matematica moderna, «qualcuno sostiene che io sia stata la più grande studiosa di tutti i tempi. Per certo sono stata la prima donna a insegnare all’Università di Bologna e a dare alle stampe un’opera sulla mirabile scienza matematica che conduce alla verità. Eppure, cari lettori, ciò di cui vado più fiera nella mia vita è aver aiutato gli indigenti. Per questa ragione mi hanno dedicato una via a Milano».

E Margherita Hack (1922-2013), la celebre astrofisica, icona di intelligenza e anticonformismo, eternata in modo circoscritto in una strada a Lido di Camaiore, in provincia di Lucca, lei che interrogava le stelle. Artiste come Tina Modotti (1896-1942), la leggendaria fotografa cosmopolita e ribelle «espulsa, non gradita, ripudiata ovunque», morta a Città del Messico ma nata a Udine, che la ricorda con una piccola via.

O la storica dell’arte Palma Bucarelli (1910-1998), che fu la prima donna italiana a essere nominata a capo di un museo pubblico, «nel 1941, in piena Seconda guerra mondiale, ero direttrice della Gnam: avevo trent’anni. La piccola strada romana che porta il mio nome finisce in una manciata di scalini che conducono al Caffè delle Arti, proprio dentro la mia amata Galleria nazionale di arte moderna». Attrici come Dina Galli (1877-1951): specializzata in pochade, regina del teatro leggero, a Milano le hanno riservato una strada privata del quartiere Isola, non lontana dal cimitero monumentale dove riposano le sue spoglie, protette dalla scultura di una donna che tiene in mano una maschera sorridente.

Cantanti liriche come Giuseppina Strepponi (1815-1897), talent-scout e poi musa di Giuseppe Verdi, anche lei «a Milano, la via che mi hanno dedicato è in periferia, accanto al parco Nord, e non è lunga neppure cento metri». Cicliste come Alfonsina Strada (1891-1959), la prima a gareggiare al Giro d’Italia, a lei si ispirò la canzone Bellezza in bicicletta portata al successo dal Trio Lescano, «sono caduta molte volte, ho forato, mi sono fatta male, ho pianto, ma sono sempre arrivata al traguardo. Dove gli uomini si arrendevano, io stringevo i denti e spingevo di più. La strada che mi hanno dedicato si trova tra i casermoni di Corsico, alla periferia sud-ovest di Milano. Una strada distante da quella dove avevo aperto il mio negozio di biciclette. Ma la distanza non è mai stata un problema per me, a patto che potessi percorrerla sulla mia due ruote».

Aviatrici del livello Rosina Ferrario (1888-1957), l’iniziatrice dell’aviazione italiana al femminile, il brevetto di volo lo prese nel 1913, «mi hanno dedicato una piccola strada di periferia nella mia Milano: è stretta ma potrei atterrarci giusta giusta con una manovra delle mie». Imprenditrici della caratura di Marisa Bellisario (1935-1988), prima grande manager nazionale e pioniera delle lotte per la parità di genere, dall’avventura americana alla General Electric alla guida e al rilancio, all’inizio degli anni ottanta, della Italtel, perpetuata nel verde con un giardino a Torino. E Aurora Vuillerminaz, partigiana (1922-1944), «la via che mi hanno dedicato ad Aosta è circondata dai monti: Via Monte Cervino, Via Gran Paradiso, Via Mont Fallère, Via Monte Bianco. Poi, se alzi lo sguardo, quelle montagne le vedi davvero». Come lei altre ragazze, «vestite come alpini, imbacuccate in sciarpe e scarponi», animarono e portarono alla vittoria la Resistenza contro la barbarie nazifascista. «Molte sono diventate nonne, hanno potuto raccontare le nostre imprese a figli e nipoti». Lei no, è morta a ventidue anni, fucilata alle sei del mattino. «Ma la racconto da qui la mia storia, all’ombra dei monti che mi hanno sempre protetta».
Lidia Pege
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