Sul traffico di embrioni c’è una zona grigia anche in Italia
Inviato: mar dic 01, 2020 9:50 am
Francesco Ognibene martedì 1 dicembre 2020 Avvenire
Il reportage pubblicato domenica da «Avvenire» sul traffico globale di esseri umani appena concepiti riapre il dossier sull’efficacia delle regole contro il commercio legato alla maternità surrogata
Sul traffico di embrioni c’è una zona grigia anche in Italia
Gli «embrioni viaggiatori», trattati «come oggetti»: il reportage pubblicato domenica da Avvenire in due pagine, firmato dalla giornalista francese Louise Audibert per La Croix Hebdoe poi uscito anche su queste pagine grazie alla partnership di Avvenire con il quotidiano cattolico francese, porta il lettore a fare il giro del mondo seguendo la rotta degli embrioni congelati e trasportati come bagaglio a mano da insospettabili corrieri, grazie alla complicità di una lunga filiera di favoreggiatori, ognuno con il suo interesse (e un bel carico di ipocrisia). Ma nell’agghiacciante fenomeno che si staglia tappa dopo tappa nel viaggio tra cliniche, mediatori, medici e madri surrogate l’Italia che ruolo ha? Certamente non marginale. Vediamo perché.
È ben nota l’imponenza del mercato italiano dei «figli su richiesta»: con la sola fecondazione artificiale nel 2018 sono nati 13.973 bambini (pari al 3,1% delle nascite totali) in 366 centri specializzati in tutte le regioni, fenomeno in continua crescita. Una pratica del tutto legale, s’intende, che tuttavia nel tempo ha anche generato una crescente aspettativa nei confronti della possibilità di ottenere un figlio come e quando si desidera che non sempre ha imboccato la strada di ciò che la legge 40 consente. Chi non riesce a ottenere un figlio in modo naturale o in provetta, non procrea per motivi fisiologici, o perché si tratta di una coppia di uomini, può finire per considerare anche l’ipotesi dell’affitto di una madre e della previa produzione di un embrione con gameti propri o reperiti sul libero mercato (perlopiù uno dei due). Solo una supposizione? Non proprio. La consistenza della domanda dall’Italia di figli tramite utero in affitto nei Paesi dove la pratica per gli stranieri è legale è documentata dal semplice ma decisivo indizio della presenza di numerosi siti che presentano nella nostra lingua (e spesso in ottimo italiano) i servizi di cliniche specializzate ucraine, spagnole o americane.
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Reportage."Embrioni viaggiatori": tra India e Ucraina la rotta dell'utero in affitto
È recente il caso, emerso durante il lockdown primaverile, delle decine di bebè nati da madri surrogate ucraine e parcheggiati in un hotel di Kiev in attesa che potessero ritirarli i genitori committenti, alcuni dei quali italiani, con il nostro ambasciatore costretto ad arginare le richieste di connazionali che chiedevano un salvacondotto per recuperare il neonato e saldare il conto con la Biotexcom, erogatrice del 'pacchetto'. I motori di ricerca propongono tra gli annunci sponsorizzati siti come www.surrogacyitaly.com, www.uteroinaffitto. com o www.fertilitycenterlv. com, con listini dedicati agli italiani, in barba alla legge 40 che punisce con la reclusione da due mesi a tre anni «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità».
Proprio il caso di quanti intascano soldi dalle pubblicità di una condotta che configura un reato – e di chi le realizza – ha riaperto il dossier della maternità surrogata all’italiana con la richiesta di intervento delle istituzioni per fermare un simile abuso. Ma l’ormai consolidata prassi giudiziaria di assolvere chi torna in Italia con un bebè nato da utero in affitto all’estero ha reso ormai il fenomeno non solo impunito ma nella sostanza tollerato. È la zona grigia all’italiana: a parole si vieta, nella prassi si legalizza, permettendo che ad alimentare il mercato globale della vita umana siano anche cittadini italiani, complice l’atteggiamento sinora ambiguo del nostro Paese verso una pratica abietta di commercializzazione della maternità, dei bambini e della stessa dignità femminile.
