Famiglia numerosa e realtà il bilancio demografico in Italia
Inviato: gio lug 16, 2020 11:09 am
Famiglia numerosa e realtà: il bilancio demografico in Italia
di Antonio Massariolo Università di Padova
A fine 2019 la popolazione residente in Italia era calata di 189 mila unità rispetto ad inizio 2019. Nessuna colpa alla pandemia, di cui al tempo nessuno si immaginava la portata, ma di un costante cambiamento strutturale del contesto demografico italiano. Il persistente declino infatti, ha portato ad avere quasi 551 mila residenti in meno in cinque anni. A parlare di numeri spesso si fa fatica ad immaginarseli poi nel concreto, ma questa cifra significa che in cinque anni è come se fosse sparita una città della grandezza di Genova.
Rispetto all’anno precedente inoltre, si è registrato un nuovo minimo storico di nascite dall’unità d’Italia. A questo bisogna aggiungere che il numero di cittadini stranieri che arrivano nel nostro Paese è in calo (-8,6%), e che l’emigrazione di cittadini italiani aumenta dell’8,1%.
Cittadini italiani residenti
Cerchiamo però di capire dove avviene il calo maggiore e come si potrebbe intervenire in merito. Se analizziamo i dati rilasciati dall’Istat, vediamo come il calo della popolazione residente sia dovuto principalmente ai cittadini italiani. Al 31 dicembre 2019 infatti, erano 54 milioni e 938 mila unità.
È come se in cinque anni fosse sparita una città della grandezza di Genova.
Cittadini stranieri residenti
Prendendo in considerazione lo stesso periodo ed analizzando i cittadini stranieri residenti in Italia, possiamo notare che al 31 dicembre 2019 erano 5.306.548. Questo significa che i cittadini stranieri iscritti all’anagrafe in Italia rappresentano l’8,8% del totale. Gli stranieri quindi contribuiscono non poco all’attenuazione della flessione della popolazione in atto, ma anche questo dato come abbiamo visto sta andando via via affievolendosi. Rispetto ad inizio 2019 infatti l’aumento è stato solo di 47mila unità, che rappresentano lo 0,9% in più.
Il cambiamento strutturale del contesto demografico italiano
Come abbiamo precedentemente detto però, l’andamento decrescente per quanto riguarda la popolazione italiana non è una novità degli ultimi anni, ma è un fenomeno che si può ricondurre ad un vero e proprio cambiamento strutturale del contesto demografico italiano. Su questo punto l’Istat si sofferma con un intero capitolo del suo Rapporto annuale 2020.
Secondo l’istituto, “al lordo degli effetti dell’attuale pandemia da COVID-19, rispetto agli oltre 60 milioni di residenti odierni si prevede che, sulla base dello scenario mediano delle ultime previsioni demografiche effettuate dall’Istat, la popolazione possa scendere a 59,3 milioni entro il 2040 e a 53,8 milioni entro il 2065”.
L’andamento decrescente per quanto riguarda la popolazione italiana non è una novità degli ultimi anni
Il motivo principale di ciò è da ricercare nel fatto che, come abbiamo già avuto modo di approfondire, già da diversi anni il numero complessivo delle nascite non è in grado di compensare quello dei decessi. L’Italia è un paese a bassa fecondità. Il numero medio di figli per donna per generazione, infatti, continua inesorabilmente a decrescere. L’analisi asettica dei dati ci dice che nel periodo del dopoguerra il numero medio di figli era 2,5 che, nell’immediato dopoguerra, quindi tra il 1945 ed il 1949, è calato a 2. Oggi (nel 2018) il numero medio di figli per donna in Italia, o “il tasso di fecondità” parlando in termini statistici, è di 1,29.
La provincia in cui si fanno più figli è quella di Bolzano con 1,72, mentre nelle provincie di Cagliari ed Oristano si fanno meno figli: 0,96 per donna.
