Il virus sul lettino dell’analista. Un’emergenza psicologica

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Il virus sul lettino dell’analista. Un’emergenza psicologica

Messaggioda lidia.pege » gio apr 09, 2020 9:59 am

Il virus sul lettino dell’analista. Un’emergenza psicologica oltre che sanitaria
Lo psicoanalista Stefano Carpani, milanese a Berlino: ogni paese reagisce in modo diverso, ma la pandemia si sconfigge insieme
raffaella silipo Stampa
07 Aprile 2020


Il mondo sul lettino dell’analista. La pandemia non è solo una grave emergenza sanitaria, ma sta dando vita a un gigantesco laboratorio di malessere psicologico e sociale, un disturbo da stress post-traumatico globalizzato, cui ogni Paese risponde a suo modo, oggi e nei mesi a venire: tedeschi disciplinati, italiani ansiosi, svizzeri portati alla rimozione.

«E’ indubbio che alcuni caratteri nazionali spuntino fuori nei momenti di crisi, anche se generalizzare è sempre un rischio». Stefano Carpani è uno psicoanalista della generazione Erasmus: 41 anni, milanese, laurea in Filosofia alla Cattolica e dottorato in sociologia a Cambridge e Manchester. Vive a Berlino con la moglie spagnola e tre figlie ed è psicoanalista al Carl Gustav Jung Institute di Zurigo. «Sono cresciuto come cittadino del mondo - dice - eppure l’ultima volta che ho viaggiato da Milano a Zurigo a fine febbraio (un percorso fatto centinaia di volte) mi sono sentito trattato da appestato. La prima reazione alla crisi di Germania e Svizzera è stata quella di negazione, di rimozione. Fingevano che il Covid fosse un problema italiano, perché noi siamo più calorosi, ci tocchiamo di più. E anche perchè, naturalmente, siamo più vicini tra generazioni, alle famiglie di origine, mentre da loro i vecchi vivono tra vecchi e i giovani tra giovani. Invece la prima reazione italiana è stata un po’ isterica». A emergenza conclamata le differenze restano, ma di diverso tipo: «I popoli del Nord sono più disciplinati, non si muovono da casa, non hanno bisogno di sanzioni. È la loro forza e il loro limite. Noi siamo più irrequieti ma più creativi». Per questo, dice Carpani, «finita la crisi, ci sarà ancora più bisogno di Europa: abbiamo bisogno di un po’ della loro disciplina e loro di un po’ della nostra creatività».

Carpani ha un punto di vista privilegiato sulla pandemia: aveva cominciato a intervistare i grandi junghiani «per registrare la loro voce» in un libro e sul suo canale Youtube nella serie «Breakfast at Kusnacht» (dal nome del paese svizzero dove si trova lo Jung Institute) e con la pandemia ha visto moltiplicarsi gli interventi. «La psicanalisi - dice - è uno strumento utile per decifrare la crisi. Dobbiamo imparare a dirci che è un momento di ansia e angoscia, di sospensione delle certezze. Dove vengono a mancare i riti collettivi - persino la Pasqua - come quelli individuali: solo accettando questa tristezza di fondo riusciremo a superarlo». Ha anche creato un supporto psicologico online (la mail è contattopsicologi@gmail.com «pensato per i medici in prima linea, ma in realtà usato da tanti comuni cittadini. Il fatto è che il confine tra intuizioni geniali e paranoia è sottile e in momenti come questi salta del tutto».

Gli incontri offrono molti spunti di riflessione. Verena Kast, psicoanalista a Zurigo, suggerisce «la creatività come antidoto alle emozioni negative: senza negare paure e incertezze». E il dialogo con Carpani sottolinea il carattere cosmopolita dell’emergenza «una chiamata a una risposta universale, una sorta di “dichiarazione di interdipendenza” per cui siamo tutti responsabili e tutti vulnerabili». John Beebe, analista a San Francisco, esamina il concetto junghiano di «compensazione» e nel dialogo si ricorda il discorso di Greta Thunberg ai governanti del mondo: «Voglio che proviate il panico»: «Un piccolo virus invisibile ha fatto sì che il suo desiderio si avverasse in modo imprevedibile a livello globale».

Paul Attinello, analista britannico, mette il Covid-19 in relazione all’Aids e al saggio di Susan Sontag «Malattia come metafora». «Abbiamo considerato - dice Carpani - che la pandemia è un grande esperimento di interiorità. Siamo abituati a vivere in un mondo estroverso, questa è un’occasione per lasciare che il mondo esterno si spenga e il mondo interiore si faccia sentire». La grande rimozione dell’Occidente è quella della nostra mortalità, spiegano l’analista canadese Murray Stein e il sociologo Mauro Magatti: «Io ho 60 anni - dice Magatti- e mi considero “giovane”: è più forte di me, la nostra cultura la morte la cancella, arriva sempre inaspettata». Stefano Candellieri e Davide Favero riflettono infine sul «tempo sospeso» che stiamo vivendo oggi: «Ansia, rabbia, angoscia vanno attraversate per approdare alla tristezza e all’elaborazione necessaria di un lutto collettivo». Stando attenti, sottolinea Carpani, alla fuga nelle dipendenze, che sono la costante psicologica dell’epoca. «Un tempo si mangiava la pizza una volta alla settimana: ora siamo nell’era della bulimia, dell’ “all you can eat”, del tutto e subito. Siamo abituati ad abbuffarci di puntate di serie tv come di attività fisica, non solo di cibo: è una strategia di fuga, il nuovo modo di rimuovere, e pensare. È un modo per delegare agli altri e non prenderci le nostre responsabilità. Credo che questa crisi sia un’occasione per recuperare il senso del limite».

Anche un limite geografico: perchè, se è vero che la pandemia coinvolge tutti, è anche vero che senza voli low cost e Flixbus siamo tutti un po’ più lontani. Con buona pace della generazione Erasmus: «Forse è un bene che le distanze siano aumentate - conclude suo malgrado Carpani -. Lo dico io che prendevo un volo alla settimana: la tecnologia, come un elastico, ha teso i limiti al massimo, ma ricordiamo Frankenstein: la natura si ribella».
Lidia Pege
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