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La cultura muore di covid-19

MessaggioInviato: gio nov 19, 2020 11:54 am
da lidia.pege
La cultura muore di covid-19
Posted on 18 Novembre 2020 by ecopolisnewsletter

La grande speranza di poter offrire cultura è stata nuovamente negata nonostante il grande lavoro di messa in sicurezza realizzato da musei, teatri e cinema. Serve subito un piano perché così si muore.

Le misure presentate nel Dpcm del 25 ottobre avevano chiuso cinema e teatri, congressi e fiere, portando a un generale malcontento e a proteste in tutta Italia. Il servizio di apertura al pubblico di musei e di altri luoghi della cultura era assicurato, ancora, contrastando però con la raccomandazione di stare a casa e non uscire se non per questioni indispensabili ed emergenziali. Il Dpcm del 3 novembre ha sancito definitivamente la chiusura dei musei, ultimo baluardo rimasto. Questa rinnovata chiusura totale peserà sul settore, e le conseguenze si sentiranno anche nel 2021.

Il 18 maggio scorso i musei e i luoghi della cultura si sono riaperti, e per farlo si è fatto un grande lavoro per permettere ai visitatori di sentirsi a proprio agio e parte integrante di una esperienza culturale. Nonostante siano stati forniti protocolli sanitari e linee guide, ogni realtà culturale ha identità e strutture diversificate, per cui, non essendoci un a letteratura specifica, tutto è stato lasciato all’iniziativa personale e alla sensibilità. Tutto, però, è stato attivato per garantire ai fruitori accessibilità, sicurezza e coinvolgimento.

Questo lavoro è stato fermato nuovamente, e adesso è necessario ripensare a come ripartire.

Secondo le parole di Dario Franceschini pronunciate in occasione della presentazione del Rapporto 2020 di Federculture, dopo questo triste periodo, arriverà un momento di crescita, e ci saranno nuove opportunità da cogliere. Anche secondo il grande storico dell’architettura Manfredo Tafuri il concetto di crisi – possiamo assolutamente dire che siamo in un momento di crisi – deve essere letto come momento di cambiamento, quindi accolto e affrontato perché può far crescere, quello che bisogna temere è la normalità. Non era necessaria una pandemia per far scuotere le istituzioni secolari della cultura, ma questo ci permette di riflettere su come poter cambiare. Alla prima battuta d’arresto abbiamo dovuto capire come resistere, e adesso dobbiamo trovare nuove soluzioni per andare avanti, attenzione però, l’obbiettivo non deve essere sopravvivere, ma vivere.

L’editoriale di Massimiliano Zane, uscito poco dopo l’annuncio del nuovo fermo del mondo della cultura, ci porta in questa riflessione. Non bastano più gli interventi “tampone”, bisogna guardare l’orizzonte, darsi una prospettiva e avere uno sguardo che vada oltre la crisi.

Prima di tutto evidenzia come sia necessario andare oltre il concetto di sussidio, e pensare a un “piano industriale per la cultura”. La cultura deve essere proposta come un asset economico e produttivo importante per il nostro Paese. A oggi però la cultura è ancora un concetto disomogeneo perché privo di una connotazione economica propria tale da permettergli di godere di un “piano” vero e specificamente definito all’interno del quadro nazionale, che preveda azioni e supporti idonei, come per qualunque altro settore produttivo. In secondo luogo si concentra sul settore cultura, che deve smettere di agire contro sé stesso. Da tempo questo settore vive un moto di emergenza nell’emergenza, ciò indica che forse qualcosa già prima della pandemia non funzionava. Un settore forse spesso troppo chiuso in sé stesso che ha finito con l’autoemarginarsi dall’immaginario comune e politico rendendosi “sacrificabile”. Zane vede in questa situazione di confusione e disorientamento aumentano, le cause del malumore e della sfiducia che si sono insinuate in tutti i luoghi della cultura e soprattutto tra coloro che con il proprio impegno, anche oggi, in una situazione ormai al limite, tutto sommato li hanno mantenuti ancora in vita.

Date queste premesse si può affrontare il futuro, ma per farlo serve uno sforzo e soprattutto serve una programmazione e una progettazione che guardi al dopo, alla ripresa, dove lo Stato deve accettare di vestire i panni dell’“imprenditore senza tentennamenti, perché non bastano più solo bonus o sussidi, sacrosanti ma pur sempre limitati, serve mettere in atto subito un vero Piano Industriale per il settore culturale nazionale.”

Alla fine conclude con una richiesta di disponibilità e responsabilità, rivolta al Ministro Franceschini e a tutte le diverse anime che compongono il mosaico che è la cultura italiana. Chiede anche di aprire un tavolo operativo, che abbia come obiettivo la definizione di un “Piano strategico” ad hoc per la nostra cultura, che diffonda una visione chiara del ruolo che vogliamo affidare alla nostra cultura e fornisca i mezzi per attuarla da qui e per i prossimi (difficili) anni, che individui e offra nuove linee guida al settore, nuove policy, nuovi bandi, nuove opportunità dettate dai tempi e dalle nuove necessità, oltre i protocolli (anche sanitari), e contribuisca a reinterpretare il settore al tempo della crisi.

Assieme all’autore speriamo che questo messaggio in cui si chiede di ridisegnare il sistema culturale, possa servire a dare a tutti noi la giusta determinazione e il coraggio per affrontare e superare queste ore buie.

Tiziana Mazzucato, Redazione Ecopolis