La lezione di Aldo Moro e la politica di oggi. Un semplice dovere che ricostruisce
Avvenire
Angelo Picariello sabato 9 maggio 2020
«Rimettiamoci tutti a fare con semplicità il nostro dovere. Chi ha da studiare, studi. Chi ha da insegnare, insegni. Chi ha da lavorare, lavori. Chi ha da combattere, combatta. Chi ha da fare politica attiva, la faccia, con la stessa semplicità di cuore con la quale si fa ogni lavoro quotidiano. Madri e padri attendano a educare i loro figlioli. E nessuno pretenda di fare meglio di questo, perché questo è veramente amare la Patria e l’umanità ». Era questa la strada che indicava, nel 1944, un giovane Aldo Moro, a un’Italia distrutta, che sperava di uscire dagli orrori della guerra. Ieri Agostino Giovagnoli ha ricordato su Avvenire i 75 anni dalla fine della Guerra mondiale negli inevitabili parallelismi con la situazione attuale.
Oggi ricorrono invece i 42 anni dalla morte per mano delle Brigate Rosse dello statista che più di tutti ha caratterizzato la fase della ricostruzione. E, dopo tanto tempo, è arrivato il momento di «liberare Moro dal caso Moro», come auspica lo storico Renato Moro. L’operazione può offrire utili insegnamenti a un popolo che proprio in questi giorni inizia a uscire da quella sorta di “segregazione” indotta dall’emergenza sanitaria ancora in atto. Moro e la ” sua” democrazia parlamentare parlano ancora alla politica attuale, che stenta a compiere quel salto di qualità che la drammaticità degli eventi richiede. Sono state, per esempio, attribuite al presidente Mattarella “minacce” di ritorno alle urne in caso di implosione di questa maggioranza. In realtà, il messaggio che il Quirinale continua a inviare è un invito – in chiave morotea – a fare ognuno la propria parte: maggioranza, opposizione, Regioni, istituzioni tutte. Questo governo, d’altronde, è proprio il frutto del parlarsi fra forze politiche diverse, operazione che in una democrazia come la nostra non può che avvenire in Parlamento. Chi parla di inciuci, o cose simili, dovrebbe ricordare che questo esercizio democratico è stato pensato dai Padri costituenti sulla scorta della pessima esperienza fatta con leggi elettorali che con un artificio – pagato poi caro – avevano reso maggioranza il fascismo che tale non era nel risultato delle urne.
E allora, con questi numeri parlamentari, diventa complicato, o è solo strumentale, ipotizzare diverse maggioranze e diverse guide politiche in questa legislatura. Cosicché va salutata positivamente la consapevolezza che si fa strada anche in settori delle opposizioni che non si può pensare di demolire il governo in carica, in un momento come questo, senza occuparsi del “dopo”. E in fondo vivere con responsabilità la stagione dell’opposizione è il modo migliore anche per candidarsi alla successione al comando, come insegna la cultura dell’alternanza tanto cara proprio a Moro. Non porta al salto di qualità neppure la logica delle “bandierine” che sembra prevalere, a volte, anche nella maggioranza.
Farsi condizionare dalle preoccupazioni di ricaduta mediatica, per slogan, rispetto a un provvedimento di assoluta ragionevolezza come la regolarizzazione di chi già lavora in nero in Italia, più che mai necessaria in tempi di emergenza sanitaria, è assurdo e non ha niente a che vedere con la lezione morotea del mettere sempre al primo posto non il proprio tornaconto, ma la cura del bene comune. Ancora. Se ci fosse stata piena consapevolezza della cultura costituzionale del diritto penale “dettata” proprio da Moro non si sarebbe arrivati all’era del coronavirus in situazioni di aperta contraddizione col principio che vieta pene contrarie al senso di umanità, qualunque sia il crimine di cui ci si sia macchiati.
Ma con Moro, oggi, si ricordano tutte le vittime del terrorismo e delle stragi. A cominciare dagli agenti caduti in via Fani: Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino e Giulio Rivera. I 50 anni di Piazza Fontana sono passati senza una verità processuale, ma la verità storica è stata avallata dalla sentenza finalmente acclarata, invece, per Brescia. E quando Manlio Milani, il presidente delle vittime di Piazza della Loggia, che in quella strage ha perso la giovane moglie fa per primo – lui, vittima del fascismo – il suo passo di rinconciliazione ammettendo la sua colpa per gli slogan usati da ragazzo contro i fascisti, indica a tutti una strada nuova. Una nuova “solidarietà nazionale”, nell’era della “nemicità” via social, che Moro non si stancherebbe di denunciare alla nostra intelligenza.