le mafie controllano le scommesse e taroccano le slot

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le mafie controllano le scommesse e taroccano le slot

Messaggioda lidia.pege » mar apr 24, 2018 1:27 pm

Così le mafie controllano le scommesse e taroccano le slot machine
E con il gioco illegale finanziano la latitanza dei boss come Matteo Messina Denaro
di Antonio Crispino Corriere

Le slot machine e le scommesse illegali finanziano la latitanza di Matteo Messina Denaro. E’ quanto è emerso nella recente indagine dell’Antimafia di Palermo chiamata «Anno zero». Ogni giocata registrata nelle agenzie dell’imprenditore Carlo Cattaneo garantiva al super latitante di Cosa Nostra i soldi necessari alla latitanza. Soldi versati puntualmente da Cattaneo a Rosalia Messina Denaro, sorella di Matteo, in cambio della garanzia di operare in regime di monopolio. Nessuno poteva aprire un’agenzia di scommesse nella sua zona. Non solo. L’imprenditore aveva strutturato all’interno delle sale regolarmente autorizzate un sistema parallelo di puntate, difficile da individuare persino per gli investigatori. Perché per accedere al gioco illegale utilizzava gli stessi computer autorizzati dai Monopolio. In un riquadro della schermata aveva fatto installare dai suoi programmatori un piccolo banner, apparentemente insignificante. Ma per chi conosceva il meccanismo era la porta d’ingresso del .com, ossia delle piattaforme offshore. Che significa zero tassazione in Italia e possibilità di riciclare denaro sporco. Una circostanza che però non ha sorpreso quanti negli ultimi anni hanno seguito l’infiltrazione della criminalità organizzata in questo settore.

Il business delle scommesse
Non c’è operazione o inchiesta contro le mafie, infatti, che non contenga almeno un capitolo dedicato alle ingerenze criminali nel settore dei giochi e delle scommesse. Rischiatutto, Normandia 2, Black Monkey, Jonny, Gambling, The Imitation Game, Stige, Beta, Talea, Clean Game, New Line, Criminal Games, Curacao, Fast, Elite 12 Argo, Morsa 2, Last Bet, Hermes, Calipso, Cartagine, Aemilia, Jackpot, Doppio jack, Game over. Per citarne alcune. Innumerevoli anche i clan coinvolti, si va dalla A degli Amato alla Z di Zagaria. Con organizzazioni operative in tutte le regioni, dal Piemonte alla Sicilia.
Quello che era considerato dai boss come un «business emergente» (Paolo Di Lauro, capo della camorra di Secondigliano, fu tra i primi a interessarsene già nel 2002) oggi rappresenta buona parte di quegli oltre 200 miliardi di euro all’anno che l’Eurispes calcola come il giro d’affari criminale nel nostro Paese. Subito dopo la droga verrebbe il gioco. Anzi, come conferma il procuratore aggiunto di Catanzaro Vincenzo Luberto, uno dei magistrati più efficaci nella lotta contro la ‘Ndrangheta, «ci sono capindrina che dacché operavano nel traffico di stupefacenti hanno spostato i loro investimenti nel gioco perché più redditizio e meno rischioso». Il riferimento è senz’altro a quel Rocco Femia (proprio Luberto lo sta ascoltando come collaboratore di giustizia) vero dominus mafioso che dall’ Emilia Romagna (dove era arrivato in soggiorno obbligato) controllava tutta la filiera del gioco: dal produttore di macchine da intrattenimento alle sale scommesse. Secondo le testimonianze di alcuni suoi ex collaboratori sarebbe riuscito a piazzare più di 2500 slot machine truccate in tutta Italia.