Sono molti gli indicatori che si spostano in avanti quando parliamo di età: dall’aspettativa di vita, che per le persone che nasceranno nel 2065 si stima possa essere superiore agli 86 anni per gli uomini e ai 90 anni per le donne, fino all’età in cui si diventa genitori per la prima volta. L’analisi delle età medie in cui si ha il primo figlio riporta come dal 199 in poi sia in costante e continua crescita, sia per le donne che per gli uomini. Storicamente però l’andamento di questo indicatore è con una curva quasi a U. “L’età media al parto - dice l’Istat - si è spostata dall’età di quasi 29 anni tra le donne nate nei primi anni ‘30 ai 27 anni tra le generazioni formatesi nel secondo dopoguerra per riprendere poi a crescere, fino a 31,5 anni, secondo quanto stimato per la generazioni più recenti”.
Nel 2065 l'aspettativa di vita sarà superiore agli 86 anni per gli uomini e ai 90 anni per le donne
Analizzando nello specifico il nostro Paese scopriamo che ci sono delle evidenti differenze all’interno dei vari contesti territoriali. Per semplificare potremmo dire che al sud e soprattutto in Sicilia si fanno figli più giovani, mentre al nord Italia l’età delle madri al parto è più elevata. L’età mediana al primo figlio per le donne nate nel 1978, infatti, è pari a 29 anni se consideriamo l’intera Italia, sfiora i 30 anni nel Centro-Nord mentre nel Mezzogiorno è inferiore a 28 anni.
La provincia di Siracusa, in particolare, è quella in cui l’età media è la più bassa del Paese, con 30,7 anni, ben inferiore della media più alta che si trova, con 32,7, nella provincia di Potenza.
Un andamento questo, che è stato riscontrato anche negli uomini. Nel 1999 infatti l’età meda dell’uomo alla nascita del primo figlio era di 34,16 anni. In vent’anni l’età media è aumentata di quasi un anno e mezzo, considerano che nel 2018 l’età media del padre alla nascita del figlio era di 35,49 anni.
I figli desiderati
Ma se il tasso di fecondità cala, significa che si vogliono fare meno figli? Anche su questo aspetto l’Istat si sofferma lungamente, in quanto può essere utile analizzare i dati anche per capire la realtà socio economica presente nel nostro Paese. Secondo l’analisi dell’istituto “il numero effettivo di figli che le persone riescono ad avere non rende ragione al diffuso desiderio di maternità e paternità presente nel nostro Paese. Sono solo 500 mila gli individui tra i 18 e i 49 anni che affermano che fare figli non rientra nel proprio progetto di vita: una componente tutto sommato marginale e che include, nella metà dei casi, persone che hanno superato i 40 anni e che prendono atto delle difficoltà di avere figli in età avanzata”.
I dati sui figli desiderati quindi, disegnerebbero tutta un’altra Italia da questo punto di vista. “A fronte di una fecondità reale in costante calo dal 2010 e che ci riporta agli stessi livelli di 15 anni fa, il numero di figli desiderato resta sempre fermo a due, evidenziando un significativo scarto tra quanto si desidera e quanto si riesce a realiizzare”.
Il 46% degli italiani infatti desidererebbe avere due figli, ed un altro importante 25,4% dice di non sapere il numero. Il figlio unico sarebbe voluto solamente dal 5,6% della popolazione tra i 18 e 46 anni. Un dato interessante inoltre, è quello che fa capire come questo desiderio sia omogeneo a livello terriotriale, senza quindi le note differenze nord/sud Italia.
C’è un’ulteriore analisi poi da fare rispetto questa volontà di avere figli. Tenendo da parte per un attimo gli indecisi e prendendo in considerazione solamente chi ha indicato il numero di figli che vorrebbe avere, si nota, grazie al lavoro dell’Istat, che oramai questo è un dato strutturato. Le percentuali inserite nel grafico sottostante infatti, sono pressoché invariate dal 2003. Il modello ideale quindi, per gli italiani rimane quello della famiglia con due figli.
