«Nessun regista è grande abbastanza per portare al successo una compagnia di guitti»
La politica naufragata si affida, per l’ennesima volta, alle riserve della Repubblica, in questo caso a Mario Draghi. Che potrà occuparsi dell’emergenza sanitaria e del Recovery Fund, ma non delle grandi riforme che hanno immobilizzato il Paese
di Massimo Cacciari
12 Febbraio 2021 espresso
Il Covid-19 è innocente. Ben altri colpevoli e di più lunga data ha la decadenza di questo Paese. Chi si è riletto il discorso alla Camera di Napolitano il 22 aprile 2013? Spietata analisi sulle ragioni della nostra crisi. Appello drammatico a iniziare finalmente un cammino di riforme di sistema, dall’assetto istituzionale a quello amministrativo, dalla scuola, alla sanità, alla giustizia. Durissimo richiamo alle forze politiche perché la loro competizione avvenga sulla base di progetti razionali, nel contesto di una piena consapevolezza dell’irreversibilità del processo di integrazione europea.
Dopo un altro decennio o quasi di rottamazioni, di tentativi abborracciati e falliti di riforma, in un’altalena di trasformismi (oggi si dice pragmatismi) tra sovranismi e europeismi accomunati dall’essere entrambi nella sostanza puri esercizi retorici, ci troviamo punto e daccapo.
Constatato il completo naufragio di ogni tentativo di trovare i numeri (lasciamo perdere la qualità) per formare una maggioranza parlamentare, il Presidente ricorre alla “protezione civile” rappresentata dai “civil servants” di Banca d’Italia. Era successo con Dini, con Ciampi e in fondo anche con Monti.
Incredibile dictu, i naufragati politici, lungi dal riflettere sulla propria impotenza e iniziare a ricostruire una propria ragione d’essere, salutano ormai l’evento quasi fosse un loro successo, pronti a mettere a disposizione del neo-Presidente le proprie “forze”, tanto brillantemente già espresse. La politica, dicono, rialza il capo e, per il supremo bene della Patria, supera contrasti e conflitti, dimentica i mortali insulti con i quali i suoi protagonisti amavano apostrofarsi, e si prepara ad affrontare le sfide che ci attendono (quelle che, da trent’anni, abbiamo sempre accuratamente evitato).
Fosse così, bisognerebbe ringraziare Renzi. Delle due l’una: o l’ottimo era continuare con un governo Conte-ter, e naturalmente senza Renzi, o lo è questa presidenza Draghi. Tertium datur? Se sì, solo questo: che Draghi è il meno peggio e tocca mangiarselo, ma molto, molto preferibile sarebbe stato il Conte-ter. Osano dirlo i nostri eroi? Chiedere loro discorsi coerentemente onesti è forse troppo. Ma troppo è anche fingere oggi entusiasmo intorno alla soluzione mattarelliana.
Renzi non va ringraziato per il semplice motivo che è pienamente responsabile insieme a tutti i suoi colleghi del semi-collasso del ceto politico che le ultime vicende hanno messo a nudo. Ha dissestato il partito cui il destino assegna in questa fase di essere il solo punto di equilibrio del sistema. Ha impedito che si andasse a votare dopo la folle estate salviniana per tenere sotto scacco una maggioranza priva ancora di qualsiasi fondamento, e ora ne determina la fine, non credo sulla base di chissà quali mefistofeliche intenzioni, ma per motivi vari quanto confusi, ivi compresa la dichiarata allergia per la leadership contiana. Condizione, temo, molto comune: l’astuzia pragmatica così diffusa rivela sempre più una molto banale assenza di idee e di progetti.
Eccoci pertanto di nuovo al Salvatore. È un’immagine che minaccia ormai di abitare il nostro senso comune. Più la crisi della politica si radicalizza, più quell’immagine diviene irresistibile. Al momento decisivo non c’è critica e auto-critica da parte delle forze politiche, non c’è rilancio della loro azione nella società civile - echeggia solo l’appello al Regista. Si inizia invocando il Capo politico, e quando questi, se anche emerge per lo spazio di un mattino, poi fallisce, allora si accoglie plaudendo il Regista che il Presidente ci dona.
Sono decenni che procediamo lungo questa deriva, condivisa peraltro da larghi settori dell’opinione pubblica europea: per decidere occorre il Capo; le forze politiche vanno a caccia di chi potrebbe interpretarne la parte, almeno in tv; se lo trovano, costui fa naufragio; e allora la salvezza si invoca “da fuori”. Perché non regge il Capo? Perché tra questa idea e quella di democrazia vi è un abisso. Occorre finalmente essere gente matura e scegliere: non possono convivere i due “principi”. Il Capo si appella al popolo e non può sopportare corpi intermedi. La democrazia è fatta di partecipazione attraverso di essi. Inseguire il sogno del Capo e saper reggere e riformare un sistema democratico sono mestieri incompatibili. Per fortuna, almeno finora, gli anticorpi delle nostre democrazie, per quanto da riformare siano, hanno resistito. Ma la resistenza non produce, appunto, riforme. Produce, se va bene, i Ciampi e i Draghi.
Che potrà fare Draghi durante il suo consolato - un anno, da qui all’elezione del nuovo Presidente - oltre ad affrontare l’emergenza sanitaria? Respingere l’assalto che certamente ci sarebbe stato ai fondi del Recovery, almeno alla parte “a fondo perduto”; presentare alle autorità europee, sotto l’ombrello della sua credibilità, un Piano che sia qualcosa di più concreto di un elenco “alla Greta” di dover-essere su digitalizzazione, green economy, sostenibilità, ecc.; semplificare le procedure e accelerare gli interventi infrastrutturali.
Riuscirà anche a varare una spending review attendibile? Forse. Riuscirà a impostare una manovra eticamente doverosa perché i costi della pandemia siano ragionevolmente distribuiti tra tutti gli italiani? Ne dubito fortemente - già per questo ci vorrebbe una maggioranza-maggioranza. Scordiamoci pure, infine, si possa metter mano a formazione, scuola, giustizia, politiche industriali e del lavoro. Per non parlare di pubblica amministrazione o del rapporto tra poteri centrali, Regioni, Autonomie. Da anni tutti sanno che sono questi i nodi irrisolti che immobilizzano il sistema.
Nessun Regista è grande abbastanza per portare al successo una compagna di guitti. E i fondi di diecimila Recovery possono andare a fondo se non vengono utilizzati nel contesto delle riforme necessarie. Quelle, d’altra parte, che chiede l’Europa. E per un’altra volta ancora non sapremo rispondere. Di ritardo in ritardo, di rimando in rimando procediamo dalla fine degli anni ’80. Prima che il gap anche con gli altri Paesi europei diventi definitivamente incolmabile, sapranno le nostre “forze” politiche utilizzare la presidenza Draghi per riorganizzarsi, comporre coerenti intese, procedere verso le prossime elezioni con uno spirito davvero costituente? Non lo so, ma temo di sapere che non vi saranno nuovi Draghi né ulteriori esami di riparazione.