I programmatori
Proprio per questo dalla bocca di Femia ci si aspetta che escano fuori i nomi dei produttori e programmatori esteri che dalla Romania, dalla Bulgaria e da altri paesi dell’Est europeo stanno facendo affari con la mafia italiana. A partire dalle macchinette illegali che da un paio d’anni hanno inondato il nostro territorio.
Si tratta di apparecchi molto simili a quelli autorizzati dai Monopoli ma staccati dalla rete informatica della Sogei, la società informatica del ministero dell’Economia che monitora ogni giocata. E magari chiarisca agli investigatori il ruolo di suo fratello, Franco Femia, suo stretto collaboratore e oggi a piede libero ma, secondo alcuni addetti del settore, ancora con interessi nel mercato del gioco.

Che le mafie utilizzassero i soldi del «gioco sporco» per sovvenzionare i capi clan e le loro famiglie lo aveva ben rappresentato a fine 2014 Salvatore Venosa, ex affiliato del clan dei Casalesi, poi divenuto collaboratore di giustizia, che al Pubblico Ministero confessò: «l denaro che serve al clan dei casalesi per il mantenimento dei detenuti al regime dei 41 bis proviene esclusivamente dalle macchinette. Per farle un esempio… Solo dalle macchinette collocate negli esercizi commerciali tra Casale e San Cipriano si ricavano 17.500 euro per Francesco Schiavone detto Sandokan, 3.500 euro per il figlio Nicola Schiavone e 5000 euro per Giuseppe Caterino».


I numeri del maxi business
A spiegare questa virata delle mafie sul mondo delle scommesse ci sono i numeri. La raccolta di gioco, ossia quello che i giocatori spendono in tutte le tipologie di gaming disponibili (slot machine, lotto, bingo, scommesse, ippica, etc) è passato dai 96 miliardi di euro del 2016 ai 101 miliardi del 2017. I numeri definitivi saranno pubblicati a giugno dall’Amministrazione dei Monopoli dello Stato ma il trend è in costante crescita, non conosce crisi. Il dato sorprendente è che le cosiddette «macchinette mangiasoldi» da sole hanno raccolto circa la metà di questi soldi. La Lombardia è sempre al primo posto per volumi di gioco e totale di slot presenti sul territorio, benché in calo rispetto all’anno precedente (per effetto della legge finanziaria del 2016 che ne ha imposto un taglio).

Le mafie hanno capito in anticipo il business e dal 2004 (anno in cui le slot vengono regolarizzate) vi si sono fiondate a capofitto. Lo hanno fatto utilizzando diversi canali: dalla gestione delle slot machine (ciascuna capace di generare un reddito fino a mille euro a settimana, come constatato a Caltanissetta) al controllo delle sale scommesse, dal gambling clandestino alla creazione di software di gioco, dal racket delle sale gioco al riciclaggio attraverso l’acquisto di ticket vincenti. Aggiornandosi di pari passo alla normativa (sempre più stringente), che spiegheremo in questa videoinchiesta in tre puntate.

Com’è organizzata la struttura
La prima parte è dedicata alla filiera delle slot machine. Chi le produce, come funzionano, in che modo le organizzazioni criminali ci hanno messo mano, come sia possibile alterare le vincite. Rosa Amato, ex capoclan degli Amato e oggi collaboratrice di giustizia ci spiega come e grazie a chi riusciva a imporre sul territorio casertano le slot machine clonate: una, regolare, collegata alla rete dei Monopoli (che ne registra ogni giocata e in base a queste calcola la tassazione) posizionata in punti con scarsi volumi di gioco. L’altra, identica, a drenare risorse direttamente nelle casse del clan. «Oggi le organizzazioni criminali hanno capito che non conviene più taroccare slot machine autorizzate per modificarne la percentuale di vincita (per legge ogni slot deve restituire il 70% del giocato in vincite. Una quota che in passato le mafie riuscivano ad abbassare trattenendo per sé la differenza, ndr) - spiega Roberto Mazzuccato, co-fondatore della MAG Elettronica, uno dei principali produttori di slot machine in Italia con sedi anche in Sud Africa -. Prendiamo ad esempio quello che sta accadendo a Torino dove abbiamo notato che, lì dove si ritirano le apparecchiature legali per effetto della riduzione imposta dallo Stato, stanno spuntando slot anonime, di fabbricazione estera, senza nessun collegamento alla rete dei Monopoli e quindi non monitorabili».