Natalità in Italia ed in Europa
La situazione italiana quindi l’abbiamo capita. I dati ci parlano di un invecchiamento della popolazione con più morti che nati e con un’immigrazione che, per quanto abbia numeri positivi, riesce ad arginare solamente in parte il declino demografico del Paese sul piano numerico.
Ma se l’Italia se la passa così, i nostri vicini come stanno? L’età media delle madri al parto nell’Unione Europea è di 30,8 anni, con il picco d’età che riguarda l’Irlanda e la Spagna, entrambi con 32,2 anni. Le età più basse invece, si riscontrano in Bulgaria ed in Romania, rispettivamente con 27,7 e 28 anni.
Analizzando i dati europei si denota che il calo delle nascite è un fattore comune agli Stati più grandi (quelli con più di 400mila nati all’anno). Tendenza che si inverte solamente in Germania, che di fatto è stata in grado, dopo un netto calo tra il 2000 ed il 2013, di ritornare negli ultimi anni a circa 790mila nuovi nati all’anno.
Abbiamo capito quindi che il calo demografico europeo è evidente e quello italiano segue lo stesso ordine. L’Italia inoltre è segnata da una spaccatura tra il desiderato, cioè in modo maggiore una famiglia con due figli, e la realtà che ci mostra come una nazione sempre più vecchia, con un’aspettativa di vita si lunga ma indubbiamente diversa rispetto al passato. Quest’analisi inoltre, considera i dati fino a fine 2019, cioè senza considerare la pandemia di Covid-19. Sappiamo che nel primo quadrimestre del 2020 c’è stato un evidente eccesso di mortalità, e l’esperienza del lockdown indubbiamente ha cambiato le abitudini degli italiani, e non solo. Un’analisi quindi, questa dell’Istat, che si può considerare al lordo degli effetti della pandemia, ma che comunque ci apre gli occhi su un andamento che sembra imperterrito ormai da anni.
di Antonio Massariolo Università di Padova
A fine 2019 la popolazione residente in Italia era calata di 189 mila unità rispetto ad inizio 2019. Nessuna colpa alla pandemia, di cui al tempo nessuno si immaginava la portata, ma di un costante cambiamento strutturale del contesto demografico italiano. Il persistente declino infatti, ha portato ad avere quasi 551 mila residenti in meno in cinque anni. A parlare di numeri spesso si fa fatica ad immaginarseli poi nel concreto, ma questa cifra significa che in cinque anni è come se fosse sparita una città della grandezza di Genova.
Rispetto all’anno precedente inoltre, si è registrato un nuovo minimo storico di nascite dall’unità d’Italia. A questo bisogna aggiungere che il numero di cittadini stranieri che arrivano nel nostro Paese è in calo (-8,6%), e che l’emigrazione di cittadini italiani aumenta dell’8,1%.
Cittadini italiani residenti
Cerchiamo però di capire dove avviene il calo maggiore e come si potrebbe intervenire in merito. Se analizziamo i dati rilasciati dall’Istat, vediamo come il calo della popolazione residente sia dovuto principalmente ai cittadini italiani. Al 31 dicembre 2019 infatti, erano 54 milioni e 938 mila unità.
È come se in cinque anni fosse sparita una città della grandezza di Genova.
Cittadini stranieri residenti
Prendendo in considerazione lo stesso periodo ed analizzando i cittadini stranieri residenti in Italia, possiamo notare che al 31 dicembre 2019 erano 5.306.548. Questo significa che i cittadini stranieri iscritti all’anagrafe in Italia rappresentano l’8,8% del totale. Gli stranieri quindi contribuiscono non poco all’attenuazione della flessione della popolazione in atto, ma anche questo dato come abbiamo visto sta andando via via affievolendosi. Rispetto ad inizio 2019 infatti l’aumento è stato solo di 47mila unità, che rappresentano lo 0,9% in più.
