La deputata Piera Aiello lascia il Movimento 5 stelle: “Non mi rappresenta più”. E sulla giustizia attacca Bonafede: “Decide tutto lui”
A lungo testimone di giustizia, su Facebook annuncia di voler comunque continuare l'attività parlamentare. "Dopo mesi di sedicenti confronti, di tutto il lavoro parlamentare non rimane nulla", scrive, riferendosi all'attività della commissione di cui fa parte. "È sempre il guardasigilli a decidere tutto e sicuramente non in autonomia". Critiche anche alle scelte dei candidati in Sicilia
di F. Q. | 2 Settembre 2020
Un altro addio per i pentastellati alla Camera. Dopo la dipartita di Paolo Lattanzio, critico contro la mancata alleanza in Puglia, e di Nunzio Angiola, folgorato da Calenda, ora è il turno di Piera Aiello. “Mi dimetto dal Movimento 5 Stelle, che non mi rappresenta più, continuando la mia attività di parlamentare”, ha scritto la deputata siciliana su Facebook. A lungo testimone di giustizia, in un lungo post chiarisce di aver deciso di “rimettere in discussione” la sua vita, “tenuta segreta dal lontano 30 luglio 1991”, per poter portare in Parlamento “le problematiche dei testimoni, dei collaboratori di giustizia e degli imprenditori vittima di racket e di usura”. Ma negli ultimi due anni, spiega, degli ideali del Movimento “non ho visto attuare neanche l’ombra“.
Aiello fa parte della commissione parlamentare Antimafia e della commissione Giustizia. Ed è proprio nei lavori parlamentari che stanno le ragioni del suo addio. “Dopo mesi di sedicenti confronti, di tutto il lavoro parlamentare non rimane nulla. È sempre il ministro a decidere tutto e sicuramente non in autonomia, poiché il 90% degli emendamenti portati in commissione e poi in aula vengono bocciati e spesso senza alcuna motivazione valida”. La deputata punta quindi il dito contro il guardasigilli Alfonso Bonafede, anche se ammette: “Sicuramente sono state fatte leggi importanti come la ‘Spazzacorrotti‘, il ‘416-ter’, la ‘riforma della prescrizione‘, l’inserimento del trojan come strumento per le intercettazioni, ma di fatto rese vane nel momento in cui vengono mandati agli arresti domiciliari ergastolani del 41bis tramite una semplice circolare concordata con gli organi del Dap e il ministro Bonafede”. Il riferimento è alla circolare del 21 marzo che avrebbe dato il via libera al ritorno a casa di numerosi boss durante la pandemia, poi rientrati dopo i provvedimenti varati dal governo.
“Come può un cittadino fidarsi dello Stato se viene messa in pericolo in primis la propria sicurezza? I testimoni e i collaboratori che hanno contribuito al loro arresto come possono avere certezze di sicurezza? E chi vuole iniziare questo percorso di legalità come può davvero affidarsi allo Stato, se quest’ultimo non dimostra stabilità rendendo effettiva la pena di persone che hanno ancora le mani sporche di sangue?”, scrive Aiello, aggiungendo anche una serie di motivazioni politiche tutte interne al Movimento. Nella stessa commissione Giustizia alcuni dei componenti sono stati ‘inseriti’ e con incarichi importanti e di responsabilità, non per meriti o per competenze, tanto meno perché addetti ai lavori, ma solo perché uomini del ministro o affini”.
La deputata elenca poi una serie di problematiche mai risolte relative alla vita dei collaboratori di giustizia, dei testimoni, degli imprenditori vittime delle mafie. A suo dire, tutti queste tematiche “sono state puntualmente da me portate a conoscenza degli organi competenti, che ad oggi hanno audito alcuni di questi soggetti, senza risolvere nulla. Non nascondo l’amarezza per tutto il lavoro che ho fatto, non solo in questi due anni da deputato ma anche negli anni quale semplice testimone di giustizia, lavoro vanificato da persone che non solo non si sono mai occupate di antimafia con la formazione adeguata, ma che non hanno ascoltato il mio urlo di dolore che non è altro che la voce di migliaia di persone che non hanno modo di farsi ascoltare e che io mi pregio di rappresentare”.
Secondo Aiello, ora in procinto di passare al gruppo Misto, sono stati commessi “errori analoghi” dai dirigenti pentastellati anche “a livello locale”. Ad esempio scegliendo “candidati sindaco privi delle competenze necessarie in una realtà così complessa qual è la Sicilia, certificandoli attraverso la piattaforma Rousseau, ma dopo avere scartato a tavolino candidature senza motivazioni valide. Alla luce di tutto ciò non voglio essere considerata complice di quanto è accaduto nonché chiudere gli occhi su quanto sta accadendo: ribadisco che non ho mai chiesto poltrone o privilegi ma solo di essere ascoltata e di continuare a fare antimafia vera nelle istituzioni competenti”. Sullo sfondo non c’è alcuna polemica per eventuali incarichi mancati, quindi, né per le restituzioni al Movimento. “Faccio presente di essere in regola con le restituzioni e con la rendicontazione che il Movimento ha richiesto ai portavoce”, assicura la deputata. Poi lancia l’accusa più dura, citando Paolo Borsellino: Se, come mi diceva ‘Zio Paolo’: ‘Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo’, ebbene ho la netta sensazione che non è la guerra quella che il Movimento ha fatto in questi due anni”.