Chi avrà il coraggio e l’onestà di por termine a questa intollerabile opacità? Il Parlamento ha tutte le carte in mano per sanare il vuoto legislativo: giacciono alla Camera ancora in attesa di essere calendarizzate due proposte di legge per mettere al bando la maternità surrogata non solo in Italia ma anche all’estero vietando a cittadini italiani di alimentare questo turpe commercio. Le sensibilità sono molteplici: ma per prosciugare la palude dell’inerzia basterebbe davvero poco. Avvenire ha fornito una volta ancora la documentazione per voltare pagina. È l’ora dei fatti.
Il reportage pubblicato domenica da «Avvenire» sul traffico globale di esseri umani appena concepiti riapre il dossier sull’efficacia delle regole contro il commercio legato alla maternità surrogata
Sul traffico di embrioni c’è una zona grigia anche in Italia
Gli «embrioni viaggiatori», trattati «come oggetti»: il reportage pubblicato domenica da Avvenire in due pagine, firmato dalla giornalista francese Louise Audibert per La Croix Hebdoe poi uscito anche su queste pagine grazie alla partnership di Avvenire con il quotidiano cattolico francese, porta il lettore a fare il giro del mondo seguendo la rotta degli embrioni congelati e trasportati come bagaglio a mano da insospettabili corrieri, grazie alla complicità di una lunga filiera di favoreggiatori, ognuno con il suo interesse (e un bel carico di ipocrisia). Ma nell’agghiacciante fenomeno che si staglia tappa dopo tappa nel viaggio tra cliniche, mediatori, medici e madri surrogate l’Italia che ruolo ha? Certamente non marginale. Vediamo perché.
È ben nota l’imponenza del mercato italiano dei «figli su richiesta»: con la sola fecondazione artificiale nel 2018 sono nati 13.973 bambini (pari al 3,1% delle nascite totali) in 366 centri specializzati in tutte le regioni, fenomeno in continua crescita. Una pratica del tutto legale, s’intende, che tuttavia nel tempo ha anche generato una crescente aspettativa nei confronti della possibilità di ottenere un figlio come e quando si desidera che non sempre ha imboccato la strada di ciò che la legge 40 consente. Chi non riesce a ottenere un figlio in modo naturale o in provetta, non procrea per motivi fisiologici, o perché si tratta di una coppia di uomini, può finire per considerare anche l’ipotesi dell’affitto di una madre e della previa produzione di un embrione con gameti propri o reperiti sul libero mercato (perlopiù uno dei due). Solo una supposizione? Non proprio. La consistenza della domanda dall’Italia di figli tramite utero in affitto nei Paesi dove la pratica per gli stranieri è legale è documentata dal semplice ma decisivo indizio della presenza di numerosi siti che presentano nella nostra lingua (e spesso in ottimo italiano) i servizi di cliniche specializzate ucraine, spagnole o americane.
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Proprio il caso di quanti intascano soldi dalle pubblicità di una condotta che configura un reato – e di chi le realizza – ha riaperto il dossier della maternità surrogata all’italiana con la richiesta di intervento delle istituzioni per fermare un simile abuso. Ma l’ormai consolidata prassi giudiziaria di assolvere chi torna in Italia con un bebè nato da utero in affitto all’estero ha reso ormai il fenomeno non solo impunito ma nella sostanza tollerato. È la zona grigia all’italiana: a parole si vieta, nella prassi si legalizza, permettendo che ad alimentare il mercato globale della vita umana siano anche cittadini italiani, complice l’atteggiamento sinora ambiguo del nostro Paese verso una pratica abietta di commercializzazione della maternità, dei bambini e della stessa dignità femminile.
Chi avrà il coraggio e l’onestà di por termine a questa intollerabile opacità? Il Parlamento ha tutte le carte in mano per sanare il vuoto legislativo: giacciono alla Camera ancora in attesa di essere calendarizzate due proposte di legge per mettere al bando la maternità surrogata non solo in Italia ma anche all’estero vietando a cittadini italiani di alimentare questo turpe commercio. Le sensibilità sono molteplici: ma per prosciugare la palude dell’inerzia basterebbe davvero poco. Avvenire ha fornito una volta ancora la documentazione per voltare pagina. È l’ora dei fatti.