Non sto con la satira quando diventa sadica
Ferdinando Camon domenica Avvenire 27 settembre 2020
So di entrare in un terreno delicato, sul quale in queste pagine altri hanno camminato prima di me. E può darsi che quel che dico qui in Italia non sia possibile dirlo in Francia. Ma non sono d’accordo sul diritto alla blasfemia, praticato dal settimanale satirico francese Charlie Hebdo e ribadito in tv dal presidente Macron: esiste il diritto alla libertà di espressione, ma non può esistere il diritto alla libertà di blasfemia. Lo dico chiaro, consapevole che nel mondo c’è chi usa l’accusa di blasfemia per perseguitare la religione o la religiosità degli altri.
Qui si tratta d’altro. All’università un docente di Filosofia ci spiegava che se uno non crede in Dio può mettersi al tavolo e scrivere la Critica della Ragion Pura, ma non può girare per le strade col megafono bestemmiando ad alta voce. Il ragionamento sull’esistenza o la non-esistenza di Dio è un diritto, aiuta a ragionare, l’umanità non fa altro che fabbricare 'aiuti' come questo e trasmetterli lungo i secoli, tra le generazioni, ma sono arrivato alla conclusione che i redattori di Charlie Hebdo non vogliono ragionare e dialogare, vogliono irridere, sbeffeggiare, insultare e profanare. Non di nascosto, ma pubblicamente. Non solo all’interno del loro giornale, ma deliberatamente in copertina. Non per i lettori di quel giornale, ma per tutti i passanti che transitano davanti all’edicola.
La vignetta è immediatamente comprensibile e se è una bestemmia questo non cambia: l’occhio ci casca sopra e subito la bestemmia entra nel cervello. Per chi ritiene quell’immagine una bestemmia, vedere quella vignetta è come ricevere una ferita. L’edicola espone con gioia quel giornale blasfemo, vuol venderlo, più copie vende e più guadagna, il giornalaio fa il giornalaio per questo. Ma le città francesi sono piene di musulmani, per i quali camminare per le strade e vedere il loro profeta bestemmiato come pedofilo o assassino è una coltellata. Non ritengo un diritto di quelle città accoltellare i passanti di una data religione. A mio parere, questa non è democrazia, non è concittadinanza, non è ospitalità, non è accoglienza. Non è libertà d’espressione, è libertà d’insulto, è sopraffazione. Anni fa lessi un libro, un best-seller, di un grande scrittore, del quale non dirò il nome, che non era cristiano e per dire che un cristiano teneva in casa appesa al muro una croce, disse: «Esponeva una lordura». Ma milioni di persone han sopportato tribolazioni di ogni genere e sono morte per quel simbolo, tu non puoi chiamarlo «lordura». Non amo quell’autore, lo ritengo umanamente fallito.
I redattori di Charlie commettono (ripeto: a mio modesto giudizio) lo stesso errore: ritengono che la loro libertà di espressione sia libertà di oltraggio, e se oltraggiano una figura interiore che è nella coscienza di alcuni lettori e se una parte di questi ne soffre fino a impazzire e a restituire coltellate reali per coltellate morali, la colpa è solo di questi impazziti. I quali sono dei fobici, e come tali peggiorano la società, devono guarire. Giusto: una società di fobici non è una buona cosa. Ma loro, quelli che oltraggiano una religione altrui, sono dei sadici, una società di sadici è forse una buona cosa?