Cade il muro della solitudine con i funerali torna la civiltà
Ferdinando Camon avvenire 3 maggio 2020
Ci sono famiglie per le quali la seconda guerra mondiale è finita quando il capofamiglia è tornato a casa. Non importa se le battaglie continuavano, se c’erano ancora bombardamenti e vittime. Quello riguarda la storia, la nazione, e magari alla fine stabilisce chi ha vinto e chi ha perso, ma per la famiglia l’importante era che il capo tornasse. È tornato, e dunque la vicenda finisce lì.
La pandemia da Covid-19 ha piantato una coltellata sulla vita della società quando ha impedito ai figli di presenziare ai funerali dei padri. Il padre moriva, e i figli non potevano dirgli addio, che poi significa A Dio, ci rivediamo là. Era proibito l’addio. Quella proibizione finisce domani. Abbiamo confessioni di padri, raccolte da infermieri: i padri capivano benissimo che era venuta la fine, sentivano che quella impossibilità di respirare significava impossibilità di vivere, eppure confidavano agli infermieri che la loro più grande sofferenza non era la morte che veniva ma i figli che non venivano. Erano terrorizzati dalla solitudine. Più terrorizzati ancora sarebbero stati se avessero saputo che quella solitudine del premorte sarebbe diventata la solitudine del dopo-morte, perché i figli non sarebbero venuti al funerale. Sarebbe stato un funerale dei padri in assenza dei figli. Quell’assenza finisce il 4 maggio.
Se un libro di storia dedicherà un paragrafo alla pandemia e vorrà illustrarla con una foto, una sola ma iconica e onnicomprensiva, consiglio la foto della colonna di camion che escono da Bergamo carichi di bare e vanno a farle cremare in altre città: operazione asettica, neutrale e indolore, senza compianti, tecnica, senza figli, coniugi, parenti. I funerali della pandemia. La morte senza funerali. L’interruzione della civiltà. Nella vita dei figli, una coltellata che la taglia in due parti, prima e dopo, senza congiunzione. Quella congiunzione, quel ponte doveva essere il funerale, la bara in chiesa, l’addio di tutti, e quel dialogo muto ma onnirivelativo che è il silenzio dei figli intorno alla bara del padre, la richiesta di perdono, il perdono che arriva, la pacificazione che segue, la vita che continua, che soltanto così può continuare. Ho detto altre volte che la morte del padre senza la presenza dei figli lasciava inconclusa la vita del padre, e questa inconclusione era il dolore più grande per colui che se ne andava; qui voglio aggiungere che lasciava incompleta anche la vita dei figli, che veniva a mancare di qualcosa d’essenziale.
La morte da isolati, in solitudine, e la sepoltura senza funerale e senza Messa, rappresentano il clou nella vittoria della pandemia sulla nostra vita. Noi siamo fatti per accompagnare con l’addio, in chiesa, con una Messa, coloro che ci lasciano e se ne vanno. Il funerale è un ringraziamento, non vogliamo staccarci da chi ci lascia, vogliamo che capisca quanto gli siamo legati, ci raduniamo apposta per lui, gli diciamo il meglio che sappiamo dire, lo affidiamo a chi è più forte della morte. Questo tempo della morte senza funerali sta per finire. È finito. La vittoria della pandemia sulla civiltà finisce oggi. Dal 4 maggio torneranno possibili i funerali, all’aperto o in chiesa, con tutte le cautele che la situazione impone, però i parenti che vogliono dare l’addio a chi li lascia potranno farlo. Non potranno essere più di quindici, non sarà ovunque, ma potranno esserci. Dovranno mettere le mascherine, ma si riconosceranno. E anche colui che se ne va li riconoscerà. Dal 4 maggio la padronanza della pandemia sulla nostra vita entra in pausa. Tornano i funerali. Torna la civiltà.