Don Albino Bizzotto: «Non mangio più
per salvare il Veneto dalle grandi opere»
Il sacerdote: «Sono dei serbatoi di corruzione, che devastano il territorio. I progetti siano pubblici»
PADOVA — Don Albino Bizzotto, 74 anni, fondatore dei «Beati i costruttori di Pace», da venerdì 16 agosto comincia uno sciopero della fame. È l’ennesimo digiuno nella vita di questo sacerdote di frontiera, che da anni combatte contro guerre e povertà (in città ha messo in piedi una rete di accoglienza, che offre quotidianamente assistenza alimentare a oltre tremila famiglie in crisi). Ma questo è forse il più delicato. «Vivrò in un camper all’interno del cortile dell’associazione, in modo che tutti possano vedermi. Non mangerò. Sarò seguito da un medico: berrò solo un po’ di acqua e, quando sarà necessario, assumerò qualche polverina di integratore. Niente altro».
Perché questa protesta? «L’ambiente e il territorio sono diventati i luoghi di maggiore speculazione finanziaria: la Terra, che ci ha generato, è ormai considerata una cosa e non un organismo vivente. Ma la situazione è fuori controllo. Solo in Veneto dal 1990 al 2000 la superficie agricola è diminuita di 279.830 ettari, cioè del 21,5%; mentre il consumo del suolo per urbanizzazione e infrastrutture varie è di 1382 ettari l’anno, pari cioè a 3,8 ettari al giorno. Siamo sopra a un vulcano».
Questo trend (purtroppo) è noto. Cosa ha scatenato, in concreto, la sua volontà di praticare lo sciopero della fame? «In Veneto c’è una programmazione politica che ha accettato i grandi investimenti privati come prioritari, senza considerare minimamente la partecipazione dei cittadini. In particolare, mi riferisco al piano regionale che riguarda le autostrade e le altre mega opere, che avranno un impatto devastante sul territorio. Tutte realizzate in project financing, tra l’altro. Da Veneto City alla Città della Moda, fino alla Pedemontana, che è una vera voragine. Opere inutili, che servono solo a fare soldi a spese dei cittadini».
Pensa lo stesso anche del nuovo ospedale di Padova? «Ma perché un nuovo ospedale? Sprecare tutte le energie, invece di incanalarle per la gente che ha bisogno?»
Queste opere, però, portano posti di lavoro. «È vero, la questione è cruciale. Bilanciare l’occupazione da un lato e salute e territorio dall’altro. Ma vanno considerati due problemi. Il primo: queste opere sono delle vere e proprie fucine di corruzione. Dalla Pedemontana, che è tutta in subappalto; al Mose, un colosso che ha mangiato soldi, nel silenzio più assordante di tutti i partiti. Tra parentesi: vogliamo che siano i giudici a stabilire il calendario dell’azione produttiva del Veneto? E poi il secondo problema: avere un atteggiamento diverso nei confronti della produzione, perché questa non è una crisi economico-strutturale, ma antropica. Il fatto è che il pianeta così come si trova non ce la fa. I conti non tornano più».
È un po’ grillina come posizione... «Sarà grillina, ma bisogna smetterla di considerare l’economia il motore di tutto. Anche la Terra ha una sua grammatica: il nostro sistema aiuta a creare la vita o a distruggerla? In questo c’è tanto silenzio anche da parte della Chiesa».
Cioè? «Questi temi non fanno ancora parte della Pastorale, non sono discussi nelle parrocchie e in ambito di Diocesi, nonostante ci sia un messaggio chiaro da parte della Cei. Più che sordità, è ingnoranza».
Cosa potrà farla desistere dal digiuno? «Il governatore Zaia dice che bisogna fermare cemento e asfalto; ma viene il dubbio che i suoi siano solo proclami. Basterebbe, però, che si rendessero trasparenti e accessibili i project financing. La gente, che poi attraverso i ticket li pagherà tutti, deve sapere cosa comportano. E come incideranno sul territorio».
Giovanni Viafora
16 agosto 2013