In nome dei bambini.Sanità, basta con disparità regionali
Inviato: sab set 19, 2020 7:29 am
In nome dei bambini. Sanità, basta con le disparità regionali
Mario De Curtis venerdì 18 settembre 2020 Avvenire
La pandemia di Covid-19 ha riportato in primissimo piano il diritto alla salute Ogni bambino che nasce dovrebbe avere la possibilità di crescere in modo ottimale, di essere curato nel migliore dei modi quando si ammala e di essere adeguatamente educato al fine di sviluppare tutte le potenziali risorse intellettuali e conoscitive. Alcuni di questi diritti sono negati a molti bambini del nostro Paese e l’attuale pandemia da coronavirus ha senza dubbio aggravato la situazione.
La salute di un bambino dovrebbe essere tutelata ancora prima della nascita e le donne in gravidanza dovrebbero essere adeguatamente controllate per quanto riguarda gli apporti nutrizionali, la prevenzione e la cura delle infezioni e delle patologie che possono riguardare sia la madre che il feto. La nascita in sicurezza dipende anche dall’organizzazione delle cure perinatali, notoriamente carenti in alcune aree del nostro Paese e soprattutto nel Mezzogiorno.
L’esistenza di piccole maternità, spesso sprovviste di attrezzature e personale sanitario adeguatamente formato, rende la nascita in questi centri potenzialmente insicura sia per le madri che per i neonati. Come risulta dagli ultimi dati Istat 2020 (relativi al 2017), in Italia la mortalità infantile, che indica il numero di morti nel primo anno di vita rispetto a 1000 nati vivi, presenta valori tra i più bassi dei Paesi sviluppati, ma esistono profonde differenze regionali attribuibili oltre che a problematiche di natura economica e sociale anche all’organizzazione delle cure.
Un bambino che nasce al Sud ha un rischio nel primo anno di vita del 47% in più di morire rispetto a uno nato nel Nord-Est e se nel 2017 l’Italia avesse avuto la stessa mortalità del Nord Est sarebbero sopravvissuti nel primo anno di vita: 195 bambini in più nel Sud e Isole, 5 nel Centro e 36 nel Nord Ovest. Le regioni con i più elevati tassi di mortalità infantile sono la Calabria, la Sicilia e la Campania. Oltre all’area geografica un fattore che influenza la mortalità riguarda la nazionalità dei genitori.
Un bambino figlio di genitori di origine straniera, sempre secondo i dati Istat, ha un rischio del 66% in più di morire nel primo anno di vita rispetto ad un bambino nato da genitori italiani e se gli stranieri avessero avuto lo stesso tasso di mortalità infantile degli italiani, si sarebbero salvati 112 bambini. Il rischio è ancora più elevato (+108%) nei figli di genitori africani. Inique differenze nella fruizione del diritto alla salute riguardano tutti coloro che vivono in Italia in qualsiasi fascia d’età, ma presentano, però, risvolti di particolare responsabilità nella fase immediatamente successiva alla nascita perché questi primi momenti della vita non sono solo segnati da una particolare vulnerabilità, ma sono anche decisivi, in positivo o in negativo, per il futuro della persona.
Con la pandemia la situazione si è aggravata perché l’emergenza sanitaria da Covid-19 si è rapidamente trasformata in un’emergenza sociale. Sono aumentate le disuguaglianze: i benestanti hanno subìto un taglio della ricchezza, ma le persone più povere stanno affrontando un significativo taglio dei mezzi di sussistenza. Si è avuta la perdita del lavoro di milioni di persone e un aumento drammatico della povertà che notoriamente si associa anche nell’età infantile a un aumento delle malattie e a disturbi della crescita psicofisica. Il periodo del lockdown ha inoltre determinato un rinvio dei controlli sanitari nei bambini con malattie croniche e/o disabilità, aggravandone le condizioni. Ugualmente nel periodo dell’emergenza si è verificato una sospensione e un rinvio delle vaccinazioni obbligatorie che ha riguardato, secondo un’indagine su circa 1.500 genitori, condotta dalla Società italiana di pediatria, fino a un terzo di tutti i bambini. Dai dati pubblicati finora si è osservato che i bambini che contraggono l’infezione da SARS-CoV-2 presentano sintomi lievi o sono completamente asintomatici e raramente hanno necessità di cure intensive rispetto a quanto avviene nell’adulto. Va però ricordato che i soggetti portatori asintomatici possono diffondere il virus ed esporre gli anziani al rischio di infezione. Nelle ultime settimane con le vacanze estive e una maggiore libertà di movimento e di socializzazione si è registrato un aumento dei casi d’infezione in età pediatrica.