E poi c’è la complicità di personaggi non organici alla mafia ma essenziali per gestire questo business: i softwaristi, coloro che sono in grado di alterare i programmi di funzionamento, di creare reti parallele di gioco. Per la mafia valgono oro al punto da aver coltivato una propria rete di programmatori (attualmente quasi tutti esteri) che all’occorrenza le varie mafie si scambiano. Ne faceva parte, secondo la Procura della Repubblica che lo accusa, Gino Tancredi meglio noto come «il Re del poker». E’ colui che ha introdotto in Italia il poker on line. Fatturava 18 milioni di euro l’anno. La sua storia si incrocia con quella di Rocco Femia. Con lui stipula un contratto di fornitura di software da due milioni di euro. Soldi pagati senza battere ciglio da quello che si sarebbe rivelato il boss della ‘ndrangheta capace di creare joint venture con la mafia siciliana e la camorra dei casalesi per ottenere il monopolio del gioco in Italia. «Io sono stato arrestato alle 3 di notte perché ritenuto socio occulto di Femia - racconta Tancredi -. Ma molti di quelli che lavoravano con me e accontentavano le richieste di Femia oggi lavorano in SISAL, Lottomatica. La Sace, la società che produceva le schede di gioco per conto del boss oggi è stata acquisita da un colosso austriaco come Novomatic. Lei ha informazioni su dove siano finiti i soldi di quella acquisizione milionaria?».

Il passaggio delle società
L’acquisto si è concretizzato il 1 gennaio 2016. La società ha fatto sapere che «Novomatic ha acquisito uno dei più qualificati produttori di schede di gioco in Italia per integrare il proprio ramo produttivo con un prodotto noto, specializzato e rispondente alle esigenze delle mercato italiano. Al momento dell’acquisto è stato richiesto ai proprietari di alienare i beni immobili posseduti mediante una scissione in favore della neo costituita Save Immobiliare s.r.l poiché quei beni non erano di interesse». Ad Acilia, lo scorso febbraio, la Guardia di Finanza ha sequestrato beni per 23 milioni di euro a Mario Iovine detto «Rififì», clan dei Casalesi. A Roma gestiva tutto il mercato delle scommesse insieme ai fratelli Sergio e Sandro Guarnera. Erano dei semplici installatori di schede di gioco che poi si sono trasformati nei principali soci in affari sia della camorra casertana che della mafia di Ostia, dei Falciani prima e degli Spada poi. Anche qui lo schema si ripete: un imprenditore del settore compiacente (Mauro Carfagna gestore di quattro sale giochi a Ostia Lido. La famiglia della moglie Raffaella De Santis produce e distribuisce apparecchi elettronici da intrattenimento), un gruppo criminale capace di imporre quel tipo di macchina da gioco e infine il controllo delle vincite, una garanzia di riciclaggio del denaro sporco. «Possedere una sala da gioco significa anche poter facilmente ripulire il denaro sporco - spiega Carlo Cardillo, maggiore della Guardia di Finanza -. Ogni volta che il vincitore di una grossa somma si reca al banco per riscuotere, il mafioso ha la possibilità di comprargli il ticket vincente, magari anche pagando un surplus. In questo modo avrà denaro fresco da reinvestire nel circuito legale». Altre modalità di riciclaggio sono strettamente legate al mondo on line. Come il furto delle identità virtuali con le quali le organizzazioni criminali aprono conti gioco all’estero (principalmente a Curacao e a Malta), da cui fanno transitare le somme da riciclare. «Può capitare che l’ignaro cittadino sia titolare di un conto on line e non lo sappia».
Lidia Pege
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