Il cambiamento strutturale del contesto demografico italiano
Come abbiamo precedentemente detto però, l’andamento decrescente per quanto riguarda la popolazione italiana non è una novità degli ultimi anni, ma è un fenomeno che si può ricondurre ad un vero e proprio cambiamento strutturale del contesto demografico italiano. Su questo punto l’Istat si sofferma con un intero capitolo del suo Rapporto annuale 2020.
Secondo l’istituto, “al lordo degli effetti dell’attuale pandemia da COVID-19, rispetto agli oltre 60 milioni di residenti odierni si prevede che, sulla base dello scenario mediano delle ultime previsioni demografiche effettuate dall’Istat, la popolazione possa scendere a 59,3 milioni entro il 2040 e a 53,8 milioni entro il 2065”.
L’andamento decrescente per quanto riguarda la popolazione italiana non è una novità degli ultimi anni
Il motivo principale di ciò è da ricercare nel fatto che, come abbiamo già avuto modo di approfondire, già da diversi anni il numero complessivo delle nascite non è in grado di compensare quello dei decessi. L’Italia è un paese a bassa fecondità. Il numero medio di figli per donna per generazione, infatti, continua inesorabilmente a decrescere. L’analisi asettica dei dati ci dice che nel periodo del dopoguerra il numero medio di figli era 2,5 che, nell’immediato dopoguerra, quindi tra il 1945 ed il 1949, è calato a 2. Oggi (nel 2018) il numero medio di figli per donna in Italia, o “il tasso di fecondità” parlando in termini statistici, è di 1,29.
La provincia in cui si fanno più figli è quella di Bolzano con 1,72, mentre nelle provincie di Cagliari ed Oristano si fanno meno figli: 0,96 per donna.
Sono molti gli indicatori che si spostano in avanti quando parliamo di età: dall’aspettativa di vita, che per le persone che nasceranno nel 2065 si stima possa essere superiore agli 86 anni per gli uomini e ai 90 anni per le donne, fino all’età in cui si diventa genitori per la prima volta. L’analisi delle età medie in cui si ha il primo figlio riporta come dal 199 in poi sia in costante e continua crescita, sia per le donne che per gli uomini. Storicamente però l’andamento di questo indicatore è con una curva quasi a U. “L’età media al parto - dice l’Istat - si è spostata dall’età di quasi 29 anni tra le donne nate nei primi anni ‘30 ai 27 anni tra le generazioni formatesi nel secondo dopoguerra per riprendere poi a crescere, fino a 31,5 anni, secondo quanto stimato per la generazioni più recenti”.
Nel 2065 l'aspettativa di vita sarà superiore agli 86 anni per gli uomini e ai 90 anni per le donne
Analizzando nello specifico il nostro Paese scopriamo che ci sono delle evidenti differenze all’interno dei vari contesti territoriali. Per semplificare potremmo dire che al sud e soprattutto in Sicilia si fanno figli più giovani, mentre al nord Italia l’età delle madri al parto è più elevata. L’età mediana al primo figlio per le donne nate nel 1978, infatti, è pari a 29 anni se consideriamo l’intera Italia, sfiora i 30 anni nel Centro-Nord mentre nel Mezzogiorno è inferiore a 28 anni.
La provincia di Siracusa, in particolare, è quella in cui l’età media è la più bassa del Paese, con 30,7 anni, ben inferiore della media più alta che si trova, con 32,7, nella provincia di Potenza.
Un andamento questo, che è stato riscontrato anche negli uomini. Nel 1999 infatti l’età meda dell’uomo alla nascita del primo figlio era di 34,16 anni. In vent’anni l’età media è aumentata di quasi un anno e mezzo, considerano che nel 2018 l’età media del padre alla nascita del figlio era di 35,49 anni.
