L’Italia continua a fare finta che i cambiamenti climatici

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L’Italia continua a fare finta che i cambiamenti climatici

Messaggioda lidia.pege » ven mar 05, 2021 7:19 pm

L’Italia continua a fare finta che i cambiamenti climatici non siano un problema

Alluvioni, inondazioni, caldo torrido. Gli eventi estremi sono sempre più frequenti. Il bilancio del ritardo di una politica di adattamento del nostro Paese è devastante. E tra le città chi sta peggio è Roma
di Stefano Liberti
05 Marzo 2021 ESPRESSO

Diceva Charles Darwin che «i fattori più importanti per la sopravvivenza non sono l'intelligenza né la forza, ma la capacità di adattarsi alle mutate condizioni». Se vedesse le politiche messe in campo dal nostro paese, il grande scienziato britannico ci condannerebbe senz'altro all'estinzione.

Le mutate condizioni - nel caso specifico, quelle climatiche - sono sotto gli occhi di tutti. Basta scorrere le cronache degli ultimi mesi per vedere che gli eventi atmosferici estremi si susseguono con una frequenza sconcertante. 21 novembre 2020: a Crotone cadono 250 mm di pioggia in poche ore trasformando le strade in torrenti. 28 novembre: a Bitti, in provincia di Nuoro, un temporale di un'intensità mai vista (324 mm in sole 24 ore, la quantità che normalmente cade in sei mesi) fa franare le colline circostanti innescando un fiume di fango che travolge il paese e uccide tre persone. 6 dicembre: nel Modenese esonda il Panaro, gonfiato dalle piogge senza precedenti e dalla neve che si è sciolta repentinamente sugli Appennini a causa di un improvviso aumento di temperatura. Decine di persone vengono evacuate.

L'Italia è letteralmente nell'occhio del ciclone: secondo il database europeo che li monitora, nel 2020 ci sono stati nel nostro paese 1499 eventi meteo-climatici estremi, più di 4 al giorno. Eppure, sembriamo incapaci di reagire. Di mettere in campo quello che gran parte degli stati europei sta facendo da tempo: una seria politica di adattamento, che sia in grado di arginare gli effetti più nefasti dei cambiamenti climatici, salvaguardare i territori ed evitare che le nostre città divengano invivibili, calde come fornaci in estate e funestate da allagamenti continui in autunno e inverno.

Il tema in Europa è considerato prioritario. Il 24 febbraio la Commissione ha adottato la nuova strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, che rafforza quella del 2013. Per definirla, ha utilizzato tre termini: intelligente, sistemica e veloce. «Quest'ultimo aggettivo sembra un monito diretto al nostro paese», dice Sergio Castellari, climatologo dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), distaccato presso l'Agenzia europea per l'ambiente. «Il paradosso che viviamo in Italia è che siamo tra quelli che registrano il maggior numero di impatti e al contempo quelli che agiscono con più lentezza». Lo scienziato parla a ragion veduta: negli anni scorsi ha coordinato il lavoro tecnico-scientifico preparatorio e contribuito alla realizzazione della strategia nazionale di adattamento (Snac), che sarebbe dovuta sfociare nel Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc). «Redatto nel 2017, il Pnacc è da allora fermo al ministero dell'Ambiente (ora ministero della Transizione Ecologica) in attesa di una valutazione ambientale strategica. Nel frattempo, si sono moltiplicati i disastri causati dal cambiamento climatico, con costi economici, sociali e anche di vite umane molto ingenti. Si è perso tempo prezioso».

I costi di questo ritardo sono in effetti esorbitanti: secondo i dati presentati dal Rapporto Cittàclima di Legambiente, negli ultimi dieci anni gli eventi estremi hanno provocato 251 morti e l'evacuazione di 50mila persone. Il bilancio delle ondate di calore è ancora più grave: secondo lo stesso rapporto, tra il 2005 e il 2016 nelle principali città italiane 23.880 persone sono morte proprio a causa del caldo. Una strage silenziosa, che ricorda quella della terribile estate del 2003, quando la canicola ha ucciso in Italia tra le 15mila e le 20mila persone. A questo si aggiungono le perdite economiche: «Dal 2013 il nostro paese ha speso una media di 1,9 miliardi di euro l'anno per riparare i danni causati da eventi legati al cambiamento climatico e soltanto 330 milioni per la prevenzione: un rapporto di 6 a 1», sottolinea Edoardo Zanchini, vice-presidente dell'organizzazione ambientalista.

«Si tratta di un problema culturale, in cui non c'è consapevolezza di quello che sta accadendo e quindi non si ritiene urgente intervenire», rincara Raimondo Orsini, direttore della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Secondo una stima fatta dal suo ente, al 2050 ci sarà una perdita annua di Pil dell'8 per cento proprio a causa degli effetti della crisi climatica. «È una stima al ribasso, che non computa i danni ambientali e sociali associati al fenomeno».

Il confronto con gli altri paesi europei è sconfortante: siamo in assoluto quelli più indietro. La Francia ha approvato il suo piano di adattamento nel 2011 e attualmente ne sta elaborando uno nuovo. In Germania lo hanno fatto da tempo tutti i 16 Länder. Secondo Zanchini ci vorrebbero sull'adattamento normative europee vincolanti, come sull'inquinamento, sui rifiuti, sulle energie rinnovabili. «Ma», aggiunge, «probabilmente non verranno fatte, perché gli altri paesi sono talmente avanti che non considerano urgente intervenire su questo campo».

I fondi del Next Generation Eu potrebbero essere usati per colmare il divario? «Speriamo di riuscire a cogliere quest'opportunità», risponde Orsini. «Ma nelle bozze del Recovery plan italiano viste finora quasi nulla è destinato all'adattamento e praticamente niente alle città, che sono al contempo le aree più colpite e quelle che potrebbero mettere in campo politiche di adattamento più efficaci».

Già, le città. Per la loro struttura e l'alta densità di popolazione, sono i luoghi più vulnerabili. Le ondate di calore colpiscono in modo particolare le popolazioni urbane, così come gli eventi estremi, in particolare le precipitazioni intense che provocano allagamenti, danneggiamenti alle infrastrutture, interruzione del sistema dei trasporti e a volte nella rete elettrica. È per questo che in altri paesi europei si è agito con tempestività proprio sulle città, investendo risorse importanti. «Prendiamo il caso di Copenhagen», sottolinea ancora Castellari. «Dopo l'intenso nubifragio del 2011, che ha provocato danni per circa un miliardo di euro, si è deciso, mediante un nuovo piano di prevenzione nubifragi, di investirne altrettanti in centinaia di progetti per costruire, ad esempio, distretti waterproof. È curioso che l'Italia, che subisce danni ingenti da eventi meteo-climatici e ha un patrimonio artistico-culturale così ricco, non riservi la stessa attenzione al tema che c'è nel Nord Europa».

In assenza di una cultura di prevenzione e di un piano nazionale di adattamento, i comuni italiani si stanno muovendo in ordine sparso
Lidia Pege
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