Al momento le tre fondamentali regole per la prevenzione dell’infezione nei bambini, come per gli adulti, sono: il frequente lavaggio delle mani, il distanziamento fisico e l’utilizzo della mascherina ove esso non sia possibile. Per questo con il prossimo inizio dell’anno scolastico si devono assicurare ampi spazi nelle classi ai fini di tutelare la salute degli studenti e del corpo docente. La pandemia potrebbe essere l’occasione per correggere alcune gravi carenze nell’organizzazione sanitaria e sociale preesistenti da decenni nel nostro Paese. È fondamentale promuovere la ricerca scientifica e medica che ci sta portando a maggiori guarigioni e verso l’auspicato vaccino. Dobbiamo comprendere che la ricerca non è una spesa ma un investimento, ma non deve essere avulsa dall’organizzazione sanitaria e sociale.
Proprio per la carenza di questi aspetti, negli Stati Uniti e nel Regno Unito, che rappresentano i Paesi in cui massimo è l’impegno per la ricerca medica, si sono avuti tra i più elevati tassi di mortalità per Covid-19. Pr quanto ci riguarda, non sono più tollerabili le differenze nell’assistenza sanitaria, anche pediatrica tra le varie Regioni italiane, che portano a una migrazione di migliaia di bambini dal Sud ai centri ospedalieri del Centro-Nord. È fondamentale garantire per tutti i bambini il diritto alla salute e predisporre un sistema uniforme e integrato di servizi di assistenza neuropsichiatrica infantile e adolescenziale. La differente mortalità neonatale e infantile tra le varie aree del nostro Paese è un aspetto prioritario che va rapidamente inquadrato e corretto anche perché la qualità dell’assistenza sanitaria non può dipendere dalla Regione in cui una persona ha la fortuna o sfortuna di nascere o di vivere. Auspicabile sarebbe inoltre l’introduzione nella scuola dell’educazione sanitaria per contribuire a diffondere una appropriata conoscenza e a promuovere tra i bambini e ragazzi corretti stili di vita per la prevenzione di molte malattie dell’età adulta.
Ordinario di Pediatria, Università di Roma La Sapienza
Direttore dell’Unità di Neonatologia e Terapia intensiva neonatale, Policlinico Umberto I
Mario De Curtis venerdì 18 settembre 2020 Avvenire
La pandemia di Covid-19 ha riportato in primissimo piano il diritto alla salute Ogni bambino che nasce dovrebbe avere la possibilità di crescere in modo ottimale, di essere curato nel migliore dei modi quando si ammala e di essere adeguatamente educato al fine di sviluppare tutte le potenziali risorse intellettuali e conoscitive. Alcuni di questi diritti sono negati a molti bambini del nostro Paese e l’attuale pandemia da coronavirus ha senza dubbio aggravato la situazione.
La salute di un bambino dovrebbe essere tutelata ancora prima della nascita e le donne in gravidanza dovrebbero essere adeguatamente controllate per quanto riguarda gli apporti nutrizionali, la prevenzione e la cura delle infezioni e delle patologie che possono riguardare sia la madre che il feto. La nascita in sicurezza dipende anche dall’organizzazione delle cure perinatali, notoriamente carenti in alcune aree del nostro Paese e soprattutto nel Mezzogiorno.
L’esistenza di piccole maternità, spesso sprovviste di attrezzature e personale sanitario adeguatamente formato, rende la nascita in questi centri potenzialmente insicura sia per le madri che per i neonati. Come risulta dagli ultimi dati Istat 2020 (relativi al 2017), in Italia la mortalità infantile, che indica il numero di morti nel primo anno di vita rispetto a 1000 nati vivi, presenta valori tra i più bassi dei Paesi sviluppati, ma esistono profonde differenze regionali attribuibili oltre che a problematiche di natura economica e sociale anche all’organizzazione delle cure.
Un bambino che nasce al Sud ha un rischio nel primo anno di vita del 47% in più di morire rispetto a uno nato nel Nord-Est e se nel 2017 l’Italia avesse avuto la stessa mortalità del Nord Est sarebbero sopravvissuti nel primo anno di vita: 195 bambini in più nel Sud e Isole, 5 nel Centro e 36 nel Nord Ovest. Le regioni con i più elevati tassi di mortalità infantile sono la Calabria, la Sicilia e la Campania. Oltre all’area geografica un fattore che influenza la mortalità riguarda la nazionalità dei genitori.
Un bambino figlio di genitori di origine straniera, sempre secondo i dati Istat, ha un rischio del 66% in più di morire nel primo anno di vita rispetto ad un bambino nato da genitori italiani e se gli stranieri avessero avuto lo stesso tasso di mortalità infantile degli italiani, si sarebbero salvati 112 bambini. Il rischio è ancora più elevato (+108%) nei figli di genitori africani. Inique differenze nella fruizione del diritto alla salute riguardano tutti coloro che vivono in Italia in qualsiasi fascia d’età, ma presentano, però, risvolti di particolare responsabilità nella fase immediatamente successiva alla nascita perché questi primi momenti della vita non sono solo segnati da una particolare vulnerabilità, ma sono anche decisivi, in positivo o in negativo, per il futuro della persona.
Con la pandemia la situazione si è aggravata perché l’emergenza sanitaria da Covid-19 si è rapidamente trasformata in un’emergenza sociale. Sono aumentate le disuguaglianze: i benestanti hanno subìto un taglio della ricchezza, ma le persone più povere stanno affrontando un significativo taglio dei mezzi di sussistenza. Si è avuta la perdita del lavoro di milioni di persone e un aumento drammatico della povertà che notoriamente si associa anche nell’età infantile a un aumento delle malattie e a disturbi della crescita psicofisica. Il periodo del lockdown ha inoltre determinato un rinvio dei controlli sanitari nei bambini con malattie croniche e/o disabilità, aggravandone le condizioni. Ugualmente nel periodo dell’emergenza si è verificato una sospensione e un rinvio delle vaccinazioni obbligatorie che ha riguardato, secondo un’indagine su circa 1.500 genitori, condotta dalla Società italiana di pediatria, fino a un terzo di tutti i bambini. Dai dati pubblicati finora si è osservato che i bambini che contraggono l’infezione da SARS-CoV-2 presentano sintomi lievi o sono completamente asintomatici e raramente hanno necessità di cure intensive rispetto a quanto avviene nell’adulto. Va però ricordato che i soggetti portatori asintomatici possono diffondere il virus ed esporre gli anziani al rischio di infezione. Nelle ultime settimane con le vacanze estive e una maggiore libertà di movimento e di socializzazione si è registrato un aumento dei casi d’infezione in età pediatrica.
Al momento le tre fondamentali regole per la prevenzione dell’infezione nei bambini, come per gli adulti, sono: il frequente lavaggio delle mani, il distanziamento fisico e l’utilizzo della mascherina ove esso non sia possibile. Per questo con il prossimo inizio dell’anno scolastico si devono assicurare ampi spazi nelle classi ai fini di tutelare la salute degli studenti e del corpo docente. La pandemia potrebbe essere l’occasione per correggere alcune gravi carenze nell’organizzazione sanitaria e sociale preesistenti da decenni nel nostro Paese. È fondamentale promuovere la ricerca scientifica e medica che ci sta portando a maggiori guarigioni e verso l’auspicato vaccino. Dobbiamo comprendere che la ricerca non è una spesa ma un investimento, ma non deve essere avulsa dall’organizzazione sanitaria e sociale.
Proprio per la carenza di questi aspetti, negli Stati Uniti e nel Regno Unito, che rappresentano i Paesi in cui massimo è l’impegno per la ricerca medica, si sono avuti tra i più elevati tassi di mortalità per Covid-19. Pr quanto ci riguarda, non sono più tollerabili le differenze nell’assistenza sanitaria, anche pediatrica tra le varie Regioni italiane, che portano a una migrazione di migliaia di bambini dal Sud ai centri ospedalieri del Centro-Nord. È fondamentale garantire per tutti i bambini il diritto alla salute e predisporre un sistema uniforme e integrato di servizi di assistenza neuropsichiatrica infantile e adolescenziale. La differente mortalità neonatale e infantile tra le varie aree del nostro Paese è un aspetto prioritario che va rapidamente inquadrato e corretto anche perché la qualità dell’assistenza sanitaria non può dipendere dalla Regione in cui una persona ha la fortuna o sfortuna di nascere o di vivere. Auspicabile sarebbe inoltre l’introduzione nella scuola dell’educazione sanitaria per contribuire a diffondere una appropriata conoscenza e a promuovere tra i bambini e ragazzi corretti stili di vita per la prevenzione di molte malattie dell’età adulta.
Ordinario di Pediatria, Università di Roma La Sapienza
Direttore dell’Unità di Neonatologia e Terapia intensiva neonatale, Policlinico Umberto I