Il demografo Rosina:questo è il momento in cui l'Italia...
Inviato: ven lug 03, 2020 2:24 pm
Il demografo Rosina: "Ma questo è il momento in cui l'Italia può darsi una scossa"
"Siamo usciti da una brutta tempesta e non basta tappare le falle. Il paese ora deve decidere quale futuro vuole per sé. Il primo ingranaggio da sbloccare è quello dei giovani e del lavoro. Dopo, i figli arriveranno"
di ELENA DUSI
03 luglio 2020 Repubblica
Se la natalità è l’indice più sensibile della fiducia di una nazione nel futuro, come sostiene Alessandro Rosina, l’Italia sembrerebbe un paese senza speranze. Ma al demografo della facoltà di Economia alla Cattolica di Milano non sfuggono nemmeno le opportunità che questa crisi offre. A dispetto delle falle che fanno entrare acqua da tutte le parti, “ci sono le condizioni per una scossa, un ripensamento complessivo dei meccanismi che muovono questo paese”.
Il Covid colpisce soprattutto gli anziani. Crollano le nascite. L’Italia sta diventando un paese senza né capo né coda?
“La letalità per il Covid non è così alta da frenare il fenomeno dell’invecchiamento. Continuano a crescere gli anziani, e lo fanno soprattutto nella fascia over 80. Quando mantengono autonomia e vitalità, rappresentano una componente importante per la società. Non è un caso che si parli di “silver economy”. I loro bisogni culturali, di turismo e di salute da un lato e la loro disponibilità economica – anche se non estesa a tutti – li rendono protagonisti di quel paese rinnovato che potrebbe diventare l’Italia”.
In che senso l’epidemia può rappresentare un’opportunità? Intorno a noi vediamo solo dati negativi.
“Siamo in un momento di svolta. O l’Italia si dà una scossa adesso, o non so quando lo farà. Abbiamo una nave uscita malconcia da una brutta tempesta. Riparare le falle non basta. Bisogna ripensare la sua struttura nel complesso. Un’altra similitudine può essere quella di un vestito ormai logoro. E’ inutile che mettiamo toppe ovunque. Quell’abito non ci starà più bene anche perché nel frattempo il nostro corpo è cambiato. Dobbiamo pensare a come cucirci un abito nuovo e migliore. E questo è il momento di farlo. Ora si decide che ruolo avrà l’Italia nel ventunesimo secolo”.
Per i giovani è finalmente arrivato il momento di prendersi la scena?
“Ma hanno bisogno di più aiuto e di investimenti. Finché abbiamo la dispersione scolastica più alta e il tasso di laureati più basso d’Europa non siamo nelle condizioni ideali per lanciarli su un mercato del lavoro che era già complicato prima del Covid. L’Italia ha bisogno di valorizzare l’educazione dei suoi ragazzi e di dotarsi di una politica attiva del lavoro che aiuti chi esce dalla scuola e dall’università a incontrare le richieste del mondo produttivo. Abbiamo lasciato molto scadere i servizi che aiutano la transizione fra scuola e lavoro. Invece è uno snodo cruciale. Se facciamo bloccare questo ingranaggio, rischiamo grosso”.
Perché?
“Perché abbiamo una popolazione che continua a invecchiare, un debito pubblico altissimo, le nascite in calo e le fasce più anziane che per paura della malattia hanno ridotto il loro ruolo attivo. Rischiamo di ritrovarci con troppi ingranaggi bloccati. Quello su cui investire subito è quello dei giovani. E’ il più importante, va riattivato con urgenza. Anche se tutto intorno a noi fa pensare al disastro, ora può essere il momento giusto per rimettere in moto le varie componenti della società in maniera coordinata. E’ un processo di lunga durata e spetta al governo farlo, anche se non pagherà per la prossima scadenza elettorale. Ma sarà decisivo per sapere se l’Italia avrà un ruolo di alto livello per esempio nella green economy, nella silver economy, nel made in Italy o nella manifattura”.
Senza figli, non resteremmo un paese con i piedi di argilla?
“In Italia i tassi di povertà più alti si registrano fra gli under 35. Sui giovani pesano le difficoltà del lavoro, l’incertezza del futuro e gli ostacoli nel conciliare impiego e famiglia. E’ difficile, in queste condizioni, pensare di mettere su famiglia. Ecco allora che i ragazzi tendono a restare nella condizione di figli molto a lungo, rimandano le loro scelte importanti e alla fine sono spesso costretti a fare rinunce. Oggi, per uscire dall’angolo, occorre un rimbalzo che parta proprio dai giovani, sia tramite un aiuto alla formazione e all’ingresso nel mondo del lavoro, sia tramite i servizi per l’infanzia. Questo consentirebbe tra l’altro a molte donne di entrare nel mondo del lavoro”.
Dopo molte tragedie nella storia si è registrato un baby boom. Se lo aspetta stavolta?
“Dipende dai giovani e dalla loro voglia di scommettere sul futuro. Anche dopo la guerra, la ripresa delle nascite non avvenne immediatamente. Fu necessario prima vedere un certo miglioramento delle condizioni economiche e un’offerta di welfare. Poi sì, nel momento in cui l’idea del futuro ha iniziato a profilarsi all’orizzonte, allora anche i giovani hanno finalmente scelto di avere più figli”.
