Covid galoppa perché l'assistenza domiciliare non esiste
Inviato: gio nov 12, 2020 12:14 pm
Covid galoppa perché l'assistenza domiciliare non esiste
di Ernesto Di Cianni
Le Unità speciali di continuità assistenziali sono nate con la prima emergenza del Coronavirus, ma non funzionando. Un medico ci spiega perché
10 Novembre 2020 Repubblica
DAVANTI AL PRONTO SOCCORSO dell'ospedale “Cotugno” di Napoli c'è una fila interminabile di automobili e ambulanze, in attesa che i pazienti, in sosta forzata nel piazzale, possano essere visitati. Gli infermieri dell'ospedale, con inventiva tutta partenopea, hanno organizzato l'ossigenoterapia “porta a porta” per i più gravi, portando bombole e tubicini nelle auto degli infermi.
E' il quadro emblematico dell'emergenza che sta vivendo la sanità in questi giorni. E pensare che almeno la metà di quei malati in fila al pronto soccorso potrebbe ricevere adeguate cure al proprio domicilio. E' previsto per legge, ma la legge, si sa, non sempre è uguale per tutti. Le USCA sono state istituite all'indomani della prima emergenza coronavirus. Unità Speciali di Continuità Assistenziali. Sono medici attrezzati con adeguati dispositivi di sicurezza e con auto dedicata, per garantirne l'incolumità personale. Hanno il compito di fare prelievi per tamponi, visitare e curare i pazienti Covid, in collaborazione col medico di famiglia. In molte parti d'Italia la cosa funzione bene, in poche benissimo, in molte altre in modo insufficiente o male. E, purtroppo, esistono ancora distretti dove non funzionano per nulla.
Ho chiesto pochi minuti fa ad un dirigente Asl: “Come possiamo metterci in contatto con i medici delle Usca? Come funziona il servizio?” Mi ha risposto: “Noi abbiamo il servizio, sono poche unità, ma non vanno a domicilio. Svolgono attività negli ambulatori.” E' assurdo. E' come dire: “La volante della polizia? Si, ne abbiamo una con i fiocchi, ma non può uscire dalla caserma”.
Perché esistono queste disparità? Le Asl non hanno avuto finanziamenti omogenei in tutta Italia?
E' fuori discussione che il servizio USCA debba essere potenziato. I vantaggi sarebbero enormi. Molti cittadini eviterebbero umilianti pellegrinaggi in pronto soccorsi inadeguati, con tutti i rischi connessi alla trasferta e all'inevitabile contatto con altre persone. Questi pazienti, con patologia di media e moderata entità, potrebbero avvalersi di tutte le terapie indicate dai protocolli anti-Covid, nelle fasi non critiche. Si parte dall'antibiotico di riferimento (l'azitromicina) agli antinfiammatori (sia i cosiddetti fans che gli steroidi), per arrivare all'eparina, nei casi in cui si temano complicazioni. L'uso dell'idrossiclorochina è ancora controverso, ma molti ricercatori ne confermano i vantaggi, se utilizzata in fase precoce e a dosaggio medio-basso.
La collaborazione tra medico USCA e medico di famiglia è fondamentale, per non disperdere il patrimonio di conoscenza della storia clinica e dell'individuo che è sempre il miglior punto di partenza per ogni percorso terapeutico. Laddove si incontrino difficoltà di comunicazione, bisogna fare il possibile per abbatterle, per non perdere una parte considerevole dell'efficacia dell'intervento.
Negli ospedali scarseggia il personale medico-infermieristico. Si pensa a trasferimenti, assunzioni, all'allungamento dei turni, quando basterebbe potenziare e far funzionare davvero un servizio creato per l'emergenza.
di Ernesto Di Cianni
Le Unità speciali di continuità assistenziali sono nate con la prima emergenza del Coronavirus, ma non funzionando. Un medico ci spiega perché
10 Novembre 2020 Repubblica
DAVANTI AL PRONTO SOCCORSO dell'ospedale “Cotugno” di Napoli c'è una fila interminabile di automobili e ambulanze, in attesa che i pazienti, in sosta forzata nel piazzale, possano essere visitati. Gli infermieri dell'ospedale, con inventiva tutta partenopea, hanno organizzato l'ossigenoterapia “porta a porta” per i più gravi, portando bombole e tubicini nelle auto degli infermi.
E' il quadro emblematico dell'emergenza che sta vivendo la sanità in questi giorni. E pensare che almeno la metà di quei malati in fila al pronto soccorso potrebbe ricevere adeguate cure al proprio domicilio. E' previsto per legge, ma la legge, si sa, non sempre è uguale per tutti. Le USCA sono state istituite all'indomani della prima emergenza coronavirus. Unità Speciali di Continuità Assistenziali. Sono medici attrezzati con adeguati dispositivi di sicurezza e con auto dedicata, per garantirne l'incolumità personale. Hanno il compito di fare prelievi per tamponi, visitare e curare i pazienti Covid, in collaborazione col medico di famiglia. In molte parti d'Italia la cosa funzione bene, in poche benissimo, in molte altre in modo insufficiente o male. E, purtroppo, esistono ancora distretti dove non funzionano per nulla.
Ho chiesto pochi minuti fa ad un dirigente Asl: “Come possiamo metterci in contatto con i medici delle Usca? Come funziona il servizio?” Mi ha risposto: “Noi abbiamo il servizio, sono poche unità, ma non vanno a domicilio. Svolgono attività negli ambulatori.” E' assurdo. E' come dire: “La volante della polizia? Si, ne abbiamo una con i fiocchi, ma non può uscire dalla caserma”.
Perché esistono queste disparità? Le Asl non hanno avuto finanziamenti omogenei in tutta Italia?
E' fuori discussione che il servizio USCA debba essere potenziato. I vantaggi sarebbero enormi. Molti cittadini eviterebbero umilianti pellegrinaggi in pronto soccorsi inadeguati, con tutti i rischi connessi alla trasferta e all'inevitabile contatto con altre persone. Questi pazienti, con patologia di media e moderata entità, potrebbero avvalersi di tutte le terapie indicate dai protocolli anti-Covid, nelle fasi non critiche. Si parte dall'antibiotico di riferimento (l'azitromicina) agli antinfiammatori (sia i cosiddetti fans che gli steroidi), per arrivare all'eparina, nei casi in cui si temano complicazioni. L'uso dell'idrossiclorochina è ancora controverso, ma molti ricercatori ne confermano i vantaggi, se utilizzata in fase precoce e a dosaggio medio-basso.
La collaborazione tra medico USCA e medico di famiglia è fondamentale, per non disperdere il patrimonio di conoscenza della storia clinica e dell'individuo che è sempre il miglior punto di partenza per ogni percorso terapeutico. Laddove si incontrino difficoltà di comunicazione, bisogna fare il possibile per abbatterle, per non perdere una parte considerevole dell'efficacia dell'intervento.
Negli ospedali scarseggia il personale medico-infermieristico. Si pensa a trasferimenti, assunzioni, all'allungamento dei turni, quando basterebbe potenziare e far funzionare davvero un servizio creato per l'emergenza.