I figli desiderati
Ma se il tasso di fecondità cala, significa che si vogliono fare meno figli? Anche su questo aspetto l’Istat si sofferma lungamente, in quanto può essere utile analizzare i dati anche per capire la realtà socio economica presente nel nostro Paese. Secondo l’analisi dell’istituto “il numero effettivo di figli che le persone riescono ad avere non rende ragione al diffuso desiderio di maternità e paternità presente nel nostro Paese. Sono solo 500 mila gli individui tra i 18 e i 49 anni che affermano che fare figli non rientra nel proprio progetto di vita: una componente tutto sommato marginale e che include, nella metà dei casi, persone che hanno superato i 40 anni e che prendono atto delle difficoltà di avere figli in età avanzata”.
I dati sui figli desiderati quindi, disegnerebbero tutta un’altra Italia da questo punto di vista. “A fronte di una fecondità reale in costante calo dal 2010 e che ci riporta agli stessi livelli di 15 anni fa, il numero di figli desiderato resta sempre fermo a due, evidenziando un significativo scarto tra quanto si desidera e quanto si riesce a realiizzare”.
Il 46% degli italiani infatti desidererebbe avere due figli, ed un altro importante 25,4% dice di non sapere il numero. Il figlio unico sarebbe voluto solamente dal 5,6% della popolazione tra i 18 e 46 anni. Un dato interessante inoltre, è quello che fa capire come questo desiderio sia omogeneo a livello terriotriale, senza quindi le note differenze nord/sud Italia.
C’è un’ulteriore analisi poi da fare rispetto questa volontà di avere figli. Tenendo da parte per un attimo gli indecisi e prendendo in considerazione solamente chi ha indicato il numero di figli che vorrebbe avere, si nota, grazie al lavoro dell’Istat, che oramai questo è un dato strutturato. Le percentuali inserite nel grafico sottostante infatti, sono pressoché invariate dal 2003. Il modello ideale quindi, per gli italiani rimane quello della famiglia con due figli.
Natalità in Italia ed in Europa
La situazione italiana quindi l’abbiamo capita. I dati ci parlano di un invecchiamento della popolazione con più morti che nati e con un’immigrazione che, per quanto abbia numeri positivi, riesce ad arginare solamente in parte il declino demografico del Paese sul piano numerico.
Ma se l’Italia se la passa così, i nostri vicini come stanno? L’età media delle madri al parto nell’Unione Europea è di 30,8 anni, con il picco d’età che riguarda l’Irlanda e la Spagna, entrambi con 32,2 anni. Le età più basse invece, si riscontrano in Bulgaria ed in Romania, rispettivamente con 27,7 e 28 anni.
Analizzando i dati europei si denota che il calo delle nascite è un fattore comune agli Stati più grandi (quelli con più di 400mila nati all’anno). Tendenza che si inverte solamente in Germania, che di fatto è stata in grado, dopo un netto calo tra il 2000 ed il 2013, di ritornare negli ultimi anni a circa 790mila nuovi nati all’anno.
Abbiamo capito quindi che il calo demografico europeo è evidente e quello italiano segue lo stesso ordine. L’Italia inoltre è segnata da una spaccatura tra il desiderato, cioè in modo maggiore una famiglia con due figli, e la realtà che ci mostra come una nazione sempre più vecchia, con un’aspettativa di vita si lunga ma indubbiamente diversa rispetto al passato. Quest’analisi inoltre, considera i dati fino a fine 2019, cioè senza considerare la pandemia di Covid-19. Sappiamo che nel primo quadrimestre del 2020 c’è stato un evidente eccesso di mortalità, e l’esperienza del lockdown indubbiamente ha cambiato le abitudini degli italiani, e non solo. Un’analisi quindi, questa dell’Istat, che si può considerare al lordo degli effetti della pandemia, ma che comunque ci apre gli occhi su un andamento che sembra imperterrito ormai da anni.