"Siamo usciti da una brutta tempesta e non basta tappare le falle. Il paese ora deve decidere quale futuro vuole per sé. Il primo ingranaggio da sbloccare è quello dei giovani e del lavoro. Dopo, i figli arriveranno"
di ELENA DUSI
03 luglio 2020 Repubblica
Se la natalità è l’indice più sensibile della fiducia di una nazione nel futuro, come sostiene Alessandro Rosina, l’Italia sembrerebbe un paese senza speranze. Ma al demografo della facoltà di Economia alla Cattolica di Milano non sfuggono nemmeno le opportunità che questa crisi offre. A dispetto delle falle che fanno entrare acqua da tutte le parti, “ci sono le condizioni per una scossa, un ripensamento complessivo dei meccanismi che muovono questo paese”.
Il Covid colpisce soprattutto gli anziani. Crollano le nascite. L’Italia sta diventando un paese senza né capo né coda?
“La letalità per il Covid non è così alta da frenare il fenomeno dell’invecchiamento. Continuano a crescere gli anziani, e lo fanno soprattutto nella fascia over 80. Quando mantengono autonomia e vitalità, rappresentano una componente importante per la società. Non è un caso che si parli di “silver economy”. I loro bisogni culturali, di turismo e di salute da un lato e la loro disponibilità economica – anche se non estesa a tutti – li rendono protagonisti di quel paese rinnovato che potrebbe diventare l’Italia”.
In che senso l’epidemia può rappresentare un’opportunità? Intorno a noi vediamo solo dati negativi.
“Siamo in un momento di svolta. O l’Italia si dà una scossa adesso, o non so quando lo farà. Abbiamo una nave uscita malconcia da una brutta tempesta. Riparare le falle non basta. Bisogna ripensare la sua struttura nel complesso. Un’altra similitudine può essere quella di un vestito ormai logoro. E’ inutile che mettiamo toppe ovunque. Quell’abito non ci starà più bene anche perché nel frattempo il nostro corpo è cambiato. Dobbiamo pensare a come cucirci un abito nuovo e migliore. E questo è il momento di farlo. Ora si decide che ruolo avrà l’Italia nel ventunesimo secolo”.
Per i giovani è finalmente arrivato il momento di prendersi la scena?
“Ma hanno bisogno di più aiuto e di investimenti. Finché abbiamo la dispersione scolastica più alta e il tasso di laureati più basso d’Europa non siamo nelle condizioni ideali per lanciarli su un mercato del lavoro che era già complicato prima del Covid. L’Italia ha bisogno di valorizzare l’educazione dei suoi ragazzi e di dotarsi di una politica attiva del lavoro che aiuti chi esce dalla scuola e dall’università a incontrare le richieste del mondo produttivo. Abbiamo lasciato molto scadere i servizi che aiutano la transizione fra scuola e lavoro. Invece è uno snodo cruciale. Se facciamo bloccare questo ingranaggio, rischiamo grosso”.
Perché?
“Perché abbiamo una popolazione che continua a invecchiare, un debito pubblico altissimo, le nascite in calo e le fasce più anziane che per paura della malattia hanno ridotto il loro ruolo attivo. Rischiamo di ritrovarci con troppi ingranaggi bloccati. Quello su cui investire subito è quello dei giovani. E’ il più importante, va riattivato con urgenza. Anche se tutto intorno a noi fa pensare al disastro, ora può essere il momento giusto per rimettere in moto le varie componenti della società in maniera coordinata. E’ un processo di lunga durata e spetta al governo farlo, anche se non pagherà per la prossima scadenza elettorale. Ma sarà decisivo per sapere se l’Italia avrà un ruolo di alto livello per esempio nella green economy, nella silver economy, nel made in Italy o nella manifattura”.
Senza figli, non resteremmo un paese con i piedi di argilla?
“In Italia i tassi di povertà più alti si registrano fra gli under 35. Sui giovani pesano le difficoltà del lavoro, l’incertezza del futuro e gli ostacoli nel conciliare impiego e famiglia. E’ difficile, in queste condizioni, pensare di mettere su famiglia. Ecco allora che i ragazzi tendono a restare nella condizione di figli molto a lungo, rimandano le loro scelte importanti e alla fine sono spesso costretti a fare rinunce. Oggi, per uscire dall’angolo, occorre un rimbalzo che parta proprio dai giovani, sia tramite un aiuto alla formazione e all’ingresso nel mondo del lavoro, sia tramite i servizi per l’infanzia. Questo consentirebbe tra l’altro a molte donne di entrare nel mondo del lavoro”.
Dopo molte tragedie nella storia si è registrato un baby boom. Se lo aspetta stavolta?
“Dipende dai giovani e dalla loro voglia di scommettere sul futuro. Anche dopo la guerra, la ripresa delle nascite non avvenne immediatamente. Fu necessario prima vedere un certo miglioramento delle condizioni economiche e un’offerta di welfare. Poi sì, nel momento in cui l’idea del futuro ha iniziato a profilarsi all’orizzonte, allora anche i giovani hanno finalmente scelto di avere più figli”.