Dopo il voto fanno festa quasi tutti, fa eccezione Salvini
Inviato: mer set 23, 2020 6:06 pm
Dopo il voto fanno festa quasi tutti, fa eccezione Salvini
Renzo Guolo 23 Settembre 2020 LA NUOVA VENEZIA
Il mancato sfondamento della destra salviniana segna le elezioni di fine estate. Dopo quella mancata in Emilia, nemmeno la spallata in Toscana è riuscita al Capitano fuori rotta.
Le roccaforti "rosse" restano un miraggio. La vittoria nelle Marche, così come quella in Umbria lo scorso anno, è rilevante ma non ha l'impatto che avrebbe avuto la caduta del governo regionale toscano: il Pd non poteva reggere una sconfitta in riva all'Arno, come ieri quella all'ombra delle Due Torri. Il nuovo presidente regionale marchigiano, poi, è in quota Fratelli d'Italia che, nonostante lo smacco pugliese, cresce a spese dell'alleato.
Salvini si arena anche sul fronte interno: non si radica a Sud e prende un sonoro ceffone a Nord, dove la vittoria bulgara di Zaia gli crea più problemi di quanto ammetta. Il consenso al presidente veneto, frutto della costruzione di un blocco sociale che fa della Lega locale la vera erede della Dc dorotea, oltre che di una gestione della sanità che ha contenuto la pandemia, non è compatibile con la linea salviniana. Più l'autonomista Zaia si rafforza, più il progetto nazionale Salvini si indebolisce. A poco vale il ritornello "la lista del governatore è composta da leghisti" : i due leader e le due linee sono destinati a cozzare. Il plebiscito zaiano è, anche, uno sbarramento alla svolta nazionale della Lega. Gli elettori hanno colto la contraddizione insita in un patto in stile prussiano-bavarese, che molti vivono come faustiano, tra una Lega salviniana centralista e una zaiana autonomista. Così hanno rovesciato i rapporti di forza. Se a Sud diffidano, a Nordest si cautelano.
Le urne confermano le difficoltà del M5S, ostinatamente impegnato nella corsa solitaria verso l'irrilevanza. Al di là del risultato referendario, annegato in una trasversale ostilità alla politica, il consenso evapora. Nemmeno la scontata vittoria del "Si" traina i pentastellati. Il MoVimento è al bivio: o fa chiarezza, e trasforma l'intesa con il Pd in alleanza organica anche a livello locale, oppure scompare. Le sue "evoluzioni" sono troppo lente e tardive.
Respira il Pd che vince, oltre che in Toscana in Puglia e Campania. Oltretutto senza il decisivo apporto della meteora renziana e dei riluttanti pentastellati. La destra cresce nel paese ma per Zingaretti la parte più agitata della "nuttata" sembra passata. Sarà meno arduo provare a far cedere i cinquestelle su Mes e decreti sicurezza. Anche perché si apre, potenzialmente, una fase di stabilità. Fanno da collante i finanziamenti europei, l'elezione per il prossimo inquilino del Colle, cui aspira Conte, la stessa "vittoria del tacchino" grillina: molti vincitori dell'ultima lotteria parlamentare non bramano per mettere a rischio la propria sin troppo benigna sorte in una competizione che ridimensiona la possibilità di rielezione. Si chiama eterogenesi dei fini e, ovviamente, a loro insaputa, i grillini l'hanno tenacemente perseguita.
Renzo Guolo 23 Settembre 2020 LA NUOVA VENEZIA
Il mancato sfondamento della destra salviniana segna le elezioni di fine estate. Dopo quella mancata in Emilia, nemmeno la spallata in Toscana è riuscita al Capitano fuori rotta.
Le roccaforti "rosse" restano un miraggio. La vittoria nelle Marche, così come quella in Umbria lo scorso anno, è rilevante ma non ha l'impatto che avrebbe avuto la caduta del governo regionale toscano: il Pd non poteva reggere una sconfitta in riva all'Arno, come ieri quella all'ombra delle Due Torri. Il nuovo presidente regionale marchigiano, poi, è in quota Fratelli d'Italia che, nonostante lo smacco pugliese, cresce a spese dell'alleato.
Salvini si arena anche sul fronte interno: non si radica a Sud e prende un sonoro ceffone a Nord, dove la vittoria bulgara di Zaia gli crea più problemi di quanto ammetta. Il consenso al presidente veneto, frutto della costruzione di un blocco sociale che fa della Lega locale la vera erede della Dc dorotea, oltre che di una gestione della sanità che ha contenuto la pandemia, non è compatibile con la linea salviniana. Più l'autonomista Zaia si rafforza, più il progetto nazionale Salvini si indebolisce. A poco vale il ritornello "la lista del governatore è composta da leghisti" : i due leader e le due linee sono destinati a cozzare. Il plebiscito zaiano è, anche, uno sbarramento alla svolta nazionale della Lega. Gli elettori hanno colto la contraddizione insita in un patto in stile prussiano-bavarese, che molti vivono come faustiano, tra una Lega salviniana centralista e una zaiana autonomista. Così hanno rovesciato i rapporti di forza. Se a Sud diffidano, a Nordest si cautelano.
Le urne confermano le difficoltà del M5S, ostinatamente impegnato nella corsa solitaria verso l'irrilevanza. Al di là del risultato referendario, annegato in una trasversale ostilità alla politica, il consenso evapora. Nemmeno la scontata vittoria del "Si" traina i pentastellati. Il MoVimento è al bivio: o fa chiarezza, e trasforma l'intesa con il Pd in alleanza organica anche a livello locale, oppure scompare. Le sue "evoluzioni" sono troppo lente e tardive.
Respira il Pd che vince, oltre che in Toscana in Puglia e Campania. Oltretutto senza il decisivo apporto della meteora renziana e dei riluttanti pentastellati. La destra cresce nel paese ma per Zingaretti la parte più agitata della "nuttata" sembra passata. Sarà meno arduo provare a far cedere i cinquestelle su Mes e decreti sicurezza. Anche perché si apre, potenzialmente, una fase di stabilità. Fanno da collante i finanziamenti europei, l'elezione per il prossimo inquilino del Colle, cui aspira Conte, la stessa "vittoria del tacchino" grillina: molti vincitori dell'ultima lotteria parlamentare non bramano per mettere a rischio la propria sin troppo benigna sorte in una competizione che ridimensiona la possibilità di rielezione. Si chiama eterogenesi dei fini e, ovviamente, a loro insaputa, i grillini l'hanno tenacemente perseguita.