Nell’infuocato dibattito sull’immigrazione clandestina ci sono aspetti della questione che pochi conoscono. Di cui West ha parlato con Lina Trovato, magistrato della Procura della Repubblica di Catania, specializzata nelle indagini contro le associazioni di stampo mafioso e il traffico di esseri umani. Che per riuscire a scalfire l’omertà e le reticenze delle vittime a denunciare i loro aguzzini ha organizzato un pool di “saperi” con: Squadra Mobile, Commissione Territoriale, OIM, Tribunale per i Minorenni e loro tutori, Associazioni del volontariato.
1) Perché lei ritiene si debba distinguere tra smuggling e trafficking?
Per approntare una strategia investigativa più efficace. Ricordo che un mio docente dell’università non si stancava di ripetere che se è vero che nell’avviare un’indagine vanno evitati i pregiudizi, è anche vero che per sapere cosa e dove cercare si deve avere almeno un’ipotesi di partenza. Nel caso specifico, distinguere smuggling e trafficking per meglio orientare le indagini. Anche tenendo conto che gli attuali flussi migratori sono misti e questi due fenomeni possono, talvolta, sovrapporsi. Ad esempio, un migrante che vuole “semplicemente” pagare gli smuggler per realizzare il suo progetto migratorio può diventare, strada facendo, vittima di trafficking.
2) In che consiste la differenza tra trafficking e smuggling?
La più rilevante riguarda la condizione del soggetto coinvolto:
C’è quella del migrante che dall’Africa vuole arrivare in Europa (smuggling). Si affida ai trafficanti, paga in anticipo, rischia la vita e (se) arriva chiude il rapporto con gli autori del reato.
C’è quella della vittima di tratta che deve arrivare in Europa (trafficking). Non paga in anticipo i trafficanti ma è costretta ad accollarsi con loro un debito (talvolta 50 volte superiore alla somma pagata dal migrante che si affida agli smuggler). In questo caso, a differenza della prima, la vittima rimane prigioniera dei trafficanti sino a quando non avrà estinto il debito.
La differenza tra i due delitti è la stessa che c’è tra una linea retta e uno dei punti che la compongono: la tratta di esseri umani è la linea retta nella quale l’ingresso illegale e l’intervento degli smuggler rappresentano solo due punti. La tratta, infatti, inizia prima: con il reclutamento delle vittime nel paese di origine, l’uso di metodi coercitivi (l’inganno, la violenza, la minaccia, lo sfruttamento della condizione di vulnerabilità) e continua dopo l’arrivo (il periodo necessario al pagamento del debito va dai 3 ai 7 anni).
3) Quali sono le tipologie “umane” dell’immigrazione irregolare che, in base alla Sua esperienza investigativa, sono coinvolte nel trafficking e quelle nello smuggling?
Nella maggioranza dei casi la vittima di tratta è : minore, non accompagnata, di nazionalità nigeriana, tra i 14 e i 17 anni, di sesso femminile, con scarsa istruzione, in condizioni di povertà estrema, sottoposta in patria a riti magico esoterici finalizzati all’asservimento psicologico e trasferita in Italia al fine di svolgere l’attività di prostituta, spesso per 10-15 euro a prestazione.
Sono vittime di una scelta di gruppo fatta a monte. Quella di partire è, in genere, una decisione maturata all’interno del nucleo familiare. Tanto è vero che i genitori, oltre al fatto che raramente sono ignari o contrari a che partano (diversamente da quanto le ragazze spesso dichiarano), rappresentano per le vittime un vero e proprio cappio al collo perchè le minacce (con riti magici) esercitate nei loro confronti funzionano da ricatto per le giovani.
In queste ragazze quello che colpisce, non diversamente da quelle che subiscono abusi endofamiliari, è l’ambivalenza nei confronti dei loro aguzzini. In particolare verso le madame che gestiscono l‘attività di prostituzione. Verso le quali provano, a un tempo, rancore ma anche riconoscenza. Per questo difficilmente le denunciano.
Da notare che tutte le madame che ho incontrato (recte: indagate) sono ex vittime. La tratta è un circolo vizioso: per chi è costretta a prostituirsi il vero riscatto non è l’estinzione del debito ma riuscire a fare arrivare una ragazza che lavori “al posto mio”. Una sorta di “upgrading sociale” che consente di realizzare un progetto. Tant’è che molte, una volta raggiunto il “rango” di madame decidono, ad esempio, di fare un figlio.
Credo si possa dire che la tratta delle ragazze nigeriane a fini di sfruttamento sessuale rappresenti l’ultima e più spregiudicata frontiera della violenza di genere: donne le madame, donne le vittime, donna-corpo che deve dare reddito.
E se ciò non bastasse, proprio l’appartenenza di genere è lo strumento di schiavitù psicologica peggiore: una delle minacce più ricorrenti è, se disubbidiscono alle madame, di venire colpite da un ciclo mestruale perenne e senza fine.
Nei pochi casi di maschi vittime di tratta, è l’accattonaggio lo strumento del loro sfruttamento.
Per quanto riguarda, infine, lo sfruttamento lavorativo esercitato ai danni dei propri connazionali lo si riscontra per lo più nelle comunità Rom romene.
4) Come spiega il fatto che pur essendo noti da anni gli orrori della tratta in cui finiscono irretite giovani/giovanissime ragazze nigeriane (in maggioranza provenienti dalle stesse aree del paese) il fenomeno continua come se di esso nessuna di loro risulta (o dice) di essere informata all’atto di partire verso l’Italia?
Intanto non credo che siano così noti gli orrori della tratta in Nigeria. Quelle che arrivano in Italia inviano alle famiglie, oltre al denaro, una immagine vincente (foto piene di sorrisi con gli smartphone in mano). Molte sanno di venire in Europa per fare le prostitute. Altre invece vengono ingannate con l’allettante promessa di lavorare come baby sitter, cameriere, parrucchiere. Ma anche quando hanno precisa contezza del lavoro che le attende, quella possibilità di andare in Europa, viste le condizioni in cui versano in patria, è comunque vista come una chance di miglioramento. Con l’aggiunta che la famiglia avrà una persona in meno a cui pensare e che, forse, potrà anche aiutarla economicamente.
Io ritengo che sia qui l’aspetto più odioso della tratta: l’uso della condizione di vulnerabilità della vittima priva di alternative non solo economiche ma, soprattutto, esistenziali. Il che spiega il paradosso per cui molte decidono, spesso consapevolmente, di mettersi nelle mani dei propri sfruttatori.
Giuseppe Terranova 18.6.18 West